L’utopia concreta delle mamme NoPfas

La cura della vita davanti al più grave caso di inquinamento dell’acqua in Europa
NoPfas land archivio

Dark Waters è un gran bel film. Parla di un avvocato, Robert Bilott, che, nel 1998, decide di sostenere i cittadini di Parkersburg, in West Virginia, verso la Du Pont, un gigante dell’industria chimica, accusata di aver provocato un grave inquinamento idrico. In pochi conoscono la chimica, ci basta sapere che all’origine del grave problema c’è l’uso degli acidi perfluoroalchilici, sostanze, definite con sigle diverse (Pfas, Pfoa,ecc.). In quello stato americano, abitato da gente rude, non esiste un pregiudizio contro le imprese. Pochi ricordano gli scioperi dei minatori repressi nel 1921 con le bombe dell’aviazione militare. Lo studio di Billot difende, di solito, le imprese, ma decide di accettare una causa “impossibile” perché crede che, in una società liberale, non sia possibile separare la libertà dalla responsabilità. La pellicola mostra 20 anni di questa epopea raccontando il solido amore, nelle avversità, tra   Robert, sua moglie Sarah e i tre figli. Alla fine, arriva la vittoria insperata con tanto di mega risarcimenti.

Generare e accogliere la vita è la molla interiore di questa storia, collegata con il Veneto. Non solo per la presenza, purtroppo, dello stesso tipo di inquinamento. Anche qui c’è gente caparbia, legata alla terra, con un passato di povertà, che nutre, nel secondo dopoguerra, la ricerca di una sicurezza promessa da imprese grandi e piccole, fino a diventare una delle regioni più ricche d’Europa. Con industriali, tipo i Benetton, partiti col fare i maglioni e arrivati a gestire autostrade, aeroporti, ecc. Di antico lignaggio è, invece, nell’alto vicentino, la dinastia dei Marzotto, tuttora il primo gruppo tessile italiano, che nel comune di Trissino decise, nel 1965 di aprire la “RiMar” un centro di ricerca e, poi, di produzione, desinata a utilizzare quelle sostanze sperimentate negli Usa per tanti usi, come rendere impermeabili i tessuti o antiaderenti le stoviglie di casa. L’azienda è stata poi rilevata del 1988 da Enichem assieme alla Mitsubishi, cambiando il nome nella sintesi dei due marchi: “Miteni”. I nipponici prenderanno il controllo esclusivo nel 1996 per poi cedere la proprietà nel 2009, al valore simbolico di un euro, alla International Chemical Investors, multinazionale tedesca di diritto lussemburghese.

L’ambiente come ostacolo

L’investimento dei Marzotto e poi del gruppo Eni, di grandi soggetti esteri è stato accolto una garanzia, ma già nel 1977 erano emersi i primi problemi ambientali di contaminazione delle acque potabili, archiviati poi in sede processuale. Un fatto prevedibile per un’azienda collocata sopra una grande falda, proprio per il gran consumo idrico richiesto dal tipo di produzione. Ma la maggioranza silenziosa, prevalente nelle urne elettorali, è stata, come dappertutto, refrattaria verso precauzioni di tipo ecologista. Gli ambientalisti, attivi ma spesso divisi, sono rimasti una minoranza nonostante casi eclatanti come il petrolchimico di Porto Marghera e l’area industriale di Mestre.  Con la fine della Dc, una parte preponderante di chi votava quel partito dalle tante anime ha trovato la sua collocazione fisiologica nel pragmatismo leghista che, nella prima versione, inventò anche riti legati al “dio Po”, ma proprio l’acqua del più grande fiume italiano si è rivelata quella più inquinata in Europa. Un’evidenza che porta Il ministero dell’Ambiente, nel 2013, a promuovere «una campagna di misurazione di sostanze chimiche contaminanti rare sui principali bacini fluviali italiani» da cui emerge un «inquinamento diffuso da sostanze perfluoro-alchiliche (Pfas)» in alcuni ambiti del Piemonte, Lombardia e, in particolare, nel territorio compreso tra Vicenza, Verona e Padova che coinvolge 350 mila abitanti. Quella sigla misteriosa è ormai ben nota alla comunità scientifica internazionale. Viene lanciato l’allarme alla Regione Veneto, che pone dei filtri negli acquedotti e inizia canalizzazioni da altre fonti non compromesse

Si comprende rapidamente che la causa principale del problema è la Miteni collocata sopra una ricarica di falda acquifera, ma la Regione riconosce che le sostanze dannose «sono utilizzate anche da altre aziende». Le Ulss eseguono un piano di sorveglianza sanitaria della popolazione delle zone più colpite. Nella “zona rossa” del comune di Lonigo, nel 2017, si riscontrano valori abnormi nelle analisi cliniche. Soprattutto nei bambini, lasciando di sasso i genitori. Un gruppo crescente di madri decidono di muoversi seriamente. «Sono un infermiera, lavoravo 9 ore al giorno in un reparto di malati terminali. Quando arrivavo a casa cercavo di distrarmi con la pittura e soprattutto dedicandomi ai figli, ma quando ho scoperto che nel loro corpo era stata messa una specie di bomba ad orologeria, non ci ho visto più», racconta una di loro, Michela Piccoli. Si scusa del fatto che fino ad allora, come tanti, era ignara di ogni questione ambientale. Al loro fianco, fin dall’inizio, Vincenzo Cordiano, dell’Isde (associazione dei medici per l’ambiente) che non può tacere sulla dannosità della presenza di tali sostanze nel sangue: non solo ipertensione, colesterolo alto, diabete, problemi riproduttivi ma anche patologie tumorali.

Obiettivi chiari e ragionevoli

Nasce così il movimento delle “Mamme Nopfas – genitori attivi”, una realtà volutamene non strutturata, che funziona a rete. Cosa vogliono? Far valere la responsabilità della Miteni e di chiunque si nasconda dietro le sigle societarie. La procura di Vicenza ha rinviato a giudizio per i reati di “disastro innominato” e “avvelenamento delle acque” la Mitsubishi e la controllante della International Chemical Investors, oltre i curatori del fallimento Miteni, avvenuto nel 2018. Agli atti anche una relazione dei carabinieri del Noe da cui risulterebbero dati già noti in azienda dal 1990.

Le mamme chiedono il livello zero di contaminazione Pfas delle acque superficiali e sotterranee destinate, in un modo o nell’altro, ad entrare nel ciclo alimentare. Sono sostanze che necessitano di tempi lunghi per la loro espulsione dal corpo dove tendono, perciò, ad accumularsi. L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), di anno in anno, propone limiti tollerabili di assunzione sempre più infinitesimali. Ma quando il Parlamento europeo ha definito la “direttiva acque” nel 2018 è stato prevalente il peso, sul voto, delle aziende chimiche, come ha dovuto riscontrare la delegazione dei genitori vicentini che si era recata, piena di fiducia, a Strasburgo. La posizione di minoranza dell’Italia nella Ue sulla questione dei limiti Pfas nelle acque è stata confermata dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa che 2019, incontrando le mamme, ha detto di aver stabilito, con una commissione ad hoc, una nuova «definizione di valori limite di emissione per le sostanze chimiche pericolose» nelle acque che, per essere definitiva, deve passare l’esame della “conferenza stato regioni”. Ancora non pervenuta.  Ed è a livello regionale che si pone il cuore del problema e cioè, oltre i costosi interventi pubblici di filtraggio e nuova canalizzazione, la bonifica del sito inquinato, chiesto in più incontri diretti con Luca Zaia, presidente della regione Veneto, dalle Mamme No Pfas. Il ritardo comporta l’aggravamento e il propagarsi dell’inquinamento della falda acquifera che si estende 1,3 km all’anno. La bonifica è a carico del soggetto che ha inquinato e affidata alla “conferenza dei servizi”, una procedura amministrativa che prevede di coinvolgere tutte le parti interessate, dai rappresentanti delle società coinvolte, alle istituzioni fino alle associazioni. Tempi tecnici che si allungano per un’emergenza nazionale che deve entrare nel piano di rilancio globale post pandemia.

Il senso della dignità

Il metodo delle mamme NoPfas è disarmante e disarmato. Cercano il dialogo con tutti, in nome di un bene comune come l’acqua, ricevendo, finora, il solo rifiuto da parte di Confindustria. Sfuggono ad ogni incasellamento ideologico perché mettono in evidenza il principio della cura misurato sulla vita dei figli. Non disdegnano, anzi coltivano i rapporti e le alleanze con un arcipelago di associazioni e comitati attivi da tempo. Hanno portato in piazza migliaia di persone, inviato una delegata al coordinamento attivo negli Usa e promosso un incontro pubblico a Lonigo con Robert Billot, oltre a costruire un collegamento permanente sull’emergenze ambientali da Nord a Sud.

Ma lo scoramento può arrivare davanti a tanti muri di gomma. È questo il passaggio decisivo in cui sui percepisce, davanti ai limiti, che l’impegno vero «ci restituisce il senso della nostra dignità, ci conduce a una maggiore profondità esistenziale, ci permette di sperimentare che vale la pena passare per questo mondo», come scrive Francesco nella Laudato Sì. Al cuore di questa enciclica, che il papa ha definito «una lunga riflessione gioiosa e drammatica», si pone l’esigenza di una radicale conversione ecologica. Le mamme NoPfas sono “pericolose” perché rendono evidente la necessaria alternativa di un sistema economico fondato sull’estrazione di profitto dalla vita. Aggiornamenti su cittanuova.it.

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