Grazie lo stesso, ragazze
Sabato 20 ottobre. Sono le 12.40, in Italia, quando prende il via la finale dei campionati mondiali femminili di pallavolo edizione 2018. Si gioca a Yokohama, in Giappone, proprio lì dove questo sport è considerato quasi come una “religione”. Dove le giocatrici sono seguite come star, dove i tifosi affollano i palazzetti incitando le loro beniamine dal primo all’ultimo minuto, creando un frastuono di sottofondo assordante. E poi, riflettendoci, quante bambine italiane hanno deciso di iniziare a praticare questo sport, dagli anni ’80 in poi, guardando sul piccolo schermo proprio le serie tv giapponesi dedicate a questa disciplina sportiva? Quelle, tanto per intenderci, dove i protagonisti (Mimì, Mila e il suo amico Shiro, solo per citarne alcuni), saltavano come molle e rimanevano sospesi in aria “all’infinito” prima di esplodere i loro colpi potentissimi? Tante, tantissime. E non è un caso se nel nostro paese la pallavolo sia oggi lo sport più popolare tra le donne.
La partita sta per iniziare. In campo, da un lato, c’è la Serbia, che parte con i favori del pronostico. Una formazione “tostissima”, già abituata negli ultimi anni a disputare incontri così importanti. Nel 2016, alle Olimpiadi di Rio, le giocatrici serbe conquistarono la medaglia d’argento. Poi, lo scorso anno, si sono addirittura laureate campionesse d’Europa. Dall’altra parte della rete c’è l’Italia, uscita vincente il giorno prima da una semifinale bellissima, ricca di emozioni, conclusa solo dopo cinque set tiratissimi giocati contro Cina, medaglia d’oro nelle ultime Olimpiadi. Alla vigilia del torneo, gli Stati Uniti, la stessa Serbia, il Brasile e proprio la Cina erano considerate di gran lunga le favorite per la conquista delle medaglie, mentre l’Italia era vista solo come possibile outsider. Anche gli scommettitori erano piuttosto scettici su una possibile rassegna iridata da protagoniste per le giocatrici azzurre, e la quotazione della nostra nazionale (per un euro giocato se ne vincevano sedici), era quella che in questi casi si riserva a una squadra valutata poco più che una mina vagante.
Poi, però, partita dopo partita, questa diffidenza iniziale ha lasciato il passo ad un sempre crescente entusiasmo. Dapprima tiepido, poi sempre più coinvolgente. 12 partite disputate, 11 vittorie. E nello sport, si sa, vincere aiuta poi a (ri)vincere. I successi aumentano la sicurezza nei propri mezzi, fortificano la convinzione di poter fare bene. In campo tutto è pronto. Prima risuona l’inno serbo, poi quello italiano. Qualche azzurra sorride, qualcuna canta, qualcun’altra ancora ha il viso più tirato. Si tengono tutte per mano, ma la tensione è palpabile. La finale può davvero cominciare. Il primo punto lo mette giù la nostra atleta più esperta, Lucia Bosetti, una giocatrice eclettica, vero e proprio pilastro di questa nazionale. Le italiane partono davvero forte: un muro di Anna Danesi (il suo marchio di fabbrica), una schiacciata di Miriam Sylla (che qui in Giappone ha disputato un mondiale di altissimo livello), un primo tempo di Cristina Chirichella, centrale e capitano (a soli 24 anni) di questa formazione.
Il primo set ci arride (25-21), ma quando il gioco riparte la musica cambia. Le serbe cominciano ad alzare l’asticella del loro gioco. Tjana Boskovic, una vera fuoriclasse, ci inizia a martellare con quel braccio sinistro che spinge quasi sempre il pallone a oltre 90 chilometri l’ora. Brankica Mihajlovic, l’altra schiacciatrice, ci mette continuamente in difficoltà. E anche le altre nostre avversarie, da Maja Ognjenovic a Stefana Veljkovic, entrano sempre più in partita. Il set va via veloce, troppo veloce per noi, e la nazionale serba se lo aggiudica per 25-14. Il rischio, in questi casi, è che la formazione più giovane (la nostra), dopo un inizio spumeggiante e un parziale così negativo, possa andare in difficoltà. Invece le azzurre non mollano, e al termine di un set condotto punto a punto, e risolto solo in volata (25-23), tornano a condurre. Le palle più difficili, in questa frazione di gioco, vanno sulle mani di Paola Egonu. E non potrebbe essere altrimenti. La nostra giocatrice è una schiacciatrice che assomiglia a una specie di macchina da guerra. Miglior realizzatrice del mondiale, appena 19 anni e un talento smisurato, Paola è già da considerarsi come una delle migliori giocatrici del pianeta. I suoi 45 punti in semifinale, sono una cosa mai vista prima in una rassegna iridata …
Purtroppo, però, nel quarto set partiamo malissimo. Andiamo sotto di sei punti, poi torniamo a meno uno, ma le serbe sono sempre avanti grazie ad una difesa solidissima e a un attacco sempre più pungente. Così, chiudono la frazione abbastanza agevolmente (25-19), rimandando l’esito del match al tie-break. Qui le nostre tengono bene, a metà frazione si trovano anche avanti per 8-7, ma poi un break di tre punti consecutivi delle nostre avversarie scava un solco che le azzurre non riescono più a colmare (15-12 il risultato finale del quinto set). La Serbia vince la medaglia d’oro al termine di una grande partita. Una partita nella quale, come avviene spesso nello sport, il confine tra la sconfitta e la vittoria è sottilissimo. L’Italia, invece, conquista una fantastica medaglia d’argento. Un grandissimo risultato, un traguardo ottenuto con una squadra profondamente nuova, giovanissima (l’età media supera di poco i 23 anni!), con ragazze che allo stesso tempo sono il presente e il futuro di questa nazionale. A riprova di ciò, basti considerare che quattro delle nostre (Paola Egonu come miglior opposto, Miriam Sylla come migliore schiacciatore, Ofelia Malinov come miglior palleggiatrice e Monica De Gennaro come miglior libero), a fine partita hanno ricevuto l’onore di essere state elette nel sestetto ideale di questo campionato del mondo.
Dietro questo grande traguardo, va sottolineato, c’è l’impegno di un gruppo di persone sapientemente capitanato dal c.t. Davide Mazzanti che, negli ultimi mesi, ha dato anima e corpo alla causa azzurra, non lasciando proprio nulla al caso. Dai componenti dell’area medica a quelli dell’area tecnica, da chi si è fatto carico della preparazione atletica fino agli scoutman dell’area statistica. Ed è davvero bello che due delle principali protagoniste di questo grande torneo azzurro siano state proprio la veneta Paola Egonu e la siciliana Miriam Sylla, nate e cresciute nel nostro paese ma entrambe di origine africana (rispettivamente della Nigeria la Egonu e della Costa d’Avorio la Sylla).
Due delle ragazze simbolo di questa squadra “multietnica”, che per indossare la maglia azzurra hanno dovuto superare momenti difficili, venire a patti anche con insulti e pregiudizi, e che dimostrano ancora una volta come lo sport possa essere luogo privilegiato dove abbattere le barriere, territorio di uguaglianza e di accoglienza. Noi, a Paola, Miriam, a tutte le loro compagne e a tutto lo staff della nazionale azzurra possiamo solo dire grazie. Grazie per le emozioni che ci hanno saputo regalare in queste settimane. E per quelle che, ne siamo certi, ci sapranno regalare anche nel prossimo futuro! Intanto, in questi giorni di spread ballerini e di rating nazionale che scende, è bello scoprire che da qualche parte il cielo splende d’azzurro. È bello scoprire che un sogno (la conquista di una medaglia mondiale), alla vigilia apparentemente impossibile, alla fine può diventare realtà.