Lewis Hamilton nell’Olimpo della Formula 1
Le prime pagine dei giornali sportivi e non, stamattina, sono tutte per lui. Col nono posto di ieri nel GP del Messico, infatti, Lewis Hamilton ha conquistato il suo quarto titolo mondiale in Formula 1, terzo dal 2014 a bordo di una Mercedes dimostratasi ancora una volta la macchina migliore. Non è bastata la quarta posizione al ferrarista Sebastian Vettel, scivolato a -56 punti, per tenere vivo un Mondiale che al ritorno dalla pausa estiva aveva preso una piega ben precisa. Questa stagione è una sorta di manifesto delle migliori capacità di Lewis Hamilton: dopo i primi mesi di difficoltà, con la Ferrari che dettava legge, il pilota inglese è riuscito a “domare” i capricci di una vettura difficile da settare e con frequenti problemi di assetto.
Dal GP del Belgio, a fine agosto, Hamilton ha restaurato la sua dittatura sul Mondiale, con prove cristalline di classe e determinazione: splendido nel contenere il ritorno di Vettel a Spa Francorchamps, maestoso nell’imporsi a Monza in casa delle Ferrari, l’inglese ha poi profittato del clamoroso patatrac delle rosse in partenza a Singapore, imponendosi pur essendo partito dalla quinta piazza. Giappone e Stati Uniti sono stati gli altri due tasselli di una cavalcata conclusasi ieri, al termine di una gara difficile cominciata con la collisione tra lui e il suo rivale tedesco e contraddistinta da una rimonta che lo ha riportato in zona punti. «Essere tra i più grandi? Mi sembra surreale: non è stata la gara che volevo – ha commentato il campione del mondo a caldo – avevo un ritardo di 40 secondi ma non ho mai mollato, pescando nel mio cuore la forza per andare avanti fino alla fine».
Una dichiarazione, quest’ultima, che ci porta alle radici dell’esperienza di vita di Lewis Hamilton: dietro un presente di fama e successi, infatti, si cela un’infanzia complicata segnata da dislessia e bullismo, col padre che nonostante le grandi difficoltà economiche ha fatto i salti mortali per permettergli di rincorrere il suo sogno. Il pilota, nato a Stevenage nel 1985, è cresciuto all’interno di una famiglia in cui i genitori erano divorziati: passava la settimana con la madre e i weekend col padre, figura decisiva per la sua crescita come uomo e pilota. «Se non fosse per lui non sarei qui – ha dichiarato Hamilton in una intervista – ha fatto di tutto per la mia carriera: lavorava in una ditta di distributori automatici di bevande e quando finiva il turno correva a fare un altro lavoro. È arrivato anche a farne quattro contemporaneamente: ogni volta che mi siedo in macchina mi ricordo dei suoi grandi sacrifici». È stato grazie al padre, indebitatosi per decine di migliaia di sterline che il giovane Lewis è riuscito a iscriversi ai campionati di Kart.
La conoscenza col boss della McLaren Ron Dennis ha fatto il resto, con il ragazzo entrato giovanissimo nell’universo della casa automobilistica di Woking: lì è cresciuto come pilota, sviluppando le sue abilità nella Kart Formula A, in Formula Renault 2.0, Formula 3 e infine in GP2. Una scalata dal nulla che al giorno d’oggi è sempre più difficile: «Senza soldi non puoi entrare nel Circus, fare come me è quasi impossibile adesso: la triste realtà è che fra un ragazzino che vince tutte le gare e un altro ricco andrà sempre avanti il secondo. In 24 anni di gare, poi, non avevo incontrato un altro pilota di colore: solo adesso inizio a vedere bambini di razze diverse, è un cambiamento importante». La sua rincorsa al successo, dunque, è stata in salita ed è partita dal nulla. Per questo Hamilton non dimentica i momenti difficili, anche a distanza di anni: «A 4 o 5 anni ho subito il bullismo dei compagni di scuola e ho chiesto a mio padre di fare karate, volevo difendermi da solo. È una cosa terribile, un comportamento da codardi: chi lo subisce deve chiedere aiuto e la gente che assiste deve intervenire. Credo che i professori debbano aiutare i ragazzi nelle scuole».
Il segreto del successo di Lewis Hamilton e la sua fama nel rincorrere grandi risultati, forse, hanno origine proprio da racconti del genere. Mai perdere la fiducia, come ha dichiarato il quattro volte campione inglese anche dopo aver ceduto il titolo 2016 contro Nico Rosberg: «Ho perso il titolo, ma l’ho superato come numero di vittorie. Ero comunque fiero perché non mi sono mai arreso: il mio credo fin da bambino».