Il M5S cerca “famiglia” in Europa

Le principali forze politiche italiane hanno già stretto accordi per le prossime elezioni europee. Resta da definire la posizione del Movimento guidato da Luigi Di Maio, mentre si profila un rinvio della Brexit, che potrebbe avere ripercussioni sul numero dei seggi e sui gruppi parlamentari.

Dopo il voto in Sardegna, con la vittoria del centrodestra guidato dalla Lega, le forze politiche si preparano ad affrontare le elezioni europee. In Italia si voterà domenica 26 maggio, l’ultimo dei quattro giorni previsti per il voto.

A differenza di quanto accade nei singoli Paesi, in Europa non si parla tanto di partiti, ma di famiglie politiche, in quanto le varie formazioni nazionali si accorpano per affinità ideologiche o per comunanza di obiettivi in gruppi più ampi. Stando ai sondaggi e alle previsioni degli analisti, ma soprattutto all’effetto della Brexit, cioè dell’uscita del Regno unito dall’Unione europea, la composizione del prossimo Parlamento potrebbe essere ben diversa da quella attuale.

 

gli-schieramenti-attuali-nel-parlamento-europeo-legislazione-2014-2019-in-uninfografica-realizzata-da-ansa-centimetriInnanzi tutto nel numero. Dagli attuali 750 deputati più il presidente, attualmente l’italiano Antonio Tajani di Forza Italia, una volta ufficializzata l’uscita del Regno Unito si passerà, infatti, a 705. I 73 seggi britannici verranno divisi in due parti: 46 saranno conservati per futuri Paesi aderenti, mentre 27 saranno ripartiti tra i più popolosi Stati membri.

L’Italia, che ne aveva 73, ne acquisirà altri 3, arrivando a 76 seggi complessivi. Nessuna variazione per la Germania, che già elegge il numero più alto, 96 deputati, mentre Francia e Spagna otterranno 5 deputati in più.

ripartizione-seggi-europei-dopo-lufficializzazione-del-recesso-del-regno-unito-infografica-del-parlamento-europeoMa l’incidenza principale della Brexit si vedrà sui numeri di alcune forze politiche, in quanto i “Tories” britannici lasceranno il gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr), mentre il Partito per l’indipendenza del Regno Unito, Ukip, abbandonerà l’Europa della libertà e della democrazia diretta (Efdd), di cui fa parte il M5S. Da qui la frenetica ricerca, per i pentastellati, di nuovi alleati nella casa comune europea.

Per costituire un gruppo parlamentare in Europa, infatti, servono almeno 25 deputati di 7 partiti di altrettanti Paesi diversi. Con l’uscita dei conservatori di Nigel Farage, uno dei promotori della Brexit, l’Efdd potrebbe smembrarsi. Messi da parte per il momento i gilet gialli francesi, Luigi Di Maio ha finora trovato un’intesa con i croati di Zivi Zid, che promuovono l’occupazione come forma di protesta contro gli sfratti, la formazione antipartitica polacca di destra Kuriz ’15, il debole partito finlandese Liike Nyt e i greci di Akkel, il partito dell’agricoltura.

Troppo pochi per formare un gruppo. Se Di Maio non troverà nuovi alleati, dovrà aggregarsi ad una delle altre formazioni esistenti. Per vicinanza di intenti ed euroscetticismo, potrebbe unirsi ai sovranisti dell’Europa delle nazioni e della libertà (ENF), che vede insieme, tra gli altri, la Lega di Matteo Salvini e il Rassemblement national (ex Front national) della francese Marine Le Pen. E non è mancato, in questi giorni, chi ha fatto proprio il nome del leader leghista come guida della formazione e possibile candidato alla presidenza della Commissione europea.

Di sicuro, la Lega ha delle mire molto alte: come dichiarato dall’europarlamentare leghista Marco Zanni all’AdnKronos, dopo le elezioni in Sardegna «Salvini si concentrerà sul voto europeo, lanceremo la piattaforma “sovranità”, con l’obiettivo di arrivare a quota 130-140 membri». Il mezzo potrebbe essere una grande alleanza populista-sovranista, che rivendichi maggiore autonomia per i singoli Stati, riducendo i legami dell’Unione.

matteo-salvini-e-marine-le-pen-foto-ansaI leghisti “corteggiano” anche il Partito popolare democratico cristiano del premier ungherese Viktorn Orbán, euroscettico convinto, ma ancora presente nel gruppo europeista del Partito popolare europeo (Ppe), di cui fa parte Forza Italia. Un alleato da cui, però, finora, Salvini non ha ricevuto aiuto concreto, ad esempio per l’accoglienza condivisa dei migranti. Ambiscono ad Orbán e ai suoi voti anche i Conservatori e riformisti europei (Ecr), “euroscettici moderati”, a cui ha di recente aderito il partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia.

Guardando alle altre forze in campo, il Ppe, attualmente primao gruppo politico in Parlamento, per gli analisti potrebbe veder calare i propri rappresentanti, mantenendo comunque la maggioranza. Potrebbe perdere seggi anche l’Alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa (Alde), anche se la ritrovata popolarità del presidente francese Emmanuele Macròn (risalita ai livelli precedenti alle proteste dei gilet gialli) potrebbe contribuire a limitare le perdite. E non manca chi ipotizza l’alleanza, in chiave anti-sovranista, di forze di sinistra e liberali. All’Alde, un paio di anni fa, aveva deciso di aderire anche il M5S, deciso ad abbandonare l’Efdd. Il Movimento aveva però ricevuto un rifiuto, perché le esternazioni antieuropeiste dei suoi rappresentanti erano state ritenute mal conciliabili con l’anima fortemente europeista dell’Alleanza.

Tra i sostenitori di un’Unione europea forte e compatta c’è anche la seconda forza politica del Parlamento, l’Alleanza progressista di socialisti e democratici (S&D), di cui fa parte il Pd, che in caso di Brexit perderà i laburisti britannici e dovrà affrontare l’avanzata dei sovranisti. Pochi gli italiani rappresentati nelle altre famiglie politiche presenti in Parlamento: oltre al gruppo dei Non iscritti (Ni), ci sono la Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica (Gue/Ngl) e il Gruppo parlamentare dei Verdi – Alleanza libera europea (G-Efa).

Britain BrexitSe la Brexit venisse rinviata?
Visti gli ultimi sviluppi legati alla Brexit, non sono però esclusi colpi di scena. Come si diceva, le modifiche all’attuale assetto del Parlamento (la nuova ripartizione del numeri dei seggi e la composizione dei gruppi) sono legate all’uscita formale del Regno Unito dall’Ue, fissata per il 29 marzo 2019. Successivamente, è stato previsto un periodo transitorio fino al 31 dicembre 2020 per il completamento delle procedure e la stipula dei nuovi accordi.

L’articolo 50 del trattato sull’Ue prevede, tuttavia, la possibilità che il Consiglio europeo, d’intesa con lo Stato membro interessato, possa all’unanimità prorogare i tempi di uscita. Una eventualità che sta prendendo quota, anche per la difficoltà della premier britannica Theresa May di far approvare, in Patria, il piano di uscita stipulato con l’Ue. Un accordo che la vede impegnata in nuovi negoziati, per il quale è previsto il voto del Parlamento di Londra per la metà di marzo. Nel caso di un “no deal”, cioè di un’uscita dall’Ue senza accordi commerciali, il Regno Unito rischierebbe gravi danni finanziari e commerciali.

Nel caso in cui venisse prorogata la Brexit, però, i cittadini britannici dovrebbero votare per il nuovo Parlamento europeo e, naturalmente, la nuova ripartizione dei seggi salterebbe, in quanto la sua applicazione è legata all’effettiva attuazione del recesso. La ripartizione per Paese membro rimarrebbe dunque uguale a quella della legislatura in corso e il totale dei deputati resterebbe di 751.

Sull’estensione dell’articolo 50, dunque sulla proroga della Brexit, ha dato nei giorni scorsi parere favorevole il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, per il quale potrebbe essere una “soluzione razionale”. May, che assicurava di poter ancora riuscire a completare le procedure, adesso comincia a valutare il rinvio, pur ritenendolo un tradimento nei confronti degli elettori e del suo partito. La parola dunque passa al Parlamento britannico, ma il voto – previsto per oggi – è stato rinviato al 12 marzo. Non è dunque escluso che i tempi dell’uscita del Regno Unito dall’Ue si allunghino e nemmeno che possa essere richiesto un nuovo referendum per rivalutare la Brexit.

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