Le bugie che mi racconto
Ne abbiamo un esempio in letteratura nel romanzo spagnolo di don Chisciotte de la Mancia di Miguel de Cervantes Saavedra. Convinto di essere un cavaliere errante genera in sé convinzioni che divengono ben presto ostinazioni che lo portano a deformare la realtà. Perso il dato reale, ogni cosa acquista senso in funzione di ciò di cui egli è convinto. Vede avversari che non esistono ed esce da queste battaglie sempre perdente, né riesce ad integrare nella sua esperienza i dati di realtà che seppur debolmente il suo scudiero, Sancho Panza gli rimanda. Sancho Panza gioca il ruolo di alter ego. Prova a farlo ragionare ma finisce sempre per essere complice e succube delle sue bizzarrie. Nella lotta tra razionalità e istintività i due personaggi si perdono, poiché nessuno dei due aspetti prende il sopravvento sull’altro non c’è una soluzione possibile.
Un analogo vissuto di combattere ogni giorno una battaglia contro qualcosa di inesistente attraversa coloro che sono vittime dei propri autoinganni. Esse vivono la sensazione di rimanere sospesi in una situazione di incertezza costante legata all’ostinazione di credere a false credenze su di sé. Nel loro intimo confermano e disconfermano alternativamente quegli aspetti di sé che desidererebbero ma temono, o meglio sono convinti, di non avere. Sono così intimamente convinti di sapere come sono che gli risulta molto difficile di integrare i feedback che ricevono (attraverso le esperienze o dalle persone) con le loro credenze aprioristiche su di sé. Questo accade sia quando la persona si svaluta eccessivamente sia quando al contrario ha di sé un’immagine eccessivamente positiva.
In un precedente articolo abbiamo visto come e perché si dicono le bugie e cosa accade quando si diventa dei bugiardi abitudinari.
L’autoinganno è una bugia un po’ diversa. Essa è detta due volte: prima a sé stessi e poi agli altri e funziona fintanto che una parte di sé vi crede veramente. Dietro di essa si nasconde una grande paura del giudizio, proprio ed altrui. La profonda convinzione di non essere abbastanza richiama al bisogno di riconoscimento ed attribuzione di valore. Si è in genere molto esigenti con sé stessi, poco empatici ed accoglienti. Si inseguono ideali (lavorativo, familiare, coniugale, amicale, di svincolo parentale, ecc.) e ci si circonda di persone rassicuranti che, come Sancho Panza, tendono a confermare l’immagine che si ha di sé senza mai sostenere una conoscenza più profonda di sé. Molte energie sono investite per affermare e confermare lo status quo che è molto più rassicurante rispetto all’incertezza del pensarsi in evoluzione.
A queste condizioni, generare ed inglobare in sé nuove consapevolezze è davvero difficile. Così come lo è l’attribuire qualità ad alcune parti di sé che possono essere genericamente e frettolosamente negate, svalutate o esaltate ma senza un riferimento contestuale. Ad esempio la genuinità e la ricchezza d’animo possono essere additate come segno di debolezza e le angherie come segno di un carattere forte.
Questi moderni don Chisciotte si sentono fragili e vivono una lotta interna per affermare sé stessi. Generalmente non si sono mai misurati fino in fondo con le proprie capacità reali ma le hanno sempre molto temute. Essere aiutati a misurarsi con esse, per quanto paura possa fare, è possibile e necessario per trovare una soluzione al proprio dilemma interiore: la ricerca di valore e la difficoltà a credere in esso.
Gli autoinganni possono essere di diverso tipo. Essi godono di quella zona franca del cervello di cui parla lo psicologo Daniel Goleman, entro cui si generano le cosiddette “bugie vitali”. La persona rileva la situazione e vi trova una giustificazione plausibile che non la costringe a dover mettere in dubbio aspetti di sé. Ne guadagna in serenità interiore e mantenimento dello status quo ma ne perde in capacità di crescita personale.
Esempi di autoinganni possono essere: i comportamenti stereotipati di chi dice bugie per migliorare la propria reputazione. Chi sostiene verità presunte: «Gli altri non mi parlano perché sono invidiosi di me». Le giustificazioni per l’altrui o il proprio comportamento: «È violento perché è un vero maschio» o «Sono fatto così!».
L’autoinganno è nocivo per la persona, lede le sue possibilità di crescita personale, maturazione psichica e miglioramento poiché blocca il cambiamento. Per essere superato è necessario riuscire ad uscire dalla trappola mentale di cui si è prigionieri e allearsi con quella parte di sé che opera sempre per lo sviluppo personale. Per quanto temerario e faticoso possa apparire è molto più avventuroso che lottare contro i propri mulini a vento, le proprie tautologiche autocredenze mai veramente confutate fino in fondo.