La Sicilia brucia
30 giugno. Per Chiaramonte Gulfi, una giornata che la cittadina dell’estremo sud siciliano ricorderà a lungo: situata sul pendio dei Monti Iblei, in provincia di Ragusa, è circondata dalle fiamme. Brucia la pineta che circonda come una corolla il centro abitato, vero “polmone verde” della zona. Il primo nucleo fu impiantato dagli Usa dopo la Seconda guerra mondiale.
Nei giorni successivi, i roghi hanno devastato anche Patti e la zona di Taormina. Ettari di bosco distrutti, aziende danneggiate o evacuate.
La pineta di Monte Arcibessi, a Chiaramonte Gulfi, era meta privilegiata di chi, nelle calde giornate estive, voleva trascorrere qualche ora sotto la frescura degli alberi. Un incendio l’ha pressoché distrutta. Attorno a Chiaramonte resta ben poco. Le fiamme hanno continuato a divorare, per tutta la notte, quasi 900 ettari di bosco. E si sono auto-alimentate per giorni.
Tre aziende agricole sono state distrutte, altre evacuate. Mucche e vitellini sono stati arsi vivi all’interno di due “masserie”. Salvatore Cascone e Giovanni Tummino hanno visto bruciare la propria azienda e gli animali morire tra le fiamme. Alcune case non sono state risparmiate dal rogo. Nella serata del 30 giugno, poco dopo le 22, sono stati evacuati gli anziani di una casa di riposo situata all’inizio del centro abitato, a ridosso della zona boschiva. Poi le principali vie d’accesso all’abitato sono state sgomberate dalle auto. All’una di notte, una casa di abitazione, in contrada Fontana, è stata avvolta in pochi attimi dalle fiamme. I proprietari sono riusciti a mettersi in salvo senza portare nulla con sé.
L’incendio era divampato intorno alle 10 del mattino, a circa 7 chilometri dall’abitato, in contrada San Marco. Ma le fiamme erano avanzate, sempre più decisamente. Già nella tarda mattinata, gli uomini del Corpo Forestale avevano lanciato l’allarme e chiesto rinforzi. Il vento di scirocco alimentava le fiamme ed il rischio che la situazione divenisse incontrollabile era molto concreto. Ma l’incendio, probabilmente, è stato sottovalutato. In una Sicilia che brucia (altri roghi nel palermitano…), non c’erano Canadair disponibili. Ne è arrivato uno da Roma, poco prima delle 18, ma ha potuto operare solo per due ore. Poi, al buio, il Canadair si ferma. E le fiamme sono riprese, anzi si sono moltiplicate, alimentate dal forte vento.
Per Chiaramonte Gulfi, una notte di terrore. Alcune famiglie sono state evacuate. Le fiamme, giunte da est, hanno oltrepassato la città e raggiunto il monte Arcibessi (dove sono situati i ripetitori e le antenne televisive), poi sono ridiscese verso il basso, dall’altra parte. Il centro abitato, miracolosamente, è stato risparmiato. Ma le fiamme erano fuori controllo. Nuovi fronti del rogo si aprivano ora dopo ora, anche a causa dei repentini cambi di vento. I volontari, i soccorritori e i carabinieri sono stati costretti ad indossare le mascherine. Solo al mattino, i Canadair hanno ripreso a volare. Stavolta ne erano arrivati tre. Ma era troppo tardi.
Della pineta resta ben poco. Gli occhi degli abitanti sono pieni di lacrime. Chiaramonte ha perduto, forse per sempre, il suo prezioso patrimonio: la sua pineta, il suo bosco. Ci vorranno decenni prima che gli alberi possano ricrescere. Solo le prossime generazioni potranno rivedere quel bosco.
È l’emblema di una Sicilia che brucia, di una Sicilia dove si continua a fare i conti con mille disfunzioni. Di cui tutti hanno la consapevolezza. I roghi, si sa, sono dolosi. Sempre nella giornata e persino a tarda sera ne sono scoppiati altri. Ma un bosco, specie a ridosso di un centro abitato, ha bisogno di una manutenzione. Tocca agli uomini della Forestale che però da tempo soffre per mille disfunzioni. E ora bisognerà verificare quale fosse il grado di manutenzione e la situazione degli importantissimi “tagliafuoco”.
L’organizzazione e la gestione dei boschi nell’isola è, da tempo, nell’occhio del ciclone. Costi esorbitanti, gestione con mille problematicità. Perché la “Forestale” è anche un grande bacino elettorale …. Davanti alle fiamme, un operaio della Forestale esclama: «Non è come il terremoto. Lì non puoi far nulla per rimediare. Qui si poteva fare tanto. Temevamo che tutto questo potesse accadere. Ma non avremmo mai immaginato una simile tragedia».
Ora, bisognerà asciugarsi le lacrime. Senza più quel polmone verde. Nel 2000, un altro incendio aveva devastato la pineta. Una parte considerevole era andata distrutta. Gli alberi, però, erano ritornati a ricrescere. Si era tornati a sperare. Ora è stato distrutto quasi tutto.
Speriamo che la Sicilia prenda consapevolezza della necessità di andare oltre e di costruire su altre basi il proprio futuro. A partire da una “cittadinanza” attiva e condivisa che sappia interagire in modo maturo con le istituzioni. Che sappia prendere per mano le redini del proprio futuro. Senza sconti. E senza “scambi elettorali”.
A pochi chilometri, altro fronte, altra vicenda emblematica. Nel comune capoluogo, da una settimana, è iniziato il trasferimento da un ospedale all’altro. Poi si ferma tutto. I reparti non sono pronti, i collaudi non sono adeguati. Due sale operatorie e alcune aree vengono sequestrate. Il 30 giugno, la decisione: i reparti tornano dov’erano prima. Si dovrà dire “stop” ad una settimana di passione, senza ricoveri, senza nessuna possibilità di sopperire alle urgenze, con gli ammalati costretti a recarsi in altri ospedali della provincia e non.
La Sicilia brucia. Non solo per il fuoco. In tutti, la consapevolezza della necessità che questo popolo riprenda in mano le redini del proprio destino. Per salvare ciò che ha e lasciarlo alle prossime generazioni.
30 giugno: una data che la provincia di Ragusa ricorderà a lungo …