Mariupol’, città di Maria
Prima dello scorso febbraio, quanti eravamo a conoscere l’esistenza di Mariupol’, la città portuale distrutta al 90%, come pure di tanti altri siti dell’Ucraina dei quali avremmo preferito non conoscere gli orrori? Fondata nel 1778 da immigrati greci provenienti dalla Crimea in un’area precedentemente abitata dai cosacchi, già l’anno seguente il nome della città oscillava tra Mariuopolis, Marianoupolis o Mariampol’, così detta forse in onore di Marija Fëdorovna, seconda moglie del principe ereditario Paolo, poi zar Paolo I.
In italiano sarebbe Mariapoli, ossia “città di Maria”: lo stesso nome dei convegni estivi del Movimento dei Focolari che nel primo dopoguerra si susseguirono per alcuni anni in Trentino, ai piedi delle Dolomiti, per poi diffondersi nel resto d’Italia, in Europa e negli altri continenti.
Città di Maria… ma perché? In realtà l’amore per la Madre di Gesù era vivo nel Movimento fin dai suoi inizi negli anni 1943-44, anzi già nel 1939, quando Chiara Lubich (allora si chiamava Silvia), a Loreto per un corso spirituale, aveva avuto nella “casetta della famiglia di Nazareth” custodita nella grande basilica una prima intuizione della strada a cui Dio la chiamava. Più tardi, a Trento, il pensiero di Maria le si era fatto di nuovo presente con drammatica immediatezza sotto un terribile bombardamento che poteva essere fatale per lei e per le sue compagne.
Ho già accennato in un precedente articolo all’esperienza delle prime focolarine nei rifugi, dove riparavano anche più volte al giorno. Qui faccio riferimento ad un episodio accaduto durante una delle tante incursioni aeree di quel tremendo periodo. Sentiamolo narrato dalla stessa Chiara:
«Coperta di polvere, che invadeva tutto il rifugio, alzandomi da terra quasi miracolata, in mezzo alle urla dei presenti, ho detto alle mie compagne: “Ho provato un acuto dolore nell’anima, ora, mentre eravamo in pericolo: quello di non poter più recitare, qui in terra, l’Ave Maria”. Allora non potevo afferrare il senso di quelle parole e di quella sofferenza. Era forse esprimere inconsciamente il pensiero che, rimanendoci la vita, con la grazia di Dio, avremmo potuto rendere gloria a Maria con l’opera che stava per nascere». E “Opera di Maria” sarebbe stato, appunto, il nome ufficiale col quale la Chiesa avrebbe approvato il Movimento dei Focolari.
Le Mariapoli… Nate inizialmente come pause di riposo estivo dei primi membri del Movimento per rigenerarsi dalle fatiche apostoliche, fin da subito si rivelarono potenti attrattori di spiritualità per persone le più varie: giovani, famiglie, operai, professionisti, politici… tutti reduci dai terrori, dai lutti e dalle privazioni del periodo bellico, che aspiravano alla pace, ad una ritrovata fraternità. E chi meglio di Maria, madre di tutti, poteva dare il suo timbro spirituale a queste convivenze temporanee, antesignane delle cittadelle permanenti di testimonianza sorte più tardi in vari Paesi esteri, a cominciare da Loppiano, non lontano da Firenze?
Mentre l’Italia di quegli anni si destreggiava nella difficile opera di ricostruzione delle città e delle infrastrutture distrutte, mentre faticavano a rimarginarsi tra i popoli europei le ferite inferte dal Secondo conflitto mondiale, quanti uscivano rinnovati dall’esperienza Mariapoli contribuivano – con le altre forze sane della nazione – a ricomporre il tessuto sociale, immettendo in esso i valori del Vangelo, un Vangelo vissuto “a corpo”. Alle discussioni dei politici e di quanti esibivano la propria ricetta per porre rimedio agli enormi problemi sociali, alle piazze agitate dai comizi, faceva riscontro la vivacità lieta dei “mariapoliti”, pacifici invasori dei paesini dolomitici che s’impratichivano nell’arte di amare bandita da Cristo, i più forse senza neanche rendersi conto di porre così basi sicure al rinnovamento da tutti atteso.
Di questo Chiara e i suoi più stretti seguaci e collaboratori non dubitavano, anzi dal carisma dell’unità erano spinti ad allargare lo sguardo dall’Italia al resto del mondo. Anticipo di questa universalità era la presenza sempre più numerosa, in quei convegni, di uomini e donne provenienti da altri Paesi d’Europa e perfino extraeuropei; fino all’evento simbolico, nella Mariapoli del 1954 svoltasi a Vigo di Fassa, della consacrazione dei popoli al Cuore Immacolato di Maria.
Ultima edizione della Mariapoli unica nella Valle di Primiero, resta memorabile quella del 1959, dove nell’arco dei mesi estivi si avvicendarono in totale oltre diecimila presenze, con rappresentanti di 27 Paesi dai diversi continenti. In quella del 1960 a Friburgo, Chiara, parlando dell’unità dei popoli a non italiani, trasferiva al rapporto tra le nazioni la legge evangelica dell’amore, proponendo di «amare la patria altrui come la propria». Negli anni successivi, la Mariapoli si sarebbe moltiplicata in Italia e all’estero, portando al largo i fermenti di pace di questa originale esperienza.
Torniamo ad oggi, a quest’oggi tragico dove in una parte del nostro continente sono tornati ad accendersi quei fuochi di guerra che sembravano esperienza ormai alle spalle. Quando taceranno finalmente le armi in Ucraina, annuncio di pace? Tutti se lo chiedono, ma allo stato attuale degli eventi è difficile darsi una risposta. Una cosa è certa: in questa primavera tarda ad arrivare, anche a Mariupol’, quest’altra “città di Maria” ridotta ad un immenso campo di rovine, gli alberi superstiti lungo i viali, nei parchi cittadini e nei giardini privati rifioriranno, quasi a ridirci nel loro linguaggio mite e gentile le ragioni della vita, a farci sperare. È vero: la bellezza non può fermare una guerra. Ma può aiutare a sopravvivere.
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