Manchester, ci risiamo
Ci risiamo. Il terrorismo colpisce ancora, questa volta in una Gran Bretagna in campagna elettorale, alle prese con la Brexit e incerta sul futuro da dare agli immigrati che bussano alle sue porte. Per il momento le testimonianze e i resoconti della polizia non permettono ancora di delineare esattamente la situazione nel foyer della Manchester Arena, dove una folla di adolescenti e di genitori di adolescenti è stata investita alle 22.35 da una o due esplosioni, forse provocate da kamikaze. Dopo l’incertezza del caso, nel caos del fuggifuggi generale, in un viavai di voci d’ogni genere, gli inquirenti hanno confermato che potrebbe trattarsi di un «possible terrorist incident», cioè di un atto di terrorismo. La premier May ha sospeso la campagna elettorale, e stamani alle 10 italiane è convocato il consiglio dei ministri. I social hanno attivato i rilevatori di presenze sul luogo, i treni sono stati deviati, la polizia ha attivato una linea telefonica di emergenza per le persone che stanno cercando gli spettatori dispersi. Scenario apocalittico ormai conosciuto qui in Europa. Non ci sono ancora rivendicazioni, anche se siti vicini al Daesh stanno applaudendo all’attentato di Manchester.
Nelle prossime ore sapremo quel che realmente è accaduto alla Manchester Arena. Nel caso in cui venga confermato l’attentato, non si potrebbe non sottolineare come prosegua da una parte la campagna del terrorismo, con probabili origini dalle parti del Daesh, ma anche come i Paesi più esposti in Europa siano di nuovo quelli in cui il processo di accoglienza e integrazione di stranieri, in particolare provenienti dai Paesi a maggioranza musulmana, è più vecchia. È entrato in crisi il sistema francese di assimilazione, ma anche il sistema britannico dei “Londonistan” non funziona. Da tempo, dagli attentati del 2007, ci si chiedeva che cosa poteva accadere in Gran Bretagna. Fino all’attacco recente dinanzi al Big Ben di un solitario autista che il 22 marzo s’è scagliato contro la folla, facendo sei morti e decine di feriti. Nel frattempo altri allarmi sono seguiti in Gran Bretagna, fino alla terribile notte di Manchester.
L’attacco terroristico avviene in contemporanea con la visita di Trump in Arabia Saudita e Israele, in cui il presidente s’è impegnato con tutta la sua potenza militare e politica per combattere il terrorismo. Si cade di nuovo nella trappola: credere che la guerra asimmetrica del terrorismo, non convenzionale e diffusa, possa essere contrastata con misure militari. Certo, va risolto politicamente il nodo mediorientale, ma non bastano le armi per farlo. Serve molta più diplomazia e molta più educazione. Serve un impegno per la giustizia nazionale e internazionale. Servono sì misure di polizia e intelligence, ma non bastano.
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