Gli handicappati come maestri

Cosa ci dice un messaggio contro un disabile, lasciato scritto in un anonimo centro commerciale. Una testimonianza diretta per capire che il limite non è una disgrazia. Nel segno dei minores di Francesco, in una società chiamata all’esodo dall’intolleranza  
Ansa foto

Il 19 agosto, presso il centro commerciale di Carugate, alla periferia di Milano, un signore laureato affigge un manifesto, in cui si afferma: «A te handicappato che ieri hai chiamato i vigili per non fare due metri in più, vorrei dirti questo: a me 60 euro non cambiano nulla ma tu rimani sempre un povero handicappato…… sono contento che ti sia capitata questa disgrazia !!!». Si rimane sbalorditi che una persona colta (è laureato) sprigioni tanta violenza e tanta cattiveria. Parole che vogliono spezzare la vita dell’altro, schiacciarla attraverso l’odio.

È settanta due anni che sono handicappato, per usare i termini di questo signore. Io lo sono diventato nell’agosto del 1945 nei giorni di Hiroshima, quando l’odio cancellava intere città alla fine della seconda guerra mondiale. E Porcari (Lucca), il paese dove sono nato, era attraversato da una piccola epidemia di poliomielite. Se questo signore avesse guardato con attenzione, si sarebbe accorto che anche due metri per un disabile sono una fatica, spesso insopportabile. Abbiamo imparato la fatica della vita. Se chiamiamo i vigili, è perché non solo una leggina, ma la Costituzione  afferma i diritti delle persone disabili. Se è laureato dovrebbe sapere che la costituzione usa il termine “minorati” a indicare coloro che sono minores, cioè persone che non contano, secondo la tradizione francescana, che non hanno potere. Ecco la costituzione, legge fondamentale dello stato, che protegge i diritti dei disabili, nella loro ampiezza e profondità.

È significativo che i disabili risalgono a san Francesco e per questo papa Francesco li vuole sempre accanto a sé, come sigillo indelebile di fraternità, per ricordarci che nei vangeli Gesù accoglie gli handicappati e li guarisce. Azione fondamentale per sconfiggere la malattia delle malattie che è l’odio, il disprezzo dell’altro.

Il papa vede la fatica dei due metri e per questo alle sue udienze e celebrazioni sono sempre i disabili in prima fila. Sembra di essere a Cafarnao, dove Gesù guarisce  gli handicappati lungo la strada. Addirittura tolgono il tetto per avvicinare un handicappato in barella, in modo che Gesù lo guarisca.

Va letta quella pagina per essere consolati dalla forza di chi porta l’handicappato e dalla potenza di guarigione di Gesù. Persone accanto a persone. Il vero povero appare questo signore nella sua solitudine notturna, incapace di vedere lo sguardo dell’altro e il suo dolore e la sua prova, ma anche la sua gioia  perché l’incontro è sempre possibile.

Mi colpisce questa frase, figlia di una cultura del disprezzo: «tu rimani sempre un povero disabile». Pur nel dramma e nella fatica della vita, siamo spesso più forti della nostra disabilità, non ne siamo prigionieri. Pensi che lavoriamo, che guidiamo le automobili, ci sposiamo, facciamo figli e figlie.

Non siamo degli eroi, ma siamo delle persone, che non sono sconfitte dalla vita, al contrario, stiamo vincendo la battaglia della vita. Combattiamo in modo mite e forte, perché ci siano riconosciuti i diritti. I disabili sono la cartina di tornasole per vedere se la nostra società obbedisce ancora oggi alla sua Costituzione. Anche io sono contento di essere handicappato. Lei dice: «sono contento che ti sia capitata questa disgrazia». Arrivato alla fine della vita, con timore e tremore, posso dire che non è stata una disgrazia, ma una grazia e che se non avessi avuto questa grazia la mia vita sarebbe stata sicuramente peggiore.

L’incontro con tanti fratelli handicappati mi ha reso migliore. Penso a Donatella, a Raffaello, a Roberta, a Chiara e tanti altri, segnati nella carne e nella vita. Questi ed altri mi sono stati maestri nel patire e nel gioire, nel vivere una vita bella, non da eroi, ma da persone.  Grazie dei punti esclamativi.Vogliono sottolineare una condanna, e al contrario sono un riconoscimento.

Senza volerlo deve confessare che la grazia è più forte della disgrazia. Ecco il nuovo sguardo che ci porta all’esodo dalla intolleranza.

 

 

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