Con gli occhi di Maria
«Il giorno prima che mia moglie morisse eravamo insieme in auto. Ad un tratto mi fa: “Fermati!”. Aveva notato una persona accasciata a terra. “Sarà un ubriaco”, ho risposto. Per accontentarla, ho parcheggiato e siamo andati a vedere. Quel tale, abbiamo scoperto, era in coma diabetico. E lei: “Vedi? Non bisogna fare giudizi superficiali”. Questo per darti un’idea di chi era Maria: una donna attenta alle necessità altrui, anche per la sua professione di pedagogista a contatto con handicap psicologici, mentali e fisici».
Rolf Infanger, 63 anni, svizzero residente a Suderburg (Germania), racconta con un tono pacato, che solo a tratti s’incrina mentre gli occhi gli si fanno lucidi. «Dopo un aborto naturale e vani tentativi di adozione, mia moglie ed io avevamo accolto dei bambini in affido per alcuni mesi. In 6 anni ne erano passati da noi 38. Quel 18 ottobre 2006 mi ero svegliato all’ora solita per recarmi al lavoro. Maria era rimasta a letto e poiché sentiva un po’ di freddo le ho messo addosso la mia coperta. Mi ha detto: “Lo sai che ti amo tanto? Sei l’uomo migliore che abbia conosciuto». E io: «Certo che lo so!». «Beh, un po’ arrogante lo sei, ma…”. Ci siamo baciati e sono uscito. Nel pomeriggio l’ho trovata accasciata in cucina: un’embolia polmonare l’aveva stroncata».
Seguono giorni drammatici. «Come poteva, una persona di 45 anni, essersene andata così, al colmo della vita? E i tanti progetti fatti? Mi è crollato il mondo, compresa la fede. Poi un pensiero: Gesù sulla croce ha gridato: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, dopo però si è affidato al Padre. E lì una preghiera: “Dio, se esisti, fammi capire cosa devo fare della mia vita. Guidami!”». Oggi Rolf può attestare che Dio ha veramente preso in mano la sua vita. È la seconda parte di questa storia.
«Dopo il funerale, un amico mi ha proposto di accompagnarlo in Myanmar (l’ex Birmania), in aiuto alla nascente comunità dei Focolari. Ignoravo tutto di quel Paese asiatico, ma ho accettato: meglio dedicarmi agli altri che macerarmi nei miei guai». Il governo militare del Myanmar concede a Rolf solo un giorno di permesso per raggiungere la meta: Kanazogone, in una zona allora proibita ai turisti. L’arrivo in quel villaggio lungo il delta del fiume Irrawaddy, dopo un viaggio e controlli estenuanti, è l’impatto con una povertà inimmaginabile, ma vissuta con dignità.
«Il parroco, padre Carolus, aveva messo in piedi una casa di accoglienza per 120 bambini cristiani, buddhisti e musulmani, tanti di loro orfani. Quando gli ho chiesto come riusciva a mantenerli, ha risposto: “La Divina Provvidenza!”. “E se manca?”. “Allora ci stringiamo la cinghia!”. “Di quanti soldi hai bisogno al giorno per loro?”. Un rapido calcolo, poi: “25 euro sono sufficienti per le spese di vitto, alloggio, vestiario, medicine e tasse scolastiche, per pagare il personale e attivare il generatore di corrente”. “Impossibile! – ho replicato – Avrai fatto male i calcoli”. E lui: “No, è proprio come ti ho detto”».
Questo viaggio, primo di tanti altri, segna una svolta nella vita di Rolf: «Ora sapevo cosa fare: al posto di una Mercedes mi andava bene anche una Panda e con i soldi avanzati potevo nutrire tanti bambini con una dieta equilibrata. Al ritorno ho informato parenti, amici e conoscenti. E uno dopo l’altro hanno cominciato a offrirmi contributi per padre Carolus: una vera valanga di solidarietà. Al che un amico avvocato mi ha consigliato: “Rolf, qui occorre un’associazione con statuto e consiglio di amministrazione per dimostrare la destinazione dei fondi. Io ti posso aiutare”».
Nasce così l’associazione Onlus “Maria Schregel”. L’obiettivo: «Offrire ai più disagiati di Kanazogone condizioni di vita accettabili, dar loro modo di aiutarsi e promuovere una coesistenza pacifica tra etnie. Sosteniamo – spiega Rolf – soltanto progetti approvati dal consiglio del villaggio e dagli anziani dei rispettivi gruppi etnici».
Impressiona scoprire quante realizzazioni, anche col supporto dell’italiana Amu (Associazione per un mondo unito), stiano trasformando un luogo colpito da tutti i mali della povertà: adozioni a distanza, aiuto finanziario a una casa per anziani, microcrediti a vedove che hanno perso familiari e averi in catastrofi naturali, scuole di ricamo e cucito per garantire un futuro a ragazze povere, una fattoria, case per bambini in altri tre villaggi, sostegno per studenti universitari… perfino una piccola centrale a biogas che fornisce energia elettrica a 800 case, utilizzando un prodotto di scarto come la lolla del riso.
Oltre agli aiuti ordinari, quelli di emergenza: «Dopo il tifone Nargis che nel 2008 fece 200 mila vittime – continua Rolf –, la nostra associazione ha provveduto per i primi 5 mesi ai bisogni medici e alimentari di 1700 superstiti rifugiatisi a Kanazogone e ha costruito rifugi da usare nel periodo dei monsoni».
Altri progetti sono previsti nell’immediato a favore di un territorio dove mancano strutture sanitarie, la mortalità infantile e delle puerpere è elevata e l’igiene lascia a desiderare. Da come ne parla, Rolf li vede già realizzati: «Ho imparato da Maria ad avere uno sguardo largo, a vedere anche quello che non dovrei, e ad agire di conseguenza. Anche ora continuo a guardarmi attorno con i suoi occhi». La terza parte di questa storia è appena iniziata: «Ho conosciuto Miriam, una brasiliana con radici tedesche, con la quale voglio condividere la vita e il futuro».
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