La schiavitù nei campi ai tempi dell’Expo

Il fenomeno dello sfruttamento dei braccianti agricoli nelle nostre campagne non tocca solo i lavoratori stranieri. Il monito dei consumatori responsabili di Norvegia e Danimarca. Il caso della Puglia con l’impegno concreto della Caritas e di associazioni come Diritti a Sud che lanciano l’etichetta “Sfruttazero”. Ma chi trae profitto dal sistema in atto?
lavoro schiavo

Nell’anno 2015 dell’Expo universale di Milano dedicata all’alimentazione, alcune zone ben conosciute delle campagne italiane restano macchiate dal fenomeno del lavoro sottopagato e svolto in condizioni così disumane da far scattare inchieste per il reato di “riduzione in schiavitù” previsto dall’articolo 600 del codice penale, introdotto da tempo in ossequio alla Convenzione internazionale di Ginevra del 1926.

Nel vertice convocato giovedì 27 agosto presso il ministero dell’Agricoltura con la presenza del ministero del Lavoro, Inps, associazioni datoriali, sindacati e distribuzione organizzata,  è emerso l’impegno ad «piano d'azione organico e stabile»  del governo  per fronteggiare, entro 15 giorni, il lavoro  irregolare in agricoltura.

Il caso dei lavoratori che muoiono letteralmente di fatica per pochi euro al giornoè destinato a restare attuale, nella cronaca, almeno fino a settembre quando finisce la stagione definita “bella” per qualcuno, ma i braccianti migrano ancora verso nuove coltivazioni intensive che richiedono una forza lavoro da impiegare a ritmi forsennati per rispettare i tempi del mercato. Come rivelano numerose inchieste, e la morte di una donna avvenuta il 13 luglio sotto la cappa asfissiante di un capannone (tecnica usata per la coltivazione dell’uva da tavola) ad Andria, in Puglia, cresce il ricorso alle braccianti italiane ritenute più affidabili e sottomesse degli extracomunitari.

Paola Clemente,49 anni, madre di tre figli, lavorava dopo aver viaggiato alcune ore in pullman nella notte lasciando a casa il marito rimasto senza lavoro. È stata seppellita troppo in fretta, ma ora il suo corpo è stato riesumato per stabilire meglio le cause effettive del decesso e le relative responsabilità che, di solito, si fermano, tuttavia, al cosiddetto datore di lavoro, che impiega centinaia di addetti giornalieri su grandi estensioni di terreno, e al trasportatore reclutatore, detto anche “caporale”, che funge da mediatore da domanda e offerta dell’occupazione disponibile.

Gli italiani stanziali sembra che siano più facilmente ricattabili, accettano come una cosa normale buste paga formalmente in linea con il minimo sindacale tranne ricevere, effettivamente, somme di denaro molto più basse collegate non tanto alle ore di lavoro ma al numero dei bidoni di frutta e verdura raccolti. Paola sembra che ricevesse 30 al giorno, all’incirca tre euro l’ora.

Gli immigrati a volte fanno scoppiare delle rivolte come lo sciopero di 13 giorni indetto nel 2011 a Nardò (Lecce), sempre in Puglia, in quelle stesse campagne dove pochi giorni prima di Paola, è stato stroncato da un malore un rifugiato sudanese di 47 anni che aveva lasciato la famiglia, moglie e due figli, in Sicilia. Il suo nome (Mohammed ) è stato  scritto con dei lumini nella veglia di meditazione promossa dalla Caritas diocesana assieme al sindacato Flai Cgil e l’associazione Diritti a Sud che ha raccolto spontaneamente una somma per le immediate necessità della famiglia.

Diritti a Sud è un gruppo di giovani molto attivo sul territorio che agisce concretamente ripristinando casolari abbandonati per dare quella sistemazione decente, che le strutture pubbliche non riescono ad assicurare, a questi braccianti nomadi che entrano nel conteggio del nostro Pil (prodotto interno lordo) e degli utili di una filiera che da qualche parte necessariamente deve guadagnare.  La Caritas svolge un capillare intervento prezioso e fondamentale di accoglienza e assistenza nelle tante necessità di lavoratori che spesso, pur vivendo, in pessime condizioni, devono pagare allo stesso “datore di lavoro” il prezzo del viaggio o del panino che non è facilmente rintracciabile su campi estesi per migliaia di ettari. Ma non si può gettare il discredito su intere regioni e città. Esistono imprese che lavorano in maniera onesta e senza sfruttamento del lavoro, ma devono subire la concorrenza sleale di chi ricorre senza scrupoli al caporalato e ai mezzi più abietti per sottomettere altri esseri umani. Nelle campagne del Gargano non si trovano, in questi giorni, addirittura i resti di un giovane bracciante del Mali deceduto durante la raccolta dei pomodori.  

Che fare? Una propostaconcreta, pensando all’impegno attuale del Governo, l’avevano lanciata, il 7 maggio, con una lettera aperta al Presidente del consiglio, Matteo Renzi, e ai ministri del Lavoro e dell’Agricoltura, Poletti e Martina,  i «rivenditori di generi alimentari, organizzazioni datoriali e sindacati affiliati alle iniziative per il commercio etico in Danimarca e Norvegia»manifestando la «crescente preoccupazione per i rivenditori di generi alimentari in diversi paesi europei» per la presenza «di lavoro irregolare e sommerso, come anche l’abuso di lavoratori migranti assunti per intermediazione illecita (tramite caporali) in gran parte del settore agricolo italiano». Le organizzazioni del consumo responsabile hanno invitato l’Italia ad attuare il Decreto Legge del 24 giugno 2014 n ° 91 sulla “Rete del Lavoro Agricolo di Qualità” e prendere in seria considerazione la proposta congiunta del 26 febbraio 2014  da parte dei sindacati agricoli di Cgil, Cisl e Uil  26 per riformare il mercato del lavoro agricolo per contrastare l’intermediazione illecita e il lavoro irregolare.

Resta il fatto che, come ha confermato, una ricerca dell’Associazione medici  per i diritti umani in un report di aprile 2015 (“Terra ingiusta”) la legge cosiddetta “Rosarno” del 2011 per la repressione del caporalato resta difficilmente applicabile e anche procedure virtuose, come il bollino etico proposto nella stessa Puglia, restano inerti nonostante gli incentivi economici.

Qualcosa evidentemente non funziona. Dove si concentra la maggior fetta di guadagno di questo “mercato”? Quale ruolo possono svolgere i grandi gruppi della distribuzione organizzata se obbligati a comprare solo da produttori onesti?

Su questa traccia continueremo ad approfondire chiedendo il concorso di chi vuole offrire un contributo. Intanto “Diritti a Sudassieme a Netzanet-Solidaria di Bari e Osservatorio Migranti Basilicata/Fuori dal Ghetto di Palazzo San Gervasio e Venosa (Potenza) e hanno lanciato una raccolta fondi dal basso per l’etichetta “Sfruttazero con l’idea di «realizzare una filiera pulita del pomodoro dalla semina alla trasformazione; il frutto finale che raccoglieremo saranno bottiglie di passata di pomodoro di alta qualità, prodotta senza sfruttamento del lavoro. Vogliamo che l'oro rosso, da simbolo di sopraffazione e caporalato in Puglia e Basilicata, diventi simbolo di emancipazione, riscatto e speranza di un futuro diverso».

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