Ostia verso il ballottaggio. Un caso nazionale
L’istituto Cattaneo di Bologna parla di “goccia dell’astensionismo” per definire la perdita costante dell’1% all’anno di partecipazione alle urne, ma nel municipio di Ostia il 5 novembre si è abbattuto un nubifragio reale che ha inondato i seggi, facendone rimanere alcuni al buio. Alla fine della giornata di domenica, ha votato solo il 36,15% degli aventi diritto. Un calo di 20 punti dalle comunali del 2016 con il 56,11% di votanti in un’amministrazione municipale sciolta, l’anno prima, per infiltrazioni mafiose.
Alla fine il risultato di questo test elettorale, disertato dalla grande maggioranza dei residenti, ha confermato le previsioni dei sondaggi con le candidate di M5S e della coalizione di destra che andranno al ballottaggio del 19 novembre staccate da pochi punti percentuali: 30,11% per la pentastellata Guliana DiPilo e 26,11% per Monica Picca di Fratelli d’Italia. Athos De Luca, Pd, ha raggiunto il 13,61%, mentre Luca Marsella di CasaPound ha conquistato il 9,08 % dei consensi, tallonato dall’ 8,61% di Franco Di Donno, sacerdote che ha ottenuto la sospensione a divinis per capeggiare Laboratorio civico X, una lista espressione dell’impegno sociale e antiracket. Percentuali significative anche per l’autonomista Andrea Bozzi, 5,54%, e la sinistra di Eugenio Bellomo, 3,61%. Seguono il candidato del Popolo della Famiglia Giovanni Fiori con l’1,34% e l’avvocato Marco Lombardi con l’1,32%.
Nonostante la molteplicità e varietà dell’offerta politica, quindi, resta il dato preoccupante dello scollamento dalla partecipazione elettorale di gran parte della popolazione di un distretto territoriale della Capitale che corrisponde, per numero di abitanti, ad un capoluogo di provincia.
Il dato più commentato è l’affermazione annunciata di coloro che si definiscono i “fascisti del terzo millennio”, presenti non solo a Roma, dove hanno la roccaforte nella sede di via Napoleone III, vicino alla stazione Termini. Nella “bianca” Lucca sono entrati in consiglio comunale con l’8% dei consensi.
Le origini di CasaPound affondano nel movimento Terza Posizione, durato per poco tempo intorno agli anni ’70 in chiave polemica con la cultura filocapitalista e reazionaria («né fronte rosso né reazione» è il verso di un loro canto). Tra i fondatori Roberto Fiore, artefice in seguito di Forza Nuova, Giuseppe Dimitri, coinvolto nelle trame della destra eversiva, e Gabriele Adinolfi, pensatore di riferimento della destra radicale, di cui fa parte il gruppo politico denotato dal nome del celebre poeta statunitense, Ezra Pound, che decise di venire in Italia nel 1924 per sostenere, fino alla fine, il regime fascista.
La crescita della destra, nelle diverse e complementari forme, tra chi decide di andare a votare, merita un serio approfondimento perché esprime una tendenza di fondo a livello europeo.
La questione dei migranti, comune a Fratelli D’Italia come a CasaPound, incide potentemente nell’immaginario di una popolazione che si percepisce vulnerabile e senza difese. Da certe analisi fatte a tavolino sembra, invece, assente la percezione di paura e insicurezza che si vivono in contesti urbani disegnati dagli interessi economici prevalenti., con la mancanza di spazi pubblici e la condizione delle periferie dove si scaricano tutte le contraddizioni espulse dal distretto commerciale e museale del centro storico della Capitale.
Il litorale romano sconta, inoltre, una presenza invadente di clan mafiosi che non sono affatto eradicati. Una strana realtà conosciutissima, raccontata in serie televisive di successo come Suburra, ma che non riesce a coalizzare una forte estesa reazione nella società civile, assente nelle urne e spesso nelle piazze. Un dato di fatto inquietante che interroga tutti oltre il ballottaggio del 19 novembre, in vista del quale queste emergenze meritano di essere affrontate a livello nazionale e non come un caso locale da minimizzare.