Giulio Regeni, la verità tre anni dopo

Ancora senza responsabilità accertate sulla tragica vicenda del giovane ricercatore italiano, torturato e ucciso nel 2016 in Egitto. Intervista a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia
ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

Il suo volto di ragazzo ci è diventato familiare, ma la madre lo ha riconosciuto solo dal naso quando hanno riconsegnato alla famiglia il corpo martoriato dalle torture subite dopo il rapimento avvenuto il 25 gennaio 2016 in Egitto.

Ho visto «su mio figlio i segni del male del mondo» ha detto la signora Paola che, con il marito Claudio, hanno offerto, in questi anni, una testimonianza di grande dignità e fermezza nella ricerca della verità sul brutale assassinio del ricercatore intento a svolgere, in collegamento con l’università di Cambridge, uno studio sui movimenti sindacali attivi in un Paese molto importante nello scacchiere medio orientale.

Siamo abituati a convivere con misteri senza risposta per via della complessità degli equilibri internazionali e degli interessi in gioco, a partire dagli accordi sulle forniture energetiche.

Quanto dureranno ancora i manifesti gialli (Verità per Giulio) di Amnesty international esposti su tante università e palazzi istituzionali in Italia? Intanto la sera del 25 gennaio 2019 si accenderanno tante luci per chiedere giustizia, oltre a fare memoria, in tante città e paesi. A cominciare da quello dove ha vissuto i primi anni, Fiumicello in Friuli.

Sulla vicenda si sono costruite tante storie di spionaggio e letture dietrologiche ma resta il fatto che resta fitta la cortina di fumo intorno al caso, dopo tante promesse di chiarimenti, annunci di nuove inchieste e collaborazioni tra le magistrature dei due Paesi che restano legati anche da rapporti di fornitura di armi. Le grandi società transnazionali, ad esempio, stanno lavorando alacremente in vista dell’appuntamento di Egypt Defence Expo del 2020.

Il presidente della Camera Roberto Fico ha compiuto gesti simbolici e isolati come la rottura dei rapporti tra le Camere di Italia ed Egitto, ma resta sempre valido il realismo (“ineludibile partnership”) dell’allora ministro degli Esteri Angelino Alfano che, nel 2017, ha rimandato l’ambasciatore italiano al Cairo dopo il ritiro deciso ad aprile 2016. Una decisione che doveva agevolare, come si disse, la ricerca della verità e che invece resta in alto mare come ci dice in questa intervista Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty international, l’organizzazione per i diritti umani che vuole dare voce alle vittime spesso sconosciute della macchina della repressione attiva purtroppo in troppe nazioni.

 ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Cosa ostacola tuttora la ricerca della verità sul caso Regeni?
La tradizione italiana di risolvere contenziosi in modo bilaterale e confidenziale e la pretesa che si possa ottenere la verità e contemporaneamente mantenere buoni rapporti con l’Egitto. Una strategia che in questi tre anni non ha pagato.

Non esistono troppi interessi economici su quell’area per mettere a rischio i nostri rapporti con quel Paese?
Che esistano interessi (economici e non solo) è innegabile. Che questi debbano essere prevalenti rispetto alla ricerca della verità sull’omicidio di un cittadino italiano, è inaccettabile.

Che tipo di società civile attiva avete incontrato in Egitto? Le reti sindacali hanno offerto sostegno alla causa?
La società civile è sfiancata da una repressione sempre più massiccia. Il movimento per i diritti umani (di cui fanno parte attiva anche i pochi gruppi sindacali indipendenti) conosce l’importanza della posta in gioco: incrinare il muro dell’impunità sull’omicidio di Giulio potrebbe contribuire a fare luce anche sugli innumerevoli casi analoghi dei Giulio e delle Giulia d’Egitto.

Come si può valutare il comportamento nell’inchiesta sul caso da parte dei docenti dell’università di Cambridge?
Lo definirei poco trasparente e collaborativo. Anche se non esiste una “pista Cambridge” alternativa alla “pista Cairo” è evidente che ci saremmo aspettati molto di più sul piano dell’assistenza alle indagini della procura di Roma.

 ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Cosa si può fare per sostenere le ragioni della giustizia e dimostrare vicinanza ai familiari del giovane ricercatore italiano?
Prendere parte alle iniziative che si svolgono costantemente non con l’obiettivo di commemorare ma di pretendere verità: allargare il numero degli enti locali e dei luoghi di cultura che aderiscono alla campagna, partecipare alle manifestazioni, scrivere di Giulio, aderire agli appelli. Ricordare che se c’è un governo che la verità deve darla, ce n’è uno – quello italiano – che deve pretenderla.

Qui la mappa delle iniziative per Giulio Regeni

Qui le notizie aggiornate sul caso

 

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