Diario dall’Ucraina/3
È un giovedì mattina come tutti gli altri quello delle focolarine di Kiev. «L’armata rossa ha superato i confini nazionali», si sente alla radio. E così il trasferimento dalla capitale all’Ovest del Paese e l’impegno quotidiano delle quattro focolarine nel cercare di mettere in salvo quanta più gente possibile: chi ha bisogno di un contatto per espatriare, di ospitalità o di un pasto caldo. «Di tutta questa storia mi preme sottolineare un aspetto – racconta Gloria, raggiunta al telefono da Città Nuova – ci sono tanti ragazzi innocenti anche nelle fila dell’armata rossa. I potenti fanno la guerra, i poveri ci rimettono. Il Vangelo ci insegna ad amare il nostro nemico».
È giovedì 24 febbraio. Gloria esce, come tutti i giorni, per andare alla liturgia. Solo per oggi, è meglio rimanere vicino a casa e si reca alla chiesa greco-ortodossa a poche centinaia di metri di distanza. «Incrociavo lo sguardo delle persone nel tragitto. Erano tutti silenziosi ma di un silenzio composto: aspettavano disposizioni dal governo». In chiesa c’è il vescovo della città di Kiev. «Nell’omelia ha parlato di Dio amore. La nostra vita è questa e siamo chiamati, al di là delle circostanze, a viverla nell’amore di Dio», racconta Gloria. Alla fine della celebrazione si avvicina al vescovo per rifergli dei tanti messaggi di preghiera che le sono arrivati in mattinata. «Il vescovo ha accolto questi pensieri per il popolo ucraino con un grande sorriso. Era sereno, continuava a sorridere, mentre io mi ero commossa».
La sera stessa Gloria e una delle sue compagne fanno i bagagli e si preparano alla partenza verso l’Ovest. Kiev il giorno seguente sarebbe stata bombardata. «Prima di partire abbiamo aspettato Mira, una focolarina che si trovava a Odessa. Si era svegliata sotto le bombe. Abbiamo chiamato un’altra compagna che stava andando verso Leopoli per un impegno con i giovani del Movimento. A Leopoli ci saremmo riviste, per poi preoseguire dove ci troviamo ora: in una città della Transcarpazia, nella parte occidentale del Paese».
Nella città dove si trovano ora i russi non sono arrivati, anche se la popolazione è aumentata per via degli sfollati interni. Di conseguenza i supermercati hanno carenza di alimenti e certi articoli non si trovano più, come il riso. C’è preoccupazione, ma le strade sono ancora popolate. «La Caritas si sta mobilitando per la distribuzione del cibo ma è difficile perchè molti uomini sono stati chiamati alle armi».
Le quattro focolarine si trovano a poche centinaia di chilometri dai confini dell’Unione europea, ma non vogliono lasciare il Paese in questo momento di difficoltà. «Noi qui abbiamo la nostra famiglia e le tante relazioni che abbiamo coltivato nel corso degli anni. Anche lasciare Kiev mi ha spezzato il cuore», continua Gloria. E poi qui le focolarine hanno cominciato un servizio per la comunità. «Siamo tutto il giorno attaccate al telefono per cercare di mettere in contatto chi vuole scappare con chi può dare un passaggio, ospitalità o aiuto. Cerchiamo di accompagnare le persone in questo percorso difficile». Molti aderenti al Movimento dei Focolari in Slovacchia, Ungheria e Polonia si sono resi disponibili. Sono pronti ad aiutare e accogliere i profughi. Li vanno a prendere alla frontiera.
«Facciamo quello che possiamo nel nostro piccolo, ma se c’è un aspetto positivo di questa tregedia è la grande catena di solidarietà che si è azionata per carcare di salvare le persone in difficoltà». Una solidarietà che Gloria aveva già riscontrato prima della guerra. «È un popolo generoso. Se c’è qualcuno in difficoltà, anche se nessuno ha molti soldi, si cerca di aiutarlo».
La guerra genera solo sofferenza, sia in chi cerca di difendersi ma anche in chi attacca. «Noi preghiamo sempre per la conversione degli aggressori. Il valore più alto è la salvezza dell’anima di tutte le persone coinvolte. Molti ucraini non riescono a perdonare ed è comprensibile, altri capiscono che in questa situazione tutti sono vittime».
Un volontario per la Difesa, amico di Mira le ha mandato un video, in cui si vede un soldato russo ferito, dai tratti asiatici, probabilmente di una regione dell’estremo Est. «Tu di dove sei?», gli domandano nel video. «Di una regione lontana», risponde il giovane. «Tu sei un nostro fratello, adesso ti salviamo e ti autiamo a tornare nella tua regione».