Bonafede: La corruzione si vede a occhio nudo
Nel corso di una rovente seduta della Camera dei deputati, mercoledì scorso il ministro della giustizia Alfonso Bonafede ha affermato: «è inutile parlare di dati. La corruzione in Italia non necessita di essere raccontata: si vede ad occhio nudo. Si vede ogni volta in cui dopo un terremoto crolla una scuola o un ospedale e dietro quel crollo non c’è soltanto una calamità naturale, ma c’è una mazzetta» che ha portato ad un «risparmio sul materiale utilizzato. Si vede ogni volta che un giovane parte e scappa» dall’Italia perché «lo ritiene un Paese corrotto, in cui la meritocrazia è stata ammazzata».
La percezione della corruzione (argomento che abbiamo approfondito sul numero di gennaio di Città Nuova), ha aggiunto ancora il ministro Bonafede – incide sulla credibilità delle istituzioni, «sugli investimenti che vengono fatti nel nostro Paese», perché un possibile finanziatore si guarda bene «dall’investire in un mercato che ritiene infiltrato da corruzione e criminalità organizzata». Una dura denuncia, quella del Guardasigilli, accolta alla Camera tra i fischi e un coro di insulti.
Eppure, secondo i dati Ocse, l’Italia è il Paese con il più alto livello di corruzione percepita, pari al 90%. Troppo, rispetto alla realtà? Così ritiene l’Eurispes, che qualche giorno fa ha presentato la ricerca “La corruzione tra realtà e rappresentazione. Ovvero: come si può alterare la reputazione di un Paese”.
Il presidente dell’Istituto di ricerca, Gian Maria Fara, ha sottolineato: «Non intendiamo sostenere che l’Italia sia immune dalla corruzione o che la corruzione stessa non ne abbia caratterizzato la storia antica e recente. Ciò che vogliamo, invece, fortemente affermare è che il nostro Paese è anche meno corrotto degli altri, che reagisce alla corruzione più degli altri, che non la tollera e che combatte il malaffare ed oggi lo previene anche meglio degli altri».
Purtroppo – ha però affermato in un’intervista al Sir il procuratore nazionale antimafia, Cafiero de Raho – ancora oggi non si riesce a contrastare in modo efficace la corruzione, per troppa omertà e troppa convenienza.
Gli esperti ritengono che misurare il grado di corruzione in base a dati sicuri sia molto difficile. Essendo un rapporto criminale sommerso, in cui tutti i soggetti sono coinvolti attivamente, non c’è nessuno interessato a denunciare il reato. Una vittima, tuttavia, c’è, ed è lo Stato. Siamo tutti noi.
Di corruzione si è parlato, qualche giorno fa, anche a Castel Gandolfo, nei pressi di Roma, nel corso del convegno internazionale “Co-Governance, corresponsabilità nelle città oggi”, dedicato al governo partecipato delle città, promosso dal Movimento Umanità Nuova, dal Movimento Politico per l’Unità e dall’Associazione Città per la Fraternità.
«Colpendo quel ganglio vitale che è il consenso – ha affermato la moderatrice dell’incontro tematico, Iole Mucciconi –, la corruzione intacca profondamente anche la democrazia». Ecco perché è necessario entrare nelle ferite provocate da questo fenomeno, invece di girare la testa dall’altra parte. Per la prima volta, ha sottolineato Mucciconi, qualche tempo fa l’Istat «ha fatto una rilevazione su famiglia e corruzione e sono venuti fuori dei dati inaspettati. Tante famiglie hanno ammesso di aver ceduto, di aver dato denaro o anche il voto per ottenere qualcosa in cambio e l’85% delle famiglie che hanno ammesso di averlo fatto hanno detto: “Ho ottenuto quello che volevo”».
Tuttavia, ha sottolineato Adriana Cosseddu, docente presso l’Università di Sassari e coordinatrice di Comunione e diritto dei Focolari, non bisogna mai dimenticare che gli atti corruttivi sono reati punibili dalla legge. «È evidente – ha aggiunto –, che se questo è un comportamento che si diffonde, tutto il tessuto sociale ne rimane ferito, vengono meno i pilastri della società e interviene silenziosamente, in maniera occulta, la sostituzione del bene comune con vantaggi o interessi personali».
Quando la corruzione è diventata sistema, a sua volta genera altri apparati di illegalità diffusa, asserviti a interessi di parte. Cosa fare, allora, considerando che la corruzione è una minaccia per i cittadini, per il primato del diritto e per la stessa democrazia?
Innanzi tutto serve una forte e precisa volontà individuale e sociale. Poi si può ampliare il concetto di legalità che, commenta Cosseddu, «non è soltanto l’osservanza formale della legge. Mi piace pensare ad una legalità “per”: per i cittadini, per perseguire il bene comune, per guardare al bene dell’altro come al proprio».
Poi servono la trasparenza nell’attività amministrativa e un ruolo attivo dei cittadini, che hanno il diritto di chiedere conto alla Pubblica amministrazione degli atti emanati. Serve una maggiore competenza nella formazione dei politici, «perché se non si è competenti si rischia di rispondere non al cittadino, ma a chi ti ha garantito quella carica politica, quella fetta di potere».
Come ha sottolineato il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, occorre lavorare sulle persone, sui giovani, senza – aggiunge Cosseddu – premiare la furbizia. E, infine, c’è bisogno di formare e formarsi ad una cultura di responsabilità, nell’osservanza delle regole per edificare il “noi” a cui è legata la vita delle città.
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