La Juventus vince ancora, lo scudetto di Maurizio Sarri

La Juventus conquista il suo 36° titolo di campionessa dalla serie A nella surreale atmosfera segnata dal Covid-19: il nono scudetto consecutivo, record assoluto nel campionato italiano, porta la firma di Maurizio Sarri, trionfatore dopo una gavetta durata quasi 30 anni.

«Se avete vinto con me siete proprio forti, perché in Italia non avevo mai vinto niente…». Parlò così, con l’umiltà genuina di sempre, il mister più anziano e romanticamente in tuta della Serie A, da poche ore campione d’Italia: Maurizio Sarri, 61 anni, toscano verace di sangue napoletano, che una nuvola di fumo da tabacco doc avrebbe avvolto in qualsiasi scorcio del calcio novecentesco, se poi sigari & c. non fossero finalmente stati vietati a bordo campo nel calcio moderno.

Dalla fine di domenica 28 luglio, sul suo petto campeggia il trentaseiesimo scudetto della Juventus, il nono consecutivo, record ad oggi in Italia: dopo le stagioni trionfali in Serie A di Conte e Allegri, questo porta la firma di Sarri. E forse è per questo che, durante la conferenza stampa, il portiere Szczesny fa irruzione porgendogli una sigaretta con un “te la sei meritata” che ovviamente la dice lunga sull’ormai caratteristico vizio del mister.

Il sogno, la gavetta e “il tradimento”
Otto promozioni e tutte sul campo, senza saltare una categoria tranne nel passaggio dalla C1 alla B, dove comunque raggiunse i playoff: è il curriculum più unico che raro, tra gli allenatori di vertice internazionale, di Maurizio Sarri. Un percorso difficilissimo, che avevamo seguito e raccontato sulle pagine di Città Nuova già cinque anni fa quando, sulla panchina di un Empoli dei miracoli, aveva il contratto più basso della Serie A, prima che le sfavillanti passerelle del calcio plurimilionario riguardassero anche lui, capace già nel 1999 di mollare il contratto a tempo indeterminato in banca per allenare il Tegoleto e inseguire il sogno ardito di dedicarsi al calcio.

Foto Marco Alpozzi/LaPresse
Foto Marco Alpozzi/LaPresse

Fango e lavagnette, le suddette sigarette come non vi fosse un domani, sudore e polvere, dietro alla passione per un pallone da incardinare anche in schemi in grado di ribaltare la gerarchia dei valori dei più forti sul piano tecnico o finanziario: Maurizio Sarri ha scalato il calcio italiano una serie alla volta, con la grinta e la modestia dei grandi, maniacale sui posizionamenti e talvolta burbero nelle uscite. Fino al grande sogno iniziato nell’estate 2015 con l’approdo a Napoli, squadra che portò a sfidare la Juventus per lo scudetto, conteso sino alla fine in più stagioni, ma che, soprattutto, riportò a competere alla grande tra i riflettori dorati dei più grandi stadi d’Europa. Quindi l’addio: il salto nella Premier League inglese dei titani finanziari, la vittoria nell’Europa League con il Chelsea, prima del “gran tradimento” della firma con la Juventus.

Una scelta da “rivoluzionario pentito”, per qualche romantico, quella della scorsa estate, per dirla con le parole di Agostino e Carmine Iaiunese, originari di Caserta e proprietari di un “bar sport” da amarcord, quello di piazza Marsilio Ficino, nel cuore di Figline Valdarno. «Maurizio poteva andare dovunque, ma non alla Juventus. Dopo tutti quei discorsi fatti insieme, qui, dinanzi al caffè… La lotta al potere, al Palazzo. Ce lo aspettavamo da tutti, tranne che da lui»: dichiarazioni che rispecchiano quelle dei suoi più affezionati tifosi, che non la presero bene, come del resto buona parte di Napoli e dei tifosi partenopei nel mondo.

L’approdo “al palazzo”: una stagione difficile
«Qui ho sbagliato qualche partita e ci sta, ma era dagli anni ‘50 che un allenatore al primo anno di Juventus non aveva la mia media punti, anche se nessuno se ne ricorda», ha sottolineato mister Sarri alla fine della giostra. Vince uno scudetto di fatto meritato, forse più per la pochezza delle contendenti Inter, Lazio e Atalanta sul piano della continuità, che per meriti della sua Juve.

Ma ha perso Supercoppa italiana (contro la Lazio) e Coppa Italia (contro il Napoli). Chiamato per divertire e alzare l’asticella rispetto alla gestione Allegri, già trionfatore indiscusso della Serie A, oltre che vincere, ha vissuto una stagione fatta per lo più di vittorie insipide ed episodi favorevoli, contraddistinta più dai colpi di genio di Cristiano Ronaldo e Dybala che da quella manifestazione corale tanto attesa nota come “Sarrismo”.

Sintetiche, a fine gara, le parole di capitan Bonucci, unico sul campo, insieme a Buffon e Chiellini, ad essere anche tra i trionfatori di nove anni fa (saltando solo una stagione sino ad oggi nel filotto tricolore da record, come il portiere): «abbiamo vissuto un anno intenso, abbiamo fatto fatica a interpretare le indicazioni del mister, ma ci prendiamo questo scudetto sul campo. Ora recuperiamo e pensiamo al Lione». Un crocevia, quello del ritorno degli ottavi di Champions, a questo punto decisivo anche per lo stesso Sarri ai fini di una valutazione più indicativa della sua parabola bianconera, nonché del suo stesso futuro nella Juventus.

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