Covid-19: i morti in strada dell’Ecuador
Se per i Paesi ricchi affrontare il coronavirus è una grande sfida, per quelli poveri la sfida è immensa. Ne è un esempio l’Ecuador. Teoricamente, il secondo sistema sanitario del Sudamerica in quanto ad efficienza, stando alla pagina web del ministero della Sanità, in base a tre parametri: speranza di vita, spesa totale e costo pro capite dell’assistenza sanitaria. Ma, si sa, ai governi piacciono le statistiche favorevoli, anche se poi i dati quantitativi vanno confrontati con quelli qualitativi e questi vengono alla luce impietosamente specie nelle emergenze.
Lo confermano le immagini scioccanti di cadaveri per le strade di Guayaquil che hanno fatto il giro del mondo. La città-cuore della provincia di Guayas ha più di due milioni di abitanti ed è la seconda del Paese, dopo Quito, la capitale. Si estende sulla foce del fiume Guayas, prossima alle acque del Pacifico, un territorio dove, data la latitudine, le temperature sono tutto l’anno al di sopra dei 30 gradi. I due terzi dei circa 3.600 casi positivi registrati in tutto il Paese provengono da questa provincia e la metà circa proprio da Guayaquil, insieme a un terzo circa del totale dei decessi confermati per il virus (più di 170 fino a questa domenica), aggiungendosi ai decessi normali.
La situazione però ha superato la capacità del sistema sanitario e del sistema medico legale, oggi in emergenza, ritardando il ritiro dei corpi fino a 4-5 giorni, con i pericoli immaginabili, tra l’altro, in un clima caldo e umido. Gli ospedali, con le sale mortuarie ripiene, hanno bisogno di realizzare l’autopsia per stabilire le cause del decesso. Per poter resistere in casa, i parenti si sono visti obbligati a lasciare in strada il cadavere del congiunto. L’inefficienza ha fatto il resto.
In molti casi, l’interruzione dell’attività economica – molti vivono della vendita ambulante – ha ridotto le magre entrare e la singola famiglia non ha potuto sostenere le spese funerarie, che per l’economia locale possono essere ingenti, raggiungendo i 2 mila dollari. Il comune ha deciso per questo di mettere a disposizione mille bare di robusto cartone per le famiglie meno abbienti, mentre altri 150 feretri sono stati donati da privati. Ma evidentemente sia il sistema sanitario che quello medico-legale sono a tutt’oggi incapaci di garantire che i parenti non debbano attendere a lungo il ritiro del feretro.
Il virus trasportato dal “paziente 0” è arrivato in Ecuador dalla Spagna, il giorno di san Valentino, da una donna anziana che aveva deciso di tornare a casa. Il 29 febbraio è stato confermato il suo contagio e il 13 marzo s’è registrata la prima vittima. Ma le autorità non hanno agito tempestivamente applicando controlli efficaci, né sono stati obbligati alla quarantena i viaggiatori provenienti da Spagna, Italia, Stati Uniti… dove le comunità di ecuadoregni sono numerose.
Ma la lotta contro il morbo va oltre la situazione di Guayaquil. Oltre alle misure restrittive sui contatti sociali, su tutto il territorio nazionale è in atto il coprifuoco tra le 14 e le 5, ma ciò non ha ancora fatto comprendere i rischi potenziali della pandemia. Il presidente Lenin Moreno ha segnalato che 4 infettati su 10 vanno ancora in giro propagando il male. Un mix di irresponsabilità ed anche di ignoranza, oltre che di povertà di mezzi, che rende difficile stabilire il numero reale dei contagiati.
L’economia del Paese è in crisi da tempo. La caduta del prezzo del petrolio, una esportazione strategica, oggi ai valori minimi, frutta un quarto delle entrate previste. Tali difficoltà si uniscono a un debito pubblico in crescita anche per la necessità di incrementare servizi essenziali, come la salute. I 16 milioni di ecuadoregni producono un Pil annuale di 100 miliardi di dollari (quello italiano è di 1.900 miliardi): tra il 2007 ed il 2012 il governo ha investito in sanità più di 7,1 miliardi, che senza essere una cifra eccezionale è pur sempre il triplo di quanto speso dai quattro governi precedenti. Ma in totale, questo significa una spesa per abitante di circa 235 euro (in Italia se ne spendono circa 2.400). Fino a poco fa in Ecuador si polemizzava sulla crescita della spesa pubblica durante il precedente governo, mentre oggi più che mai si avverte l’utilità di tali investimenti.
Ma appare anche chiaro che molti Paesi in via di sviluppo avranno bisogno di una inedita mobilitazione della solidarietà internazionale per affrontare questa crisi. Se già prima in questa economia globale avevamo bisogno di trasformare le armi in aratri, oggi bisognerà trasformarli in ospedali, ventilatori e centri di ricerca.