La lezione di Melissa e il dramma della Sea Watch
Torre Melissa è una frazione di Melissa, un piccolo comune in provincia di Crotone, balzato sulle prime pagine dei giornali nella notte del 10 gennaio, quando – mentre tutta l’Unione europea discuteva su come accogliere 49 migranti in mare da giorni – i suoi abitanti sono entrati in acqua per salvare 51 persone naufragate sulle coste calabresi. Erano curdi, rimasti incagliati con la barca di notte, nel mare in tempesta, al freddo.
Le loro urla disperate sono state ascoltate dalla gente del posto, che si è precipitata a soccorrerli. Solo una persona non ce l’ha fatta: un ragazzo che si era buttato in acqua sperando di raggiungere la costa. Gli altri 51 curdi sono stati accolti, sfamati, rivestiti e riscaldati. Tra i soccorritori, c’era anche il sindaco di Melissa, Gino Murgi. In prima linea nel soccorrere i naufraghi, con la sua gente ha dato all’intera Europa una lezione semplice e grandiosa: niente parole, chi rischia la vita va soccorso.
Eppure, ancora oggi, un’altra barca col suo carico umano di dolori e speranze è in attesa di soccorso. Dopo una lunga traversata, da 4 giorni i 47 migranti della Sea Watch aspettano di sbarcare. Mentre si discute, si litiga, si prende tempo. A Melissa, invece, niente parole. Solo fatti. «Noi – afferma Murgi – siamo inesauribilmente in apertura verso l’altro». Se qualcuno è in pericolo, «non ti giri dall’altra parte, tutt’altro. Come diceva il giovane pizzaiolo che è arrivato prima di me sulla spiaggia: vai, ti togli la giaccia e li abbracci per fargli sentire tutto il calore umano».
Sindaco, sono trascorsi quasi 20 giorni. Dove sono oggi le persone che avete accolto?
Adesso sono nel C.a.r.a. di Isola Capo Rizzuto, nel centro di accoglienza.
Come stanno?
Penso bene. Io sono stato lì il secondo giorno dopo il loro arrivo con l’assistente sociale. Ho visitato il centro e devo dire che è una bella realtà, ci sono tutti i servizi, c’è una bellissima accoglienza. Staranno bene.
Ripercorre con noi i fatti del 10 gennaio?
Erano le 4 di mattina quando sono stato allertato da una telefonata con cui mi hanno chiesto di andare subito sulla spiaggia, perché c’era uno sbarco in atto e c’erano delle persone che avevano bisogno di essere soccorse. Mi sono recato subito sul posto, erano le 4:15, le 4:20. Piovigginava, faceva freddo, il mare era agitato. Quando sono arrivato a Torre Melissa, ho visto subito il proprietario dell’albergo, i residenti del villaggio, che avevano aperto le porte e avevano cominciato già ad accogliere i naufraghi con coperte, con bevande calde. Pensavo che fossero esclusivamente quei 10, 12 che erano lì, ma in realtà continuavano ad arrivarne sempre di più e quando sono andato a controllare sulla spiaggia ho visto uno spettacolo davvero tremendo. C’erano delle mamme che mi sono corse incontro gridando la loro disperazione e c’erano dei giovani curdi che tra di loro cercavano di darsi una mano. C’è stata una bellissima catena umanitaria, dove ognuno di noi ha cercato di fare la propria parte… È stata scritta davvero una bella pagina di grande umanità.
Cosa ricorda in particolare di quei momenti concitati?
I momenti che si ricordano sono tanti, perché sono immagini che rimangono scolpite nella mente e nel cuore. Ricordo soprattutto lo strazio delle mamme, che gridavano in maniera disumana: erano disperate perché avevano paura di perdere i bambini! Immaginate: c’erano bambini di 4 mesi, di 3 anni, di 6-7 anni che erano lì, ancora nel barcone, e le mamme gridavano tutta la loro disperazione per la preoccupazione, per salvarli. Quelle sono immagini che ti rimangono nel cuore, negli occhi. Poi ci sono le bellissime immagini dei miei compaesani che si sono tolti i giubbotti, hanno aperto le porte di casa, dell’albergo. C’è il ricordo delle forze dell’ordine che si sono tuffate in acqua per salvare quei poveri sfortunati, del pescatore che non ha esitato un momento – in una mattinata freddissima, al buio, col mare agitato – a salvare un giovane curdo. Ma mi ha colpito soprattutto vedere i pigiamini di mio figlio di 6 anni indossati da quei bambini. Quella è stata davvero un’immagine di grande tenerezza, che mi ha ferito il cuore.
Era la prima volta che qualcuno naufragava sulle vostre coste?
No, era successo già qualche anno fa, però in una situazione ben diversa. Lo sbarco avvenne di pomeriggio, d’estate, con la barca che arrivò proprio sulla riva… Questa volta, invece, il barcone è rimasto incagliato, quindi i curdi erano distanti dalla riva, alcuni non sapevano nuotare. C’è stata una situazione ben diversa e, non a caso, nonostante l’impegno e i soccorsi, che sono stati velocissimi, c’è stato un giovane che non ce l’ha fatta e il cui corpo abbiamo ritrovato dopo 10 giorni. Un mio concittadino che stava passeggiando su una spiaggia l’ha ritrovato e ci ha avvisati subito: vedere il corpo di quel giovane senza vita è stato davvero uno strazio e un grande dispiacere per tutti noi.
Sindaco, quanti abitanti ha il comune di Melissa?
Noi abbiamo 3mila 700 abitanti.
Siete pochi, non vi siete sentiti “invasi” con l’arrivo di 51 migranti?
No, assolutamente. In quei momenti abbiamo pensato subito a tendere la mano, ad aiutare il più possibile quegli sfortunati, a prestare loro soccorso. Non si è pensato ad altro, non c’era tempo. In quei momenti non puoi fare diversamente. Non ti senti invaso, anzi, in quel momento cerchi di dare il meglio di te stesso.
Avete mostrato un volto dell’Italia molto diverso da quello di chi chiede di non accogliere i migranti. Quando vede immagini come quelle di Castelnuovo di Porto e di altri centri svuotati all’improvviso, cosa pensa?
In tutta franchezza, le dico che a vedere quei bambini, già inseriti nella scuola, all’interno della comunità, sradicati in quel modo, la sofferenza e il dispiacere sono forti perché, umanamente, certe cose ti feriscono e ti toccano.
Cosa accadrà alle persone che avete accolto?
Adesso seguiranno l’iter previsto dalla legge. Sono lì, nel C.a.r.a., dove c’è la commissione che valuterà la loro posizione e vedremo i risvolti di questa storia. Comunque, siamo andati a trovarli in ospedale, dove –anche lì! – i bambini e le mamme sono stati sommersi dai dolci: c’è stata una grande sensibilizzazione. Siamo andati a trovarli nel C.a.r.a. e in settimana andremo di nuovo per vedere com’è la situazione.
Tornando a quella notte, qual è il volto che le è rimasto più impresso?
Sono stati quelli di una mamma e di un papà quando hanno preso in braccio la figlioletta di tre mesi e l’hanno messa vicino alla stufa per farla riscaldare, perché era veramente un presepe vivente. Quella è un’immagine che non toglierò mai dalla mia mente.
Tre mesi! In Italia a quell’età qualcuno si chiede se non faccia troppo freddo per portare una bambina così piccola in giro. Cosa avrà spinto i genitori a metterla su un barcone per un viaggio che poteva essere senza speranza?
Guardi, uno può mettere a rischio la sua vita, ma per mettere a repentaglio quella di un figlio probabilmente vuol dire che la disperazione è talmente tanta, da spingerli ad affrontare anche il rischio della morte pur di lasciare il proprio Paese.
Sindaco, che messaggio vuole dare ai lettori di Città Nuova?
Il messaggio che voglio mandare è che ognuno di noi ognuno deve fare un atto di grande responsabilità e tutti insieme – tutti insieme – dobbiamo fare in modo di cercare la giusta soluzione per mettere fine a questo problema in maniera radicale, affinché queste stragi, queste morti, non accadano più.