Libia, l’Europa lancia l’operazione Irini
Operazione Irini, come la dea greca della pace: questo il nome che ha assunto la nuova operazione militare di politica di sicurezza e di difesa comune dell’Unione europea (UE) nel Mediterraneo, con lo scopo principale di attuare l’embargo sulle armi imposto dalle Nazioni Unite (ONU) verso la Libia, utilizzando mezzi aerei, satellitari e marittimi.
In particolare, la missione svolgerà delle ispezioni sulle imbarcazioni in alto mare al largo delle coste libiche sospettate di trasportare armi o materiale connesso da e verso la Libia, che è in una guerra civile. Infatti, la tregua concordata con la conferenza di Berlino il 19 gennaio 2020, non si è mai concretizzata, mentre i combattimenti sul terreno sono proseguiti a fasi alterne.
Inoltre, l’operazione Irini, controllerà e raccoglierà informazioni sulle esportazioni illecite di petrolio, di petrolio greggio e di prodotti del petrolio raffinati dalla Libia, contribuirà allo sviluppo delle capacità e alla formazione della guardia costiera e della marina libiche nei compiti di contrasto in mare e contribuirà allo smantellamento del modello di attività delle reti di traffico e tratta di esseri umani attraverso la raccolta di informazioni e il pattugliamento con mezzi aerei.
La missione Irini, la cui durata è per ora fissata fino al 31 marzo 2021, sarà guidata al Contrammiraglio Fabio Agostini, comandante dell’operazione dell’UE, e il comando operativo avrà sede a Roma. Con l’avvio dell’operazione Irini, l’operazione Sophia, la prima operazione militare di sicurezza marittima lanciata dall’UE, avviata il 22 giugno 2015, che mirava soprattutto al contrasto dell’immigrazione clandestina nel Mediterraneo, cesserà definitivamente le sue attività.
L’alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ritiene che «solo le soluzioni politiche e il pieno rispetto dell’embargo sulle armi imposto dall’ONU risolveranno la crisi libica. Ma la diplomazia non può avere successo se non è sostenuta da azioni. Tale operazione sarà essenziale e darà un chiaro contributo alla promozione della pace nel nostro immediato vicinato mediante un cessate il fuoco permanente».
Intanto in Libia si continua a combattere e a morire: neppure una tregua sanitaria per fare fronte alla pandemia del coronavirus COVID-19, come richiesta dalla comunità internazionale, è mai stata osservata. Anzi, ad un anno dal suo assalto alla città di Tripoli, il generale Khalifa Haftar ha intensificato le operazioni militari con il suo Esercito Nazionale Libico, forte dell’appoggio di Emirati Arabi Uniti, Russia ed Egitto. Fayez al Serraj, che guida il Governo di Accordo Nazionale con sede a Tripoli, riconosciuto dall’ONU, regge grazie al sostegno di Qatar e Turchia, che ha inviato mezzi, soldati e milizie paramilitari in suo sostegno, riequilibrando il rapporto tra le forze sul campo ma anche determinando l’attuale situazione di stallo e di bassa conflittualità.
Eppure, il governo di Tripoli si trova sempre più isolato dalla comunità internazionale proprio con l’intervento della Turchia, che intende rafforzare il proprio ruolo come anello di congiunzione tra le aree di estrazione del petrolio in Medioriente e quelle di consumo in Europa. Inoltre, la scoperta di cospicui giacimenti di gas nel Mar Mediterraneo, tra Egitto, Cipro e Israele, rende quell’area strategica sullo scacchiere geopolitico.
Inoltre, il governo di Tripoli sta attraversando una profonda crisi economica e di legittimità dopo il blocco delle esportazioni di petrolio deciso da Haftar il 17 gennaio, che ha causato un ritardo nel pagamento degli stipendi del settore pubblico e un malcontento crescente tra la popolazione. Secondo la Banca centrale Libica, da allora, il paese ha perso oltre 3 miliardi di dollari ed ha visto ridurre la propria produzione di petrolio sotto i centomila barili al giorno.
In questo frangente l’UE resta alquanto indifferente e, anzi, se fino a qualche settimana fa i timori di un’invasione di rifugiati dalla Siria, spinti dalla Turchia verso la Grecia per ricattare i paesi europei, l’avevano spaventata, adesso è alle prese con la gestione della pandemia del COVID-19 e, con la recessione economica che seguirà, avrà tutt’altro a cui pensare nei mesi a venire.
Se è vero che le pressioni internazionali (e gli interventi militari di potenze straniere) sono determinanti, in realtà sta agli stessi libici risolvere il conflitto. L’embargo sulle armi, in un paese nel quale si stima ce ne siano almeno 20 milioni su una popolazione di 6 milioni di abitanti, è una tessera fondamentale per comporre il mosaico della pace.