Legge Zan, test per un dialogo ancora possibile

Una nota diplomatica del Vaticano chiama in causa la violazione del Concordato tra Stato e Chiesa circa gli effetti del disegno di legge in discussione in Parlamento. Il pericolo di una dannosa polarizzazione per mancanza di un vero dialogo
Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

Il Vaticano tramite il suo ministro degli esteri, cardinale Paul Richard Gallagher, ha formalizzato per vie diplomatiche, come avviene tra stati sovrani, le proprie riserve verso un disegno di legge proposto dal deputato del Pd Alessandro Zan in materia di contrasto all’omotransfobia.

La nota diplomatica è stata consegnata il 17 giugno, ma è emersa pubblicamente grazie ad un articolo del Corriere della Sera del 22 giugno. Nella comunicazione ufficiale si «auspica che la parte italiana possa tenere in debita considerazione le argomentazioni e trovare così una diversa modulazione del testo continuando a garantire il rispetto dei Patti lateranensi».

Il dibattito intorno a questa legge in itinere è molto acceso perché, secondo certe rilievi avanzati da diverse fonti, il testo non si limiterebbe a difendere le vittime dai comportamenti discriminatori ma introdurrebbe un reato di opinione che costituirebbe una violazione della libertà di pensiero ed espressione.

La normativa proposta dal deputato padovano, da sempre attivo nel campo dei diritti Lgbt, esprime una linea condivisa dall’intero centro sinistra, con qualche dissenso isolato nel Pd, e dal M5S. Ogni obiezione al suo impianto normativo è stata considerata un’espressione retriva, negatrice dei diritti umani, anche se le critiche sono arrivate anche da parte del mondo femminista con riferimento, in particolare, al concetto di “identità di genere”. Come ha detto ad Avvenire, Francesca Izzo, rappresentante dell’associazione di donne “Se non ora quando-Libere”, «sarebbe stato più che opportuno, per raggiungere l’obiettivo che il ddl si propone, seguire una prassi che ha nel passato dato buoni frutti : in campi eticamente e culturalmente sensibili, è bene cercare il più largo consenso senza trasformare queste istanze di civilizzazione della vita associata e di rispetto delle persone, in una contrapposizione di schieramento politico, schiacciando, come purtroppo è accaduto, ogni voce critica su una secca alternativa sì o no, prendere o lasciare».

Esistono e sono in corso tentativi di dialogo a partire dal merito del testo di legge come dimostra ad esempio il percorso avviato dal Movimento politico per l’Unità. Si veda il dibattito trasmesso via web lo scorso 19 marzo. La complessità della materia emerge poi dalla lunga intervista di Angela Grassi alla giurista Adriana Cosseddu pubblicata su cittanuova.it.

Ma non si può negare il progressivo scivolamento verso la temuta polarizzazione in una materia che richiederebbe, invece, l’unità contro ogni discriminazione dei diritti umani.

Enrico Letta ha chiesto di approvare al più presto il testo Zan in linea con il suo discorso programmatico europeista di segretario del Pd. La Lega e Fratelli d’Italia possono assumersi così il titolo di difensori della libertà di pensiero e dei valori familiari: “prima la famiglia” è lo striscione che ha accompagnato l’ultimo comizio di Salvini a Roma, assieme all’altro motto consueto “prima gli italiani”.

La nota del Vaticano si presta ad essere interpretata dagli esperti di diritto ecclesiastico in base al contenuto del Concordato esistente tra Stato e Chiesa cattolica definito nel 1929 durante il regime fascista, inserito nella  Costituzione democratica del 1948 e revisionato durante il governo di Bettino Craxi nel 1984.

Una prima valutazione immediata conduce a pensare che tale atto da parte della Santa Sede avrà l’effetto di spingere anche i dubbiosi ad approvare il testo della legge Zan come risposta alle presunte intromissioni clericali. Basta leggere alcune dichiarazioni, a cominciare da quella del presidente della Camera, il pentastellato Roberto Fico, per avvertire il rischio di tornare allo scontro tra le gerarchie ecclesiastiche e la dirigenza massonica del nuovo Stato italiano fondato sulla conquista della Roma pontificia a suon di cannonate nel 1870. Uno scenario improponibile e che dovrebbe condurre al buon senso senza cedere alle provocazioni che si sprecano in questo campo.

Secondo l’interpretazione originale dello storico Alberto Melloni, l’atto vaticano, assumendo la problematicità della legge sotto l’aspetto dei rapporti tra due Stati, con riferimento esplicito alla libertà di insegnamento delle scuole cattoliche, punta a sottrarre la questione alle facili strumentalizzazioni politiche di schieramento.  Ma i commenti sono molteplici e molto diversi tra loro.

Secondo il teologo Giuseppe Lorizio che ha scritto ad Avvenire, l’intervento diplomatico è decisamente legittimo: «Come con la diplomazia interveniamo su regimi che negano la libertà delle persone, i quali a loro volta ritengono ‘ingerenza’ la difesa dei diritti umani, così, la Segreteria di Stato vaticana ha tutto il diritto di rivolgersi ai propri interlocutori diplomatici a livello istituzionale». Per il teologo della Lateranense l’intervento delle gerarchie sui temi sensibili è dovuto all’«assenza di laici responsabili e maturi nella scena politica del Paese». Una tesi che appare ingenerosa ma che dovrebbe far pensare ai tanti fronti, dalla tutela dei migranti alle politiche di guerra, dove si avverte la carenza di difensori dei valori umani e quindi costituzionali.

La linea di buon senso auspicabile da parte del Presidente del Consiglio Mario Draghi conduce a pensare che andrà avanti il tavolo di mediazione già aperto in Senato, come auspicato dal direttore di Avvenire Marco Tarquinio, a favore di «una norma che dovrebbe essere motivo di unione contro reati odiosi e non di veemente contrapposizione e di rischiosi scivolamenti illiberali».

Secondo Draghi, intervenendo in Senato il 23 giugno, «il nostro ordinamento contiene tutte le garanzie per assicurare che le leggi rispettino sempre i principi costituzionali e gli impegni internazionali, tra cui il Concordato con la Chiesa. Quindi vi sono i controlli di costituzionalità preventivi nelle competenti commissioni parlamentari, è di nuovo il Parlamento che per primo discute della costituzionalità. E poi vi sono i controlli successivi nella Corte costituzionale». Una risposta istituzionale da declinare in concreto.

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