Gli Usa minacciati da settemila migranti?

La carovana partita dall’Honduras si troverà ad affrontare un processo migratorio lungo e dagli esiti incerti. Quali poteri potrà o non potrà esercitare il presidente Trump
AP Photo/Rodrigo Abd

Cosa ha spinto Giron a lasciare Choloma, in Honduras per incamminarsi con due piccoli a seguito, in un viaggio che attraverso il Guatemala lo ha ora condotto in Messico e che fra qualche settimana potrebbe condurlo negli Usa?

Cosa ha convinto Reyna e la sua bambina a percorrere, dietro lui, migliaia di chilometri fino al confine nordmaericano?

“I miei figli”, risponde Giron. “Dare un futuro ai miei bambini”, gli fa eco Reyna. Raccontano ai microfoni delle emittenti statunitensi che le bande armate non danno tregua al loro paese: «Se vedono una ragazzina carina la prendono per loro e se vedono un bambino lo costringono a drogarsi per farne un cliente e dopo un affiliato», spiega Giron.

La sua storia è simile a decine di quelle che raccontano i settemila migranti che il 12 ottobre scorso sono partiti da san Pedro Sula per raggiungere il confine Usa, determinati a chiedere asilo politico.

In realtà dal piccolo paese honduregno erano partiti in 160, ma due giorni dopo erano già diventati più di 1.500, secondo l’Associated Press che li ha intervistati al confine con il Guatemala e tra loro le donne erano la presenza più consistente.

Tra i fuggitivi ci sono parecchi attivisti per i diritti umani, accusati dal presidente dell’Honduras di voler destabilizzare il Paese. In realtà la fuga di queste centinaia di persone è il ritratto di un Paese già destabilizzato dove è impossibile sostenere una famiglia con 5 dollari al giorno e dove la criminalità spadroneggia.

Nell’ultimo rapporto pubblicato dalla Caritas statunitense lo scorso giovedì, sia le famiglie honduregne che quelle guatemalteche sono giunte alla decisione di entrare negli Usa dopo 5-6 cambiamenti di residenza interni al Paese per mettersi al sicuro.

Honduras, Guatemala, El Salvador sono noti come i Paesi del Triangolo del Nord, nazioni considerate tra le più violente al mondo e che negli anni ’80 hanno conosciuto sanguinose guerre civili che hanno lasciato una fragilità istituzionale minacciata da corruzione, traffico di droga, bande criminali che neppure le riforme giudiziarie più rigide sono riuscite a contenere.

Nonostante gli Usa abbiano fornito miliardi di dollari di aiuti, gli analisti politici ritengono che l’inasprimento delle politiche migratorie americane e i proclami infuocati hanno favorito l’aumento dei flussi.

L’ultimo censimento del 2015 parla di 3.4 milioni di persone nate nel Triangolo e residenti negli Usa perchè sfuggite a estorsioni (gli honduregni hanno pagato fino a 390 milioni di dollari alla criminalità organizzata), reclutamenti forzati in bande, povertà, instabilità sociale. Da qui la decisione della fuga.

La scelta di viaggiare nella stessa carovana è una forma di protezione: i migranti sono consapevoli che i viaggiatori solitari sono finiti in mano alle bande criminali messicane che gestiscono il traffico di esseri umani e non pochi sono stati uccisi dagli stessi militari, come riporta Amnesty International.

Gli iniziatori del viaggio non erano certo consapevoli dei risvolti della loro iniziativa e che tante associazioni locali per i diritti umani avrebbero spinto i loro membri ad unirsi alla schiera.

L’ultimo censimento fatto in Messico dalle agenzie umanitarie delle Nazioni Unite parla di 7.322 persone in marcia e tra questi 2.500 minori.

È anche vero che non si tratta di una massa compatta, ma di gruppi ampi che magari sostano in aree differenti delle regioni di confine per riprendere le forze, come è accaduto per la frangia che si è accampata sul fiume al confine con il Guatemala, dove la polizia messicana ha usato  uno spray urticante per scoraggiarli nell’attraversamento del ponte, ma in tanti si sono gettati nel fiume e raggiunta a nuoto la riva hanno chiesto asilo politico agli agenti che li ripescavano.

Proprio in territorio messicano è iniziato il processo di identificazione e tra loro ci sono deportati ma anche cittadini americani, cioè giovani partoriti negli Usa per avere la cittadinanza, ma che poi avevano fatto ritorno al Paese d’origine dei genitori.

Secondo gli ultimi dati forniti dagli agenti di frontiera in mille hanno già chiesto asilo al Messico, mentre gli altri da Tapachula si sposteranno lungo la costa e la regione del Chiapas fino alla frontiera con gli Usa.

Cosa li aspetterà quando tra parecchie settimane giungeranno al confine statunitense?

Al di là della retorica del presidente Trump che, in piena campagna elettorale per le elezioni di mid-term, considera la carovana un complotto dei democratici e del miliardario Soros, queste migliaia di migranti si troveranno a sostare, magari per mesi nella piazza antistante i porti di ingresso in attesa di presentarsi uno alla volta agli agenti di frontiera chiedendo asilo.

La richiesta non potrà essere rifiutata perchè si violerebbero le norme internazionali, ma inizierà un lungo processo giudiziario in stato di detenzione, perchè così prevede la politica di “Tolleranza zero”, varata lo scorso maggio dal procuratore generale Session, causa del procedimento di separazione delle famiglie, ora in buona parte riunite, ma in prigione o rimpatriate, con costi gravosi per l’amministrazione.

Non è la prima volta che gli Usa si trovano  a fronteggiare carovane con numeri importanti: la scorsa primavera si presentarono in 1500 ai varchi legali, ma ai molti che erano stati già deportati non è stato nemmeno dato ascolto.

Delle 1500 richieste solo 250 sono state accolte, ma questo non significa aver ottenuto lo status di rifugiato poichè i richiedenti dovranno superare il cosidetto “test della paura”, cioè dovranno dimostrare una reale persecuzione per motivi religiosi, politici, razziali.

Intanto l’amministrazione ha già annunciato che per il prossimo anno verranno accolti solo 30mila richiedenti asilo, un terzo rispetto ai 95mila stabiliti dalle precedenti norme.

Trump minaccia di inviare truppe in territorio messicano poichè il governo non è in grado di fermare la carovana e in uno dei suoi tweet mattutini ha annunciato tagli agli aiuti umanitari e agli investimenti nei Paesi di provenienza dei migranti, definendoli “non amici e luoghi infernali”.

In realtà il presidente non può trasferiremilitari in un altro paese senza che questo implichi una violazione della sovranità territoriale e una dichiarazione di guerra, piuttosto ha allertato la Guardia nazionale per spostare più uomini al confine.

Inoltre le agenzie federali per gli aiuti esteri non hanno ricevuto alcuna indicazione a riguardo, mentre alti funzionari statunitensi nei paesi del Triangolo assicurano gli aiuti continueranno.

I repubblicani spingono per inasprire le politiche migratorie e creare panico attorno alla carovana in modo da giocare questa carta contro i democratici alle prossime elezioni del 6 novembre.

I sondaggi però parlano di una percezione diversa del problema migratorio anche tra la base repubblicana: se l’apprensione verso i singoli migranti è calata, non lo è quella verso i bambini non accompagnati e le famiglie, soprattutto dopo le immagini sulla separazione dei genitori dai figli che hanno fatto il giro del mondo e gettato non poche ombre sulle scelte dell’amministrazione, a favore della vita su tanti fronti, ma con non poche contraddizioni nell’attuazione di queste politiche.

 

 

 

 

 

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