Myanmar, con immensa tristezza

Inizia con queste parole, "con immensa tristezza", il messaggio del cardinale Charles Bo, arcivescovo cattolico di Yangon. Sono le parole più adatte per raccontare il bombardamento di un villaggio dello stato di Kayah, in cui è stata distrutta la chiesa, provocando morti e feriti tra i fedeli inermi. La situazione in Myanmar è molto difficile, anche per la fame che avanza. Ma la gente non si arrende
Myanmar (AP Photo)

Myanmar. «È con immensa tristezza e dolore che registriamo la nostra angoscia per l’attacco a civili innocenti, che hanno cercato rifugio nella chiesa del Sacro Cuore, Kayanthayar, Loikaw il 23 maggio 2021 notte. Gli atti violenti, compresi i continui bombardamenti, utilizzando armi pesanti su un gruppo spaventato di donne e bambini, hanno portato alla tragica morte di quattro persone e al ferimento di più di otto. La chiesa ha subito ingenti danni, testimoniando l’intensità dell’attacco a un luogo di culto. L’attacco di mezzanotte ha spinto gli sfortunati a fuggire nella giungla. Il loro destino non è ancora noto al mondo esterno. Cibo, medicine e igiene sono bisogni urgenti ma non c’è modo di raggiungerli. Ci sono molti bambini e vecchi tra loro, costretti a morire di fame e senza alcun aiuto medico. Questa è una grande tragedia umanitaria».

Sono queste le parole con le quali il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, inizia la sua lettera del 26 maggio. Una lettera sofferta, drammatica, vera e senza odio per nessuno, ma che parla di cose che sono accadute, ingiuste, come è sempre ingiusta la guerra. La guerra è un delitto che viene perpretrato per interessi e non per la pace. Il mondo deve aprire i propri occhi ed agire a favore della pace in Myanmar. Dobbiamo anche ricordare che i luoghi di culto, come beni culturali di una comunità, sono tutelati da protocolli internazionali. Chiese, ospedali e scuole sono protetti durante i conflitti dalla Convenzione dell’Aia.

Ma al di là di tutti i protocolli, ricordiamo che il sangue versato non è il sangue di qualche nemico; quelli che sono morti e quelli che sono stati feriti sono cittadini e non di un Paese nemico che vuole invadere il Myanmar. Coloro che si trovavano in chiesa non erano armati; erano dentro la chiesa per proteggere le loro famiglie e si sentivano al sicuro. Sparare contro un edificio sacro, contro donne e bambini inermi, anziani, è un crimine di guerra. Ora, più di 20 mila persone sono state sfollate nel recente conflitto a Loikaw. E questi non sono numeri: sono esseri umani.

Il cardinale continua con un appello accorato: «Questo deve finire. Chiediamo a tutti voi, organizzazioni collegate, di non intensificare la guerra. La nostra gente è povera, il Covid-19 li ha derubati dei loro mezzi di sostentamento, la fame affligge milioni di persone, la minaccia di un altro round di Covid-19 è reale. Il conflitto è una crudele anomalia in questo momento. La pace è possibile, la pace è l’unica via. Facciamo questo appello urgente come gruppo di leader di fede – non come politici. Preghiamo per la Pace in questa grande terra, speriamo che tutti noi possiamo vivere come fratelli e sorelle in questa grande nazione. Con le nostre preghiere e i nostri migliori auguri».

Fino a qui il pastore, il cardinal Bo. Ma qual è la situazione nel Paese?
La resistenza nello stato Kayah e soprattutto nella cittadina di Demoso è molto intensa. Con migliaia di persone fuggite nella foresta, per evitare i colpi di mortaio sparati sulle case dei civili, non si può sperare in nulla di buono. Nessuno può avvicinarsi alla città oppure uscirne. Le forniture di acqua sono tagliate e i cecchini sparano a chiunque esca di casa.

In quasi in tutto il Paese la gente cerca di organizzarsi in quella che viene chiamata ‘’People Defence Force’’: sono soprattutto giovani che hanno iniziato ad addestrasi presso i gruppi militari etnici e che hanno imbracciato le armi, qualsiasi arma, molte rudimentali, per provare a difendersi contro la forza brutale, crudele e spietata dispiegata dall’esercito dei generali golpisti, il Tatmadaw, visto dalla gente come traditore del popolo, che attacca e uccide i cittadini che dovrebbe difendere.

Il governo alternativo a quello instaurato dal generale Min Aung Hlaing, ovvero il National Unity Government (Nug), è un governo di unità nazionale del quale fanno parte tutti coloro che si oppongono ai militari golpisti. Il Nug mira all’autonomia degli stati etnici ed ha raccolto anche il favore dei gruppi etnici armati, come Kachin, Chin e Karen. La repressione ha già fatto quasi 900 morti e 4.300 prigionieri.

Ma “la mossa chiave” per fermare i militari, come molti analisti della regione sostengono, non sta nelle armi ma altrove. Prima di tutto nelle grandi multinazionali che lavorano con le aziende del generale, e prime fra tutte quelle del petrolio. Notizia recente è che la Total francesce e la Chevron statunitense si stiano defilando dagli accordi (e dai pagamenti) al governo del generale Min Aung Hlaing. Sartebbe un fatto importante e signigicativo. Ma il vero attore della pace è e rimane l’Associazione dei paesei del sud est asiatico (Asean).

Come riporta l’agenzia Cna di Singapore, i 193 Paesi della Nazioni Unite si sono visti bloccare all’ultimo momento una risoluzione in cui si chiedeva il blocco della vendita di armi al Myanmar. C’è stato un veto ed una richiesta di ridiscutere questo punto, in pratica di eliminarlo.

Sono le nazioni dell’Asean che devono decidere da che parte stare: da quella del Generale Min Aung Hlaing che uccide “tutto ciò che si muove” oppure dalla parte di 50 milioni di birmani che chiedeno democrazia e pace. Intanto il generale continua la sua marcia demolitrice: nei giorni scorsi ha messo fuori legge la National League for Democracy, il partito di Aung san suu kyi, che l’8 novembre dello scorso anno, con l’85% dei consensi, ha stravinto le elezioni, ottenendo 368 seggi su 434 alla Camera Alta e oltre il 60% dei seggi alla Camera Bassa. La popolazione, intanto, scivola pericolosamente verso la fame, come affermano le agenzie delle Nazioni Unite.
Che fare? Ce lo ha fatto vedere Thuzar Wint Lwin, la modella birmana che partecipa a Miss Universo 2021, quando è apparsa sul palco con questo cartello: ‘Pregate per il Myanmar’. Potrebbe sembrare strano, ma ci vuole anche la preghiera. Per non diventare preda del demone della violenza, della guerra, conviene pregare, oltre che lavorare per la pace.

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons