Idlib e il crudele gioco della guerra

È cominciata l’offensiva dei governativi verso l’ultima sacca di resistenza consistente sul territorio nazionale. La catastrofe umanitaria è dietro l’angolo. Ma la battaglia appare ineluttabile.

I leader dei tre Paesi del gruppo di Astana (Russia, Iran e Turchia) si sono incontrati a Teheran il 7 settembre scorso per mettere a punto la linea da adottare in Siria nell’attacco a Idlib, l’ultima consistente roccaforte degli oppositori al governo siriano di Bashar al-Assad. Non è stato raggiunto nessun vero accordo per scongiurare l’esodo forzato di centinaia di migliaia di innocenti e il rischio di una strage di civili. Sembra che non sia contemplato nelle regole del crudele gioco della guerra.

A Teheran, il leader russo Vladimir Putin, ormai arbitro delle sorti della Siria, ha affermato il diritto del governo Assad di controllare tutto il Paese, compreso l’ultimo territorio in mano agli oppositori: «L’obiettivo di questa fase – ha affermato – è quello di cacciare i miliziani dalla provincia di Idlib: la loro presenza è una minaccia diretta ai civili siriani e agli abitanti di tutta la regione».

Questa presa di posizione su «tutti i miliziani» non è casuale. La diplomazia occidentale tenta, infatti, di distinguere due tipi di combattenti: i qaedisti di Hayat Tahrir al Sham (ex al-Nusra) e altre organizzazioni jihadiste ad essi collegate (circa 10 mila uomini), e altri circa 60-70 mila presunti combattenti ribelli che farebbero parte di una “opposizione moderata”, quella che i turchi chiamano Fsa, o Esercito siriano libero. Questo per dare credito alla versione statunitense e degli alleati occidentali (soprattutto Inghilterra e Francia) che da sempre giustificano i loro interventi in Siria (con raid aerei, forniture di armi e finanziamenti) come appoggio ai “moderati” che si oppongono al “dittatore” Bashar al-Assad.

Siria IdlibChi sono i moderati? Intanto l’Fsa originario (quello del 2011) è scomparso da tempo. L’Fsa filo-turco risorto negli ultimi due anni avrebbe quindi solo il nome della vecchia compagine di fuoriusciti dell’esercito siriano, e finora ha di fatto difeso la Turchia non tanto dai jihadisti ma da quelli che Erdogan chiama «terroristi curdi» (in realtà alleati di Assad e armati dagli Usa), occupando un pezzo di terra siriana che il presidente turco rivendica abbastanza esplicitamente come anticipo di una rinascita neo-ottomana.

Erdogan, a Teheran, ha tentato di giocare anche la carta umanitaria, sostenendo che è necessario «fermare l’aggressione del regime» siriano a Idlib, mettendo in guardia sui rischi dell’offensiva: «Lì ci sono circa 3,5 milioni di persone… se avviene un disastro la loro destinazione numero uno è la Turchia». Ma russi e iraniani da questo orecchio non ci sentono e stanno cercando di definire i corridoi umanitari per chi dovrà fuggire, non necessariamente verso la Turchia.

Il presidente dell’Iran, l’ayatollah sciita Hassan Rohani, dopo le ultime sanzioni americane volute da Trump contro il suo Paese è diventato favorevole all’interventismo in Siria (in precedenza non lo era), ma anche lui come Putin ha la forte necessità di non alienarsi l’alleato turco, anche per fronteggiare l’embargo statunitense: Iran, Russia e Turchia sono per diversi motivi tutti Paesi sanzionati dall’amministrazione americana.

E indirettamente lo è anche il Qatar, che è infatti “alleatissimo” della Turchia e aperto al commercio con l’Iran, cosa – questa – che non va giù ai sauditi, sostenitori dei jihadisti salafiti e ferocemente contrari all’Iran e quindi ad Assad. Dopo le sanzioni statunitensi sul nucleare, l’Iran ha ripreso a sostenere l’alawita Assad inviando in Siria militari, rinforzi libanesi di Hezbollah, perfino mercenari sciiti afghani, oltre a finanziamenti e missili, e questo come si sa non va giù soprattutto all’israeliano Netanyahu.

In tutto questo giro è coinvolta anche la Cina, amica di Mosca, che sostiene Siria, Iran, Turchia e Qatar, in attesa di partecipare da protagonista al business della ricostruzione post-bellica, in barba ai dazi americani che mal sopporta.

Un’ultima nota riguarda Donald Trump. Il presidente Usa ha minacciato Assad attraverso un tweet, ammonendolo a non «attaccare sconsideratamente la provincia di Idlib». «I russi e gli iraniani – ha aggiunto – farebbero un grave errore umanitario partecipando a questa potenziale tragedia umana. Centinaia di migliaia di persone potrebbero essere uccise».

A parte l’esagerazione numerica (ma che potrebbe rivelarsi utile in caso di un attacco con armi chimiche imputabile ai governativi), è curioso che il presidente statunitense sia così preoccupato per la sorte dei civili in un attacco contro qaedisti e jihadisti. Quando a bombardare i miliziani del Daesh a Mosul nel marzo 2017 erano gli statunitensi il problema dei civili uccisi era solo un deprecabile danno collaterale. In tutto ciò l’uso strumentale dei civili siriani è abbastanza evidente. Ma il gioco della guerra ha le sue regole ed è anche questo.

 

 

 

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