Lavoro e riconversione industriale a Genova
Aveva destato grande soddisfazione il voto all’unanimità da parte del Consiglio regionale ligure, dopo che ciò era avvenuto anche al comune di Genova, di una mozione con cui impegna la giunta a «sollecitare, anche attraverso i parlamentari liguri, il Parlamento italiano affinché, al pari di altri Stati europei, riconoscendo le gravi violazioni al diritto internazionale perpetrate nella guerra in Yemen, si esprima con fermezza per vietare l’esportazione e per bandire dal proprio territorio e dai propri porti il transito di armamenti destinati alla sanguinosa guerra yemenita».
Mentre si attendono ancora le risposte da parte del governo italiano riguardo alle medesime istanze proposte da un folto gruppo di grandi associazioni nazionali, per la seconda volta a pochi giorni di distanza nel porto di Genova i lavoratori portuali di diverse sigle hanno costretto con una forte manifestazione ad un altro cargo saudita di non caricare nuovamente materiale tecnologico utilizzabile nelle zone di guerra come il conflitto in corso nello Yemen.
Soddisfazione dal sindacato, dai lavoratori portuali, e da quel folto gruppo di camalli che a denti stretti cercano di guadagnarsi il consenso delle istituzioni facendo rispettare i trattati internazionali. Se da un lato questa presa di posizione soddisfa, dall’altra suscita qualche preoccupazione in quanto altre navi con carichi simili, potrebbero scegliere altri porti per attraccare e questo comporterebbe conseguenza negative all’economia della città.
Sulla questione si è espresso il presidente dell’Autorità portuale, Signorini, secondo il quale «si tratta di una questione che ha una rilevanza politica e per questo dovrebbe intervenire il governo nazionale». Secondo Signorini non devono essere penalizzati gli operatori e neppure i camalli. Dello stesso parere anche Banchero presidente degli agenti marittimi. Nessuno è favorevole alla guerra sottolinea Botta, direttore di Spediporto, «ma questi erano carichi autorizzati dalla Prefettura e dalla Capitaneria» e ricorda che l’industria della difesa dà lavoro a migliaia di persone e a chi ha manifestato bloccando i due cargo ricorda che «se ci saranno conseguenze dovranno farsene carico».
«Scioperi, presidi, blocchi per una nave che non carica armi e non scarica armi nel nostro porto di Genova, che avrebbe caricato semmai prodotti a cui hanno lavorato tecnici e operai italiani: un generatore. Potrebbe essere usato per scopi bellici? Anche una presa doppia può servire per il ferro da stiro o in una caserma. È forse un oggetto bellico una presa doppia?». Così il governatore della Liguria, Giovanni Toti, aveva commentato sulla sua pagina Facebook le proteste contro l’attracco nel porto di Genova della prima nave saudita Bahri Yambu carica di armi.
Poi aveva attaccato lavoratori e sindacati portuali magnificando la produzione militare ligure e la necessità per il porto di Genova di trafficare in armi. «I sindacati non dovrebbero tutelare i lavoratori italiani, quelli del porto (che deve competere «con gli altri scali europei per non perdere traffico e occupazione) e quelli delle molte fabbriche presenti nella nostra Regione?».
La risposta è arrivata puntuale da Filt e Cgil Genova e Liguria e dice così: «La Cgil è quindi in campo a tutti i suoi livelli, nazionale e territoriale, confederale e di categoria, perché il Governo dia seguito agli impegni già assunti dagli altri Stati europei per vietare i traffici di armi verso la guerra in Yemen», affermano in una nota Igor Magni e Federico Vesigna, segretari generali Cgil Genova e Liguria, ed Enrico Poggi e Laura Andrei, segretari generali Filt Cgil Genova Liguria.
«Chi intende strumentalizzare questa posizione – affermano – millantando che così il sindacato non tutelerebbe i lavoratori del Porto e quelli delle molte fabbriche dell’industria della difesa presenti nella nostra regione non fa un buon servizio né al Paese, né alla Regione Liguria e nemmeno a sé stesso. La Cgil è in campo, senza remore, per rivendicare un lavoro sicuro e dignitoso, in ogni ambito – aggiungono Filt e Cgil -, e non è motivo di imbarazzo la presenza sul nostro territorio di un’industria della difesa ad alta innovazione tecnologica, che non può essere confusa con i mercanti di morte in operazioni belliche definite crimini di guerra dalle Nazioni Unite».
Certamente si è aperta una pagina importante, un dibattito che interessa la comunità. Chissà se anziché rispondere a suon di comunicati si potrebbe aprire un tavolo di consultazioni e magari prevedere la riconversione industriale di certe industrie. Che non sia arrivato il momento di parlarne seriamente a partire da Genova ?