Nomine dei vescovi, il papa spiega l’accordo con la Cina
Si susseguono le reazioni all’accordo firmato dalla Santa Sede e dal governo della Repubblica popolare cinese sulla nomina dei vescovi cattolici. Da varie parti arrivano commenti positivi; da altre si preferisce essere cauti senza tradire un ottimismo incoraggiante; altri, infine, si manifestano decisamente scettici, se non addirittura contrari. Sono posizioni che si possono ben comprendere se si pensa alla vastità del Paese, all’interno del quale, sebbene la politica del governo rimanga fortemente centralizzata anche nelle questioni di religione, rimane una varietà pressoché infinita di tonalità nell’applicazione delle norme interne. Inoltre, esistono ormai diversi “tipi” di cristiani in Cina, anche di cattolici.
Senza dubbio, vanno considerati coloro che hanno sofferto per decenni e che hanno testimoniato e pagato di persona la loro fede; ma non si possono ignorare anche i cristiani, e i cattolici nel nostro specifico, di nuova generazione, che non appartengono a famiglie tradizionalmente cristiane e che non hanno vissuto le tensioni dell’ultimo mezzo secolo. Nel puzzle cinese non mancano anche diversità profonde fra le varie comunità cattoliche nelle differenti provincie e nei diversi contesti sociali. Le reazioni a un accordo come quello firmato, tra l’altro con carattere provvisorio, da Santa Sede e governo di Pechino, non potevano perciò essere univoche.
Sulla questione della firma dell’accordo, non poteva mancare una sollecitazione da parte dei giornalisti che hanno accompagnato Bergoglio di ritorno da Tallinn. La questione è stata posta in termini chiari, senza sconti e, in un certo senso, toccando anche i nervi scoperti del dibattitto che continua da anni fra coloro che, all’interno della Chiesa, sono stati e restano a favore di questo passo e quelli che, invece, lo hanno osteggiato e criticato fin dall’inizio. Vale la pena analizzare le parole di Bergoglio.
«Tre giorni fa – ha chiesto il giornalista spagnolo Antonio Pelayo – si è firmato un accordo tra Vaticano e Cina. Può darci qualche informazione supplementare sul suo contenuto? Perché alcuni cattolici e in particolare il cardinale Joseph Zen l’accusano di aver svenduto la Chiesa al governo?». Davanti a una tale domanda il papa, come suo stile, non si è tirato indietro ed ha fornito dettagli importanti, sottolineando come non si sia trattato di un caso, ma di un vero processo di discernimento e di collaborazione costruito passo dopo passo. «Questo è un processo di anni, un dialogo tra la commissione vaticana e la commissione cinese, per sistemare la nomina dei vescovi», ha dichiarato Bergoglio.
È importante sottolineare come Francesco non si faccia illusioni e mantenga il suo consueto pragmatismo, coniugato a una fede aperta ai segni di Dio nella storia. «Voi sapete – ha detto – che quando si fa un accordo di pace, ambedue le parti perdono qualcosa. Questa è la legge: ambedue le parti. Si è andati con due passi avanti, uno indietro… due avanti e uno indietro. Poi mesi senza parlarsi. È il tempo di Dio che assomiglia al tempo cinese». Nel contempo il papa ha tenuto a insistere sul fatto che non si è trattato di un passo superficiale. Ha, infatti, espresso la sua gratitudine alla commissione e alle doti di accuratezza del cardinale Parolin, segretario di Stato vaticano, che ha definito «un uomo molto devoto. Ma ha una speciale devozione alla… lente! Tutti i documenti li studia: punto, virgola, accenti. Questo mi dà una sicurezza molto grande».
D’altra parte, anche se il processo si protrae da lunghi anni e deve essere inquadrato nella prospettiva della lettera di Benedetto XVI scritta nel 2007 ai cattolici cinesi, papa Bergoglio si assume le responsabilità delle ultime fasi di questo cammino. «I vescovi che erano in difficoltà – ha precisato sull’aereo – sono stati studiati caso per caso. E i dossier di ciascuno sono arrivati sulla mia scrivania. Sono stato io il responsabile di firmare (il ristabilimento della comunione con il papa per i sette vescovi, ndr). Poi il caso dell’accordo: sono tornate le bozze sulla mia scrivania, davo le mie idee, si discuteva e andavano avanti».
In Francesco c’è anche la coscienza della sofferenza di molti di fronte a queste novità. Non lo nasconde. «Io penso alla resistenza, ai cattolici che hanno sofferto: è vero, loro soffriranno. Sempre in un accordo c’è sofferenza. Ma loro hanno una grande fede e mi scrivono, fanno arrivare i messaggi per dire che quello che la Santa Sede, quello che Pietro dice, è quello che dice Gesù. La fede martiriale di questa gente oggi va avanti. Sono dei grandi». Non si tratta solo di parole, ma di «un profondo senso di gratitudine di Pietro che riconferma i seguaci di Cristo nella loro fede».
Bergoglio, come sempre, aggiunge delle confessioni di carattere personale. Toccanti questa volta, conoscendo la complessità della convivenza delle diverse comunità della stessa Chiesa cattolica nel grande Paese asiatico. «Un aneddoto semplice e un dato storico – ha detto ai giornalisti –: quando c’è stato quel famoso comunicato di un ex-nunzio apostolico (il papa si riferiva al caso Viganò, ndr), gli episcopati del mondo mi hanno scritto dicendomi che si sentivano vicini e pregavano per me. Dei fedeli cinesi mi hanno scritto e la firma di questo scritto era del vescovo della Chiesa, diciamo così, “tradizionale cattolica” e del vescovo della Chiesa “patriottica”, insieme tutti e due ed entrambe le comunità di fedeli. Per me è stato un segno di Dio».
Nonostante i dubbi di molti Bergoglio è rassicurante: «Quello che c’è, è un dialogo sugli eventuali candidati. Ma nomina Roma, nomina il papa, questo è chiaro». E la conclusione, che tende a prendere cura di tutti, soprattutto di quelli che in questo momento più soffrono. «E preghiamo – ha concluso – per le sofferenze di alcuni che non capiscono o che hanno alle spalle tanti anni di clandestinità».