Genova, porto aperto alle armi?

Il gruppo di associazioni coalizzate per fermare l’invio di bombe utilizzate nel conflitto in Yemen lancia un appello congiunto per impedire l’accesso ad una nave che sta cercando alcuni porti europei per caricare armamenti destinati alle forze armate saudite. Il caso internazionale del cargo «Bahri Yanbu»
Guerra Yemen

Come riscontrabile dagli strumenti di monitoraggio della navigazione internazionale, la nave saudita «Bahri Yanbu», partita dagli Stati Uniti e passata per il Canada prima di arrivare in Europa, ha come destinazione finale Gedda, Arabia Saudita, con arrivo previsto il 25 maggio e passaggio probabile nel porto di Genova da sabato 18 maggio.

Come riporta il comunicato congiunto delle associazioni italiane coalizzate per fermare l’invio di bombe utilizzate nel conflitto in Yemen, «la nave, partita all’inizio di aprile dal porto di Corpus Christi, USA, per poi arrivare a Sunny Point, il più grande terminal militare del mondo, il 4 maggio ha imbarcato ad Anversa – secondo alcune organizzazioni della società civile belga – 6 container di munizioni. L’8 maggio avrebbe dovuto entrare nel porto di Le Havre per caricare 8 cannoni semoventi Caesar da 155 mm prodotti da Nexter, ma ha dovuto rinunciarvi per la mobilitazione dei gruppi francesi di attivisti dei diritti umani, contrari alla vendita di armi che potrebbero essere impiegate nella guerra in Yemen».

Il gruppo di associazioni che ha lanciato l’allarme è composto da Amnesty International Italia, Comitato per la riconversione RWM e il lavoro sostenibile, Fondazione Finanza Etica, Movimento dei Focolari Italia, Oxfam Italia, Rete della Pace, Rete italiana per il Disarmo e Save the Children Italia. Tale coalizione civile ritiene «reale e preoccupante la possibilità che anche a Genova possano essere caricate armi e munizionamento militare» e fa notare che negli ultimi anni «è stato accertato da numerosi osservatori indipendenti l’utilizzo contro la popolazione civile yemenita anche di bombe prodotte dalla RWM Italia (con sede a Ghedi, Brescia, e stabilimento a Domusnovas in Sardegna)».

Le associazioni, come è noto, hanno chiesto più volte ai precedenti esecutivi e all’attuale governo Conte di sospendere l’invio di sistemi militari all’Arabia Saudita ed in particolare le forniture di bombe aeree MK80 prodotte dalla RWM Italia che «vengono sicuramente utilizzate dall’aeronautica saudita nei bombardamenti indiscriminati contro la popolazione civile in Yemen in aperta violazione della legge 185/1990 e del Trattato internazionale sul commercio delle armi (ATT) ratificato dal nostro Paese».

Alla vigilia delle elezioni europee è inoltre opportuno tener presente che, «secondo i rapporti dell’UE sulle esportazioni di armi, gli Stati membri dell’UE hanno emesso almeno 607 licenze per oltre 15,8 miliardi di euro in Arabia Saudita nel 2016. I principali esportatori europei di armi convenzionali verso l’Arabia Saudita includono Regno Unito, Francia, Spagna, Italia e Bulgaria».

Bombe, osservano le associazioni, destinate ad alimentare «guerre che a loro volta alimentano le migrazioni che, a parole, tutti vorrebbero prevenire aiutando le popolazioni “a casa loro”: una vera follia».

In attesa dei provvedimenti che verranno presi dalle autorità italiane, per fugare ogni dubbio in merito, il comunicato congiunto definisce anche un profilo della nave «Bahri Yanbu» come facente parte della «maggiore compagnia di shipping saudita, la Bahri, già nota come National Shipping Company of Saudi Arabia, società controllata dal governo saudita», che «dal 2014 gestisce in monopolio la logistica militare di Riyadh».

Alla prova dei fatti si tratta ora di capire l’incidenza reale della dichiarazione rilasciata lo scorso 28 dicembre dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, per affermare la contrarietà del governo italiano «alla vendita di armi all’Arabia Saudita per il ruolo che sta svolgendo nella guerra in Yemen. Adesso si tratta solamente di formalizzare questa posizione e di trarne delle conseguenze».

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