Iran, chi sta subendo le sanzioni?

La nuova offensiva Usa colpisce la popolazione civile e i politici aperti, favorendo le fazioni più intransigenti del regime degli ayatollah

La nuova campagna di sanzioni contro l’Iran in cui si è imbarcato il governo statunitense dopo la rottura unilaterale degli accordi sul nucleare (Jcpoa) sta diventando molto pesante per gli iraniani, con il rial che è crollato del 70% e le esportazioni di petrolio ridotte del 40%. Oggi ci vogliono circa 37.500 riyal per 1 euro, al cambio ufficiale. Il potere d’acquisto è precipitato, gli stipendi, quando vengono pagati, bastano appena per sopravvivere, la classe media è in via di estinzione, la povertà in aumento.

Il segretario di Stato Mike Pompeo.
Il segretario di Stato Mike Pompeo.

Le accuse del governo statunitense contro l’Iran assumono spesso toni apocalittici. Emblematica l’affermazione del segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, in una recente intervista alla Cbn (Christian Broadcasting Network): «Trump è stato mandato da Dio per salvare Israele dall’Iran». Sembra di risentire i toni dell’Asse del Male (Axis of Evil) di George W. Bush, per il quale i Paesi-canaglia erano Corea del Nord, Afghanistan, Siria, Iraq e Iran. Dei tre, due sono cambiati ma l’Iran è rimasto, ora in compagnia anche di Cina e Venezuela.
Viene però il sospetto che dietro a questa retorica accanita ci siano molto più prosaicamente due precisi intenti: uno anti-cinese (la Cina è tra l’altro il maggiore acquirente del petrolio iraniano) e uno protezionistico nei confronti di Israele e dell’Arabia Saudita, i partner mediorientali del governo Trump, che contesta indignato all’Iran la produzione di armi nucleari e missili a lunga gittata. Quelle stesse armi che gli Usa hanno da tempo fornito a Israele e che proprio in questi giorni hanno deciso di vendere anche ai sauditi.
Al di là del giustizialismo di Trump, Pompeo e Bolton contro gli ayatollah, emerge un’ulteriore inquietante considerazione: di fatto le sanzioni anti-iraniane stanno consegnando il Paese all’ala conservatrice del clero iraniano, anti-democratico e anti-statunitense. A febbraio è stato costretto a dimettersi il ministro degli Esteri, il moderato Zarif, e a marzo il leader ultraconservatore Ebrahim Raisi si è assicurato la poltrona di capo del potere giudiziario, mettendo una consistente opzione sulla prossima presidenza del Paese se non al ruolo di Guida suprema.

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In questo clima pesante si comprende meglio il giro di vite di una certa magistratura iraniana nei confronti dei difensori dei diritti umani. Il Centro dei difensori dei diritti umani (Iran Human Rights, cf. in italiano www.iranhr.it) esiste in qualche modo da più di 16 anni a Teheran, sempre perseguitato dal governo, ma è di questi giorni la sentenza del giudice Mohammad Mogheiseh, che ha condannato l’avvocata Nasrin Sotoudeh a 38 anni di carcere e 148 frustate (cioè a morte). La ong per la difesa dei diritti umani, di cui Nasrin Sotoudeh è attivista da anni, è stata fondata da Shirin Ebadi, Nobel per la Pace 2003, esule forzata a Londra da 10 anni. Per capire meglio il coraggioso lavoro del Centro e le persecuzioni che ha subito, si può leggere, di Shirin Ebadi, “Finché non saremo liberi”, edito nel 2016 in Italia da Bompiani.
Nasrin Sotoudeh (55 anni), oltre che amica di Shirin Ebadi e come lei giurista di talento, è Premio Sacharov 2012 per la libertà di pensiero ed ha ricevuto nel 2018 il Premio Trarieux, il prestigioso riconoscimento internazionale conferito ogni anno ad un avvocato che si sia distinto in modo particolare per la difesa dei diritti umani.
L’avvocata Sotoudeh è stata condannata dal Tribunale di Teheran con queste motivazioni: collusione contro la sicurezza nazionale, propaganda contro lo Stato, istigazione alla corruzione e alla prostituzione, e per essersi rifiutata in tribunale di indossare l’hijab (il velo nero obbligatorio). Una codanna più pesante di quanto prevede la sharia iraniana per aver pubblicamente difeso donne colpevoli di proteste contro il velo obbligatorio, minori condannati alla forca, persone perseguitate per la loro appartenenza religiosa o le loro idee democratiche, o per aver contestato norme di legge che violano i diritti fondamentali della persona e aver sostenuto l’abolizione della pena di morte.
La pesante campagna del governo statunitense contro l’Iran alla fin fine sembra stia ottenendo, a ben pensarci, l’esatto contrario di quanto dichiara di voler fare: perseguitare il regime iraniano. Di fatto sta invece delegittimando i riformisti aperti al dialogo con l’Occidente e addirittura rafforzando le lobby fondamentaliste più intransigenti. E a pagare le conseguenze (ampiamente documentate da Amnesty International) sono civili innocenti come Nasrin Sotoudeh e le persone che l’avvocata dei diritti umani negati ha difeso con enorme coraggio.

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