Mindfulness: cos’è?
Se qualcuno mi chiedesse di indicare, in quanto psicoterapeuta, quale dovrebbe essere l’atteggiamento migliore da assumere nei confronti delle situazioni più varie che la vita riserva a chiunque, non avrei difficoltà a rispondere così: «essere accoglienti e consapevoli».
Dopo anni di esperienza psicoterapeutica, infatti, ho potuto verificare che per aiutare un paziente ad affrontare al meglio la vita, con tutte le sue varie sfaccettature, sia belle che meno, accanto a numerose terapie abbastanza collaudate ed efficaci come quelle di scuola psicoanalitica, cognitiva, comportamentale, esistenziale, ipnotica, ecc., esisterebbe come supporto di rinforzo a esse una tecnica meditativa chiamata “mindfulness”, il cui significato letterale è “pienezza mentale”, mentre si traduce più comunemente con: “presenza mentale”. Questa tecnica consiste in un affinamento della capacità di prestare attenzione, di avere una consapevolezza costante e penetrante, e riuscire a lasciar emergere una facoltà intuitiva in grado di andare oltre il pensiero, sebbene possa essere formulata attraverso il pensiero.
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Offre in tal modo molteplici opportunità di superare il ricorso automatico a reazioni emozionali e a processi di pensiero inveterati e perlopiù indiscussi. In pratica, la presenza mentale è la consapevolezza che emerge se prestiamo attenzione in modo intenzionale, nel momento presente e in modo non giudicante, al dispiegarsi dell’esperienza momento per momento.
Questa visione non giudicante può essere per molti versi interpretata come se significasse “non tenersi aggrappati ai giudizi”, giacché la mente partorisce continuamente reazioni valutative e reattive. Riuscire a notare questi giudizi e liberarsene può rappresentare il significato pratico di questo comportamento non giudicante. “In modo intenzionale” implica che questo stato è creato con l’intenzione di focalizzarsi sul momento presente.
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La mindfulness, intesa come pratica meditativa, può restituirci ciò che potremmo pensare di aver perso, e cioè noi stessi? Ciò che tutte le forme di meditazione hanno in comune è che possono renderci più calmi e felici, favorendo la concentrazione su ciò che è, anziché farsi distrarre da ciò che non è. Lo stato di consapevolezza profonda può essere descritto come una condizione di completa semplicità e naturalezza. Come dice un vecchio adagio: «Quando un saggio cammina, cammina soltanto. Quando siede, siede soltanto. E non succede nient’altro». Fantastico… Non è forse una cosa buona fare solo quello che si sta facendo senza preoccuparsi di nient’altro? Anche concentrarsi consapevolmente su un problema o una questione da risolvere è molto diverso dal preoccuparsene. La prima è un’attività radicata nel presente, l’altra è un proiettarsi invano in un futuro che non si è realizzato, ma che noi immaginiamo come reale.
Il principio attivo della mindfulness consiste in questa capacità di essere presenti e consapevoli a ciò che ci sta accadendo, evitando di focalizzare l’attenzione sul mondo dei sogni a occhi aperti, su ciò che ci è successo ieri o che potrebbe succederci domani. Si tratta dell’invito a “risvegliarsi a se stessi” (“wake up to yourself”). Un esempio famoso ci viene dal discorso di Amleto: «Essere… o non essere. Questo è il problema».
Nella crescente complessità dell’epoca moderna è ancora più facile dimenticare come si fa semplicemente a essere, a essere semplicemente dove siamo (Qui), chi siamo (Noi), e a vivere la nostra vita nel momento in cui si svolge veramente (Ora).
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La mindfulness può avere esiti comuni, come la pazienza, la non reattività, la compassione per se stessi e la saggezza, ma anche l’accettazione incondizionata della realtà, la disidentificazione dai pensieri, il contatto con il momento presente e il senso trascendente di se stessi.
Da “Accogli ciò che è. Quando la realtà diventa terapia” di Pasquale Ionata, pp.144 prezzo: € 13,00