Il modello Riace è esportabile
Multedo è un angolo di Genova con poco più di cinquemila abitanti posto all’ingresso dell’autostrada e di seguito i depositi chimici e il porto Petroli.
Un “postaccio” per dirla con Bacci un brav’uomo che osserva il mare che sta proprio lì davanti a casa sua. Qui proprio un anno fa agli abitanti era stata data la notizia che sarebbero arrivati 50 richiedenti e collocati nell’ex scuola dell’infanzia Govone, chiusa dal 2016 per mancanza di iscrizioni.
Subito iniziarono le barricate, settimane di proteste in strada, con blocchi stradali, fiaccolate, insulti tra gli stessi abitanti, cordoni di polizia per separare i manifestanti di diverso colore politico, le polemiche per l’intervento degli operai della Fiom e degli antifascisti, le accuse di razzismo al un quartiere da sempre operaio.
La protesta salì al punto tale che intervennero le autorità per placare gli animi. E dopo trattative estenuanti grazie soprattutto al direttore di Migrantes don Giacomo Martino, dopo vari mesi i richiedenti, sotto scorta e minacce, prete compreso riuscirono a entrare nella struttura.
Dopo un anno da quel “settembre nero, Sergio Di Antonio, presidente del comitato anti migranti osserva: «I migranti è come se non ci fossero, e che per il quartiere sono un argomento chiuso». Don Giacomo di Migrantes sorride: «L’arrivo di cinquanta ragazzi sembrava una tragedia, ma era il clima avvelenato a far montare la rabbia. Quando ci si conosce di persona finisce tutto: gli abitanti ora si sono resi conto che ad abitare l’ex asilo sono giovani ragazzi in difficoltà che hanno bisogno di creare delle relazioni e per i migranti la struttura di Multedo è un piccolo paradiso».
«Si è parlato e si continua a parlare molto di convivenza, è normale. Ma non si fa altro che alimentare il fuoco dell’intolleranza con pregiudizi spaventosi. Poi ogni rapina, ogni furto ogni atto vandalico, tutto ormai viene attribuito agli immigrati che hanno “occupato ogni nostro spazio”.
Forse nelle grandi città, qualcosa di vero c’è. Si creano conflitti, competizioni e disagio. Ma chi crea disagio non sono mai i poveri, le persone senza lavoro. Da noi a Riace si vive in perfetta sintonia. Il paese conta 1.500 abitanti, di questi quasi la metà sono cittadini provenienti dal Sud del mondo». Sono considerazioni sull’accoglienza, da un altro angolo d’Italia, fatte dal primo cittadino.
“Riace paese dell’accoglienza”. Così si legge sul cartello stradale posto all’ingresso della cittadina. Qui la metà dei suoi abitanti sono arrivati dal Sud del mondo. Non hanno «occupato ogni nostro spazio», ci aveva raccontato il sindaco. Sono state offerte loro le case disabitate da anni, sono stati accettati e accolti dalla popolazione locale, e supportati da politiche sociali che ne hanno favorito l’inserimento nel tessuto urbano e nel mondo del lavoro contribuendo così allo sviluppo dell’economia del paese.
Domenico Lucano, è il sindaco che ha trasformato Riace da paese a rischio spopolamento a paese multietnico ricco di una variegata cultura fatta di usanze e tradizioni che si sono integrate con quella del posto.
«Gli abitanti di Riace convivono serenamente con chi è giunto dall’Etiopia, dall’Eritrea, dal Ghana al Mali, dall’Afghanistan al Pakistan.
E poi ancora dalla Libia, Turchia, Tunisia e molti altri Paesi del mondo povero. Nelle contrade di Riace, tradizioni italiane e culture straniere si intrecciano, nelle botteghe come nei laboratori, anziani e immigrati convivono senza difficoltà e tutti sono coinvolti nella vita della comunità.
Il modello Riace è esportabile, può diventare un esempio per altre città, perché il modello primario sono le relazioni umane. Parlarsi, ascoltarsi, accogliersi al di la del colore della pelle.
Voler conoscere il bagaglio culturale che quest’uomo, questa donna porta con se. Fatto questo ci si scopre fratelli e a un tuo fratello non neghi nulla di quanto possiedi tu. Qui nell’intero paese viene praticato il turismo dell’accoglienza, perché deve sapere che la vera accoglienza è in ognuno di noi ed è su questo concetto che vanno costruite le città del futuro».
Da Riace tra gli anni 80 e 90 intere famiglie hanno abbandonato le loro case per trovare occupazione altrove.
«Oggi, nonostante le mille difficoltà, il nostro è tornato a essere un posto felice in cui vivere grazie alla presenza di questi nuovi cittadini».
Quindi il segreto di Riace è l’opportunità di stare insieme, di condividere le forze, c’è l’asilo multietnico, un ambulatorio medico, e tanti servizi che se fossero rimasti solamente gli abitanti di Riace non avremmo più.
C’è stata inoltre la rinascita di tanti lavori artigianali, dalla lavorazione della ceramica, alla produzione di cioccolato». Riace ha mostrato che ciò è possibile fare spalancando le porte al futuro. Questa è un’esperienza locale che ha una valenza globale.
È un insegnamento rivolto al mondo. Domenico Lucano ci raccontava ancora: «Proviamo a capire, a immaginare, quale potrebbe essere il destino dell’umanità se tutti andassimo d’accordo. Ho sempre pensato che l’uguaglianza è e deve essere la regola di vita di ogni comunità, questo è nient’altro che un gesto d’amore per l’umanità. E viverci dentro è davvero bello!».