Mamme NoPfas ancora in lotta
Qualcuno se l’aspettava, qualcun altro si è detto colto di sorpresa: fatto sta che la Miteni, azienda di Trissino (VI) ritenuta responsabile dell’inquinamento da Pfas di una vasta area del Veneto, ha presentato al tribunale di Vicenza domanda di concordato di continuità. Secondo quanto riferito nel comunicato dell’azienda, il gruppo Icig – che ha acquisito lo stabilimento nel 2009 da Mitsubishi, accollandosene anche i debiti e le criticità ambientali – sarebbe solido; la difficoltà starebbe nella chiusura delle linee di credito da parte di diversi istituti bancari, «preoccupati a seguito delle polemiche strumentali contro l’azienda». Non è stato reso noto l’ammontare del debito a cui la Miteni si trova a far fronte, ma sarebbe comunque tale da pregiudicare la prosecuzione dell’attività: di qui la richiesta di concordato al fine di rilanciarla, seguita da vivaci polemiche su più fronti.
In primo luogo c’è preoccupazione per la prosecuzione della bonifica dei terreni a cui la Miteni si era impegnata, e il cui costo è appunto uno dei nodi che rende necessario il ricorso al credito: per quanto il comunicato rassicuri sul fatto che non verrà fermata, e che l’azienda continuerà a portare avanti la conversione della produzione verso altri prodotti, i dubbi in merito quantomeno ad un forte rallentamento ci sono. «Questo territorio e i suoi abitanti hanno già pagato abbastanza, non sono ammissibili ulteriori perdite di tempo o, peggio, retromarce – hanno affermato i consiglieri regionali Cristina Guarda e Andrea Zanoni –. Bene che Miteni sottolinei che non ci sarà nessun disimpegno sul fronte delle bonifiche, ma ci sembra decisamente inopportuno che parli di polemiche strumentali. Per questo desideriamo che sia chiarito quanto prima quanto l’attuale amministrazione sia esclusivamente vittima della pessima gestione passata e non abbia invece peccato di gravi omissioni».
Anche i sindacati Cgil, Cisl e Uil hanno pubblicato una nota congiunta in cui la decisione di Miteni viene definita «inaccettabile», in quanto addossa «in modo assolutamente non condivisibile la responsabilità delle proprie difficoltà finanziarie alle giuste proteste delle organizzazioni sindacali e dei Comitati dei cittadini, che chiedono acqua pulita, la bonifica del sito e la dismissione delle produzioni pericolose per la salute e per l’ambiente». Inaccettabile anche l’intenzione di non dismettere del tutto la produzione di Pfas, a fronte della quale viene rinnovata la richiesta alla Regione ad intervenire per garantire acqua pulita alla popolazione, la bonifica del sito, la riconversione della produzione e la tutela sia della salute che dell’occupazione – sono circa 120 ad oggi i dipendenti di Miteni.
A dar voce alle preoccupazioni della popolazione sono state anche le Mamme no Pfas: dopo un primo momento di silenzio stampa, hanno dichiarato – tramite un articolo uscito su L’Arena – di essere pronte a ricorrere anche a vie legali per chiedere il sequestro dell’azienda. Secondo quanto affermato da Michela Piccoli, la Miteni starebbe «affrontando dei problemi che non sono legati alle iniziative volte a contrastare l’inquinamento da Pfas, come vorrebbe far credere, ma che sono legati alla sua attività»; e, tenuto conto che in quattro anni si è arrivati a controllare con i carotaggi solo il 10 per cento dell’area contaminata, ulteriori ritardi sarebbero intollerabili.
«Noi siamo solidali con i dipendenti di Miteni, così come vogliamo che le industrie continuino a lavorare – ha affermato la Piccoli –, ma è chiaro che qui il problema va risolto alla radice, sequestrando l’azienda e spostando gli impianti. Tutto ciò con un obiettivo ben preciso e non più procrastinabile: fare in modo che venga effettuata subito quella bonifica che adesso non è possibile realizzare in maniera efficace». Si sollevano anche poi dubbi sulla reale disponibilità di Miteni a pagare i costi del risanamento ambientale, e sul fatto che stia con questa richiesta cercando di tutelarsi da eventuali richieste di risarcimenti.
E se l’attuale amministrazione aziendale addita quella precedente come responsabile, è altrettanto vero, ricordano le Mamme, che anche le istituzioni non hanno svolto efficacemente il loro ruolo di controllo.
Si attende quindi ora l’ok del Tribunale alla procedura di concordato e alla ristrutturazione del debito: ulteriori incognite anche sul futuro della popolazione, che attende in primo luogo di poter avere acqua e terreni puliti.