Il muro del debito che schiaccia la società
La questione del debito pubblico come vincolo che obbliga i governi dei Paesi come l’Italia a politiche di austerità è argomento centrale che affrontiamo da tempo su Città Nuova, a partire dallo spazio dato, con un’intervista al professor Leonardo Becchetti, all’appello del 2015 di 350 economisti a favore di una ristrutturazione dei debiti necessaria per liberare «importanti risorse oggi destinate al pagamento degli interessi» e da orientare verso «un formidabile stimolo alla domanda interna di tutti i Paesi».
Sull’origine dell’abnorme debito pubblico italiano abbiamo chiesto il parere ad un osservatore attento come Carlo Clericetti e ora intervistiamo Antonio De Lellis, curatore di un volume intitolato “Il muro invisibile. Come demolire la narrazione del debito”, che riporta molte delle analisi di quelle realtà dei Movimenti popolari al quale papa Francesco ha rivolto tre discorsi programmatici che costituiscono una delle tracce del nuovo Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale affidato al cardinal ghanese Peter Appiah Turkson.
Da cosa nasce il vostro lavoro?
Il libro è il frutto di un lavoro durato 15 anni all’interno di esperienze di lotta che vedono i movimenti ecclesiali e sociali stretti da alleanze inedite, le quali si sono consolidate nel lungo cammino, che dal 2006 al 2011, ci hanno condotto a vincere un referendum sull’acqua bene comune, miseramente disatteso dai governi neoliberisti italiani. Il libro attraversa un periodo ampio, ma si concentra su come sia possibile individuare nel “debito”, un modello economico, finanziario, giuridico, politico, sociale, ambientale, storico e religioso. Il debito come paradigma su cui ragionare e dalla cui conoscenza partire, per costruire percorsi di aggregazione che possano cambiare le sorti dell’umanità sofferente e del pianeta, per riportarlo su binari di convivialità, giustizia, sostenibilità, uguaglianza e pace, affinché ci sia per tutti terra, casa e lavoro. Una delle tappe fondamentali di questo percorso è la Carta di Genova siglata dopo un lungo lavoro in occasione del quindicesimo anniversario dei fatti del G8 del 2001 nella città ligure, nel corso di un convegno internazionale dal titolo “dal G8 alla Laudato Sì”.
Cosa è questa Carta ?
La Carta di Genova è il manifesto politico e sociale che ispira il Comitato per l’abolizione dei debiti illegittimi (Cadtm) italiano. È una rete internazionale che si è occupata fino a non molto tempo fa del debito del Terzo Mondo, ma che ora si interessa della condizione di sovra-indebitamento di molti Paesi cosiddetti del Primo mondo, ossia Europa, Usa, Giappone e Cina. L’analisi dei processi internazionali e la messa in discussione di un sistema economico innervato dalla “teologia del denaro” fanno da sfondo ad una necessaria campagna antropologica contro uno sviluppo estrattivista e proteso ad una crescita suicida. La lunga crisi che stiamo vivendo è in realtà l’effetto di diverse fasi. Oggi si presenta anche come modello di domanda animato nuovamente dal debito privato. Il nuovo motore della tanto agognata crescita sembra essere ormai solo il debito che rappresenta non un elemento a sé, isolabile dal contesto.
Cosa comporta questa centralità del debito nella “teologia del denaro”?
Una riduzione di spese sociali, una contrazione di investimenti ed un aumento di spese militari. Il debito, come elemento caratterizzante una visione del mondo, può essere uno strumento al servizio del popolo e delle masse diseredate o diventare strumento di violenza contro di esse. Tutto dipende dall’uso politico che se ne fa. I trattati europei che invece hanno costruito la narrazione dominante della competitività, dell’efficientismo e della colpa del debito sono il risultato della costituzionalizzazione delle politiche neoliberali. Quando il Fiscal Compact entrerà nel trattato europeo (previsto per la fine dell’anno) il quadro sarà completato.
Che significa “demolire la narrazione del debito”? Non è una deriva complottista contro le regole del libero mercato?
Quando parliamo di debito pubblico parliamo del debito della Pubblica amministrazione. Ci riferiamo al Governo centrale, ma anche al debito dei Comuni, delle Province e delle Regioni, precisando che però il 95% mediamente del debito pubblico è in carico al Governo. Questo gran parlare che si fa degli enti locali come motivo d’indebitamento, è molto marginale. Ma i tagli enormi che hanno colpito gli enti locali diminuiscono tutti i servizi che offrono i Comuni, i quali garantiscono non soltanto i contributi per alleviare le situazioni più a rischio, ma anche servizi essenziali i cui tagli ci rendono più poveri costringendoci a spendere di più per ottenere i servizi altrove. Oggi il debito pubblico italiano ammonta a circa 2.300 miliardi di euro, ovvero a circa 40 mila euro a testa. Solo per 12 anni (dal 1980 al 1992) ci sono state spese in eccesso. Nel 1992 siamo entrati in austerità. Da allora solo nel 2010 non abbiamo avuto un avanzo primario (un valore positivo tra entrate fiscali e spesa pubblica, senza considerare gli interessi sul debito, ndr) . In questo periodo abbiamo risparmiato circa 750 miliardi. Abbiamo pagato 2.200 miliardi di interessi di cui 1550 a debito ossia facendo deficit e quindi indebitandoci ulteriormente.
Normalmente si dice che siamo indebitati perché viviamo al di sopra delle nostre possibilità…
Quindi questo mito che noi ci siamo indebitati , è una grande balla e tutti la ripetono. Se mettiamo a confronto il gettito fiscale e le spese che il Governo fa a vantaggio dei cittadini, notiamo tutti gli anni uno scarto a volte di 20, a volte di 30 o di 40 miliardi di euro. Il punto è che il risparmio che noi realizziamo, non basta a coprire l’intera spesa per interessi – che oscilla tra i 65 e gli 85 miliardi di euro sulla base di come si muove la speculazione – e tutti gli anni continuiamo a indebitarci per pagare la quota degli interessi che non riusciamo a coprire e che crescono come la panna montata. Non usciremo mai da questo meccanismo. Ad aumentare il nostro debito pubblico si aggiungono poi altre voci, come il salvataggio delle banche – per il quale l’anno scorso lo Stato italiano ha stanziato 20 miliardi di euro.
Oltre la denuncia qual è la proposta concreta che portate avanti?
Ci proponiamo di coinvolgere tutte le realtà ed i soggetti che considerano il debito pubblico, a partire da quello italiano, e non solo, un tema centrale per affrontare le questioni del lavoro, della terra, del futuro dei giovani, della valorizzazione dei beni comuni dentro modelli sociali alternativi che, guardando al presente e al futuro, sia attento al recupero e al ritorno di principi comuni e universali di convivenza conviviale. Per questo abbiamo lanciato due appuntamenti: il 25 novembre a Parma con la giornata nazionale degli audit civici per il debito (una sorta di inchiesta collettiva, ndr) e il 27 gennaio a Pescara per un’assemblea internazionale con economisti di fama nazionale e internazionale e attivisti Cadtm, per affrontare la questione globale del debito e avviare una indagine di verità e giustizia sul debito pubblico italiano. A livello internazionale molti Paesi stanno preparando una risoluzione Onu per la definizione della procedura da adottare quando un Paese individua l’illegittimità del proprio debito o di parte di esso. E a livello nazionale stiamo lavorando per una presa di posizione e di collaborazione operativa anche con la Cei e la Caritas italiana. Se il debito è una leva macroeconomica, usata per pochi, l’audit (indagine sul debito) è un processo politico al liberismo. Il debito è infatti la cifra del capitalismo contemporaneo.