Marò, dopo dieci anni chiuso il caso di Girone e Latorre

Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due fucilieri italiani che si erano trovati nel momento sbagliato, nel posto sbagliato e sulla nave sbagliata, avevano sparato su pescatori indiani pensando ad un attacco pirata. Due pescatori morirono. Ci sono voluti quasi 10 anni per definire un contenzioso giudiziario per i marò molto discutibile nei suoi esiti e nei tempi.
Rientro in Italia dei marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre

Sono passati quasi dieci anni. Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, che per mesi nel 2012 e a più riprese negli anni successivi hanno riempito i nostri notiziari televisivi e le pagine dei giornali, sono pressoché dimenticati. I due fucilieri italiani, i marò che si trovavano sulla Enrica Lexie, avevano sparato su pescatori indiani pensando ad un attacco pirata.

L’armatore per paura di perdere in futuro il diritto di attracco nei porti del Kerala, soprattutto in quello di Kochi, ordinò al capitano di entrare in porto e consegnarsi alle autorità indiane. Non sapeva, forse, che il Kerala si apprestava ad andare alle urne e il caso dei due pescatori morti per mano italiana era un’occasione d’oro per i politici locali al fine di accaparrarsi voti. E, poi, le origini italiane di Sonia Gandhi, ancora alla testa del Partito del Congresso, mai veramente digerite dall’opposizione, fecero il resto. I due sparirono nelle carceri del Kerala per apparire davanti al tribunale locale e sperimentare i continui rinvii a cui sono destinati gli stranieri che, giustamente o ingiustamente, finiscono nelle maglie di una giustizia indiana macchinosa e corrotta.

Altro destino sbagliato in cui sono incappati i nostri marines è stato il succedersi di nostri governi e, quindi, di ministri degli esteri che non hanno mai potuto assicurare una continuità, almeno di immagine, di fronte alle autorità indiane. Così per un decennio si è letteralmente snodata una saga con gli ingredienti da vera storia di Bollywood, la famosa industria cinematografica di Mumbai: udienze farsa, opinione pubblica scatenata, proteste da parte italiana, rientro in Italia dei due fucilieri per poter votare e mancato ritorno in India, salvo poi tornare sui propri passi e, anche, purtroppo, problemi seri di salute di uno dei due protagonisti, ovviamente a causa dello stress per tutta la vicenda.

In effetti, il contenzioso non era di facile soluzione, soprattutto per via del gioco delle pretese competenze dei due Paesi che ha determinato tensioni non indifferenti nel mondo diplomatico. Senza dubbio la lunga permanenza nell’Ambasciata d’Italia a New Delhi, in libertà provvisoria e con arresti domiciliari, ottenuta sotto lauta cauzione di 143 mila euro, aveva permesso una vita più confortevole di quella sperimentata nelle carceri del Paese asiatico. Dopo le fibrillazioni vissute anche nel governo italiano in occasione delle dimissioni dell’allora ministro degli Esteri, Giulio Terzi, lui stesso ex ambasciatore, in disaccordo col resto del governo per la decisione presa di rimandare i due marines in India, il governo italiano decise, il 26 giugno 2015, di attivare la procedura di arbitrato internazionale di fronte all’impossibilità di arrivare a una soluzione negoziale con l’India.

Nel 2016 il Tribunale Arbitrale dispose che entrambi risiedessero in Italia fino alla conclusione del procedimento arbitrale. Nel 2019, finalmente, all’Aja la Corte arbitrale permanente (Permanent Court of Arbitration, Pca) ha disposto che il nostro Paese provvedesse a compensare la parte indiana in relazione alla morte  dei due pescatori keralesi, oltre che per vari danneggiamenti  e danni morali causati  all’equipaggio del piccolo peschereccio coinvolto nella sparatoria.

Finalmente in questi giorni la Corte Suprema dell’India ha chiuso tutti i procedimenti contro Girone e Latorre, avendo accettato l’avvenuto deposito per il risarcimento di 100 milioni di rupie, circa 1,1 milioni di euro. Il quotidiano The Hindu ha dato notevole rilievo, insieme ad altre testate, alla sentenza dell’organo supremo della giustizia del Paese che ha affermato di ritenere “ragionevole e adeguato” il risarcimento. 80 milioni di rupie dovranno essere depositate a favore degli eredi dei due pescatori (40 per ogni famiglia) e 20 milioni andranno al proprietario dell’imbarcazione. Cifre esorbitanti per il livello di vita dello Stato del Sud India.

Si tratta, tuttavia, di una evidenza di quanto sia delicato trattare con Paesi asiatici per questioni di contenziosi internazionali. Sebbene la diplomazia italiana rivendichi il successo nell’intero processo, è bene riconoscere come fin dall’inizio la questione dei due marines sia stata affrontata con la mancanza di tatto necessario secondo la sensibilità asiatica. La decisione della Corte Suprema dimostra come l’India abbia voluto mettere l’ultima parola sulla questione, accettando il risarcimento, definendolo ‘ragionevole ed adeguato’ e disponendo della propria autorità per dichiarare chiuso il caso. Non sempre suscitare l’interesse internazionale per far pressione su Paesi asiatici si rivela una politica adeguata.

L’immagine e l’orgoglio nazionale sono elementi che non vanno mai sottovalutati, pena dover attendere un intero decennio per sistemare questioni non certo di facile soluzione, ma che avrebbero potuto essere risolte più velocemente e a costi molto inferiori senza fare troppo rumore. Anche questa è diplomazia.

 

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