Il governo in Egitto per Regeni o per il gas?
L’Egitto torna ad esercitare una grande attrazione sull’Italia dopo il raffreddamento dei rapporti seguito all’omicidio di Giulio Regeni e alla paura per lo scatenarsi degli attentati terroristici. Come si sa (ma è un affare che riguarda solo l’Italia) il governo dell’ex generale Abdel Fattah al-Sisi dà l’impressione di voler glissare sul tema della morte molto sospetta del giovane ricercatore italiano, per non rivelare qualche mummia nascosta negli armadi dei servizi segreti.
Tra luglio e agosto, ben tre esponenti del governo italiano (Salvini, Moavero e Di Maio) sono arrivati in Egitto per incontrare il presidente egiziano. Stando alle dichiarazioni apparse sui media, sembra che tutti non abbiano fatto altro che perorare la causa della chiarezza sull’omicidio Regeni. E a tutti, infatti, al-Sisi ha promesso ancora una volta che il caso sarà presto risolto. La sensazione è che siano promesse che verranno certamente prese in considerazione, come si dice in arabo, bukra wa badbukra, cioè domani o dopodomani, in un tempo che si colloca pressappoco fra il “vedremo” e il “forse prima o poi”.
Al di là delle dichiarazioni, la “processione ministeriale” italiana al Cairo sembra avere una forte connessione con l’annuncio fatto il 27 giugno scorso sulla scoperta nel mediterraneo orientale di Noor, il secondo mega-giacimento egiziano di gas. Il primo, Zohr, con una capacità di 850 miliardi di metri cubi, era stato individuato ad agosto 2015 ed è già operativo dall’inizio di quest’anno. Entrambe le scoperte e il loro sfruttamento sono targate Eni, cioè Italia.
Per il nostro Paese questo significa lavoro e rifornimento energetico, per l’Egitto la possibilità di uscire da una crisi economica da paura (con un’inflazione arrivata anche al 50%) e di garantirsi la “benevolenza” dei Paesi europei, molto interessati a forniture di gas concorrenziali con il finora quasi-monopolio russo. E questo indurrebbe a passare sopra le denunce delle organizzazioni internazionali per le violazioni dei diritti umani operate dal regime di al-Sisi, al quale viene attribuito negli ultimi 5 anni l’arresto, per motivi politici, di svariate decine di migliaia di persone, centinaia di morti in carcere e desaparecidos, violenze contro dissidenti veri o presunti. Senza contare le 75 condanne a morte di questi giorni per un sit-in di protesta del 2013 contro la deposizione dell’allora presidente Morsi, esponente dei Fratelli musulmani (manifestazione che contò 700 morti fra i manifestanti).
Come disse lo stesso al-Sisi nel 2014 all’allora presidente francese François Hollande: «Sono al cento per cento per i diritti umani, ma non adesso». Forse bukra wa badbukra? Beninteso, ben venga un po’ di lavoro e di sollievo per gli egiziani, da sempre costretti a emigrare per cercare lavoro all’estero, anche in Italia. Gli italiani, peraltro, hanno ripreso ad alimentare il turismo del Mar Rosso, che è salito lo scorso anno di oltre il 94% rispetto al 2016, grazie soprattutto alle migliori condizioni di sicurezza nel Paese.
Naturalmente il presidente egiziano è molto attento al consenso, non solo estero ma anche interno. Essendo un leader laico, sa bene che la deposizione dell’ex presidente Morsi gli ha guadagnato un ampio sostegno da parte dei cristiani copti, che sotto il precedente regime dei Fratelli musulmani erano pesantemente emarginati. I copti egiziani, che sono circa 10 milioni, hanno subito negli ultimi anni numerosi attentati, con decine di morti, ad opera di gruppi jihadisti vicini allo Stato islamico. A fine agosto, in un rimpasto di governatori delle province, c’è stata a sorpresa la nomina a governatore di due copti. E, come se non bastasse, uno dei due è donna. La neo-governatrice di Damietta si chiama Manal Awad Mikhail, ha 51 anni, è stata ricercatrice in ambito veterinario e negli ultimi anni vicegovernatrice di Giza. Il governatorato di Damietta (circa 1,5 milioni di abitanti) è il più piccolo fra i 27 territori in cui è suddiviso l’Egitto, ma è anche uno dei più prestigiosi: Damietta, fra l’altro, è la città dove san Francesco nel 1219 incontrò il sultano al-Malik al-Kamil.
Probabilmente il presidente egiziano ha voluto sottolineare con queste nomine la sua attenzione alle minoranze e alla pari opportunità delle donne, temi di cui gli islamisti non vogliono sentir parlare. Come primo passo sarebbe forse interessante, se avrà un seguito.