Fratelli tutti, la globalizzazione secondo Francesco
È stata firmata ieri ad Assisi da papa Francesco l’enciclica Fratelli tutti, la terza del suo pontificato, che come si sa e come si intuisce dal titolo è centrata sulla fraternità universale. In più punti dell’enciclica, il pontefice affronta i temi della comunicazione e dell’informazione, in una parola dell’infosfera. Perché questa grande attenzione del papa argentino sul tema della comunicazione? Le ragioni mi sembra che siano almeno tre: la prima è molto semplice, e consiste nel fatto che il papa ha scritto il corpo centrale di questa enciclica durante il lockdown, nel confinamento a cui è stato sottoposto lui stesso assieme alla quasi totalità della nostra umanità. Il papa quindi si è reso conto lui stesso dell’invasiva e crescente importanza dei media, e in particolare dei social media, durante il periodo oscuro ma a tratti anche luminoso della chiusura. La seconda ragione dell’interesse di Bergoglio per la comunicazione sta nella crescita esponenziale degli elementi globali nel nostro mondo sofferente: la sua attenzione ai problemi complessi che ci attanagliano, in primis quello ecologico, lo spinge ad interessarsi in modo globale dei punti critici della globalizzazione. Il papa scrive ad esempio che «al di là delle varie risposte che hanno dato i diversi Paesi, è apparsa evidente l’incapacità di agire insieme» (n° 7). In terzo luogo, credo che il pontefice abbia voluto spazzare via l’idea che l’iper-connessione sia di per sé catartica, cioè capace di elevare l’uomo, di farlo comunicare coi suoi simili: «Malgrado si sia iper-connessi, si è verificata una frammentazione che ha reso più difficile risolvere i problemi che ci toccano tutti» (n° 7), e si sviluppa così una deleteria «cultura dei muri» (n° 27).
Cosa si può dire delle riflessioni contenute nell’enciclica Fratelli tutti a proposito della comunicazione e dell’informazione? Bisogna innanzitutto riconoscere che il pontefice non ha una visione negativa dei media; anzi, si può dire che ne abbia una concezione altamente positiva. Tuttavia il papa che viene dagli ultimi confini della terra sa bene che proprio per la potenza tecnologica straordinaria che questi mezzi hanno di arrivare fino agli ultimi confini della terra, i media hanno anche una capacità distruttiva notevole, legata alla finalità che sembrano aver assunto: «Viene meno il diritto all’intimità. Tutto diventa una specie di spettacolo… Nella comunicazione digitale si vuole mostrare tutto ed ogni individuo diventa oggetto di sguardi che frugano, denudano e divulgano, spesso in maniera anonima» (n° 42). Al solito, i mezzi non sono fini, e così «la connessione digitale non basta per gettare ponti, non è in grado di unire l’umanità» (n° 43). Bergoglio, cioè, agganciandosi alla capacità pervasiva di questi mezzi si sente in dovere di affermare che non sono mai sufficienti per creare una vera relazione tra gli umani. Sì, nel periodo del lockdown, i social media hanno avuto una funzione notevole, direi una funzione succedanea delle relazioni umane rispetto a quelle “dal vivo”, ma non per questo possono arrogarsi il diritto di diventare il modo privilegiato o addirittura unico di relazione tra gli uomini e le donne di questo iniziale XXI secolo.
Il papa inserisce anche il mondo della comunicazione digitale nella sua forte critica, già contenuta nella Laudato si’ del cosiddetto “paradigma tecnocratico”, per cui non bisogna lasciare in mano di alcune imprese transnazionali il nostro futuro: «Operano nel mondo digitale – spiega il papa – giganteschi interessi economici, capaci di realizzare forme di controllo tanto sottili quanto invasive, creando meccanismi di manipolazione delle coscienze e del processo democratico» (n° 45). Con un corollario che evidenzia una delle critiche più forti che può essere rivolta ai grandi social network: «Il funzionamento di molte piattaforme finisce spesso per favorire l’incontro tra persone che la pensano allo stesso modo, ostacolando il confronto tra le differenze. Questi circuiti chiusi facilitano la diffusione di informazioni e notizie false, fomentando pregiudizi e odio» (n° 45). Non a caso, questa è la stessa critica che da qualche tempo viene rivolta ai proprietari dei grandi social network dal fondatore stesso del world wide web, Tim Berners-Lee.
Da ciò viene l’attenzione posta da papa Bergoglio nell’enciclica Fratelli tutti sulla relazione tra comunicazione e silenzio: «Venendo meno il silenzio e l’ascolto, e trasformando tutto in battute e messaggi rapidi e impazienti, si mette in pericolo la struttura basilare di una saggia comunicazione umana» (n° 49). E ancora, una stoccata alla “troppa” informazione: «Il cumulo opprimente di informazioni che ci inonda non equivale a maggiore saggezza» (n° 50). Citando Gabriel Marcel, il papa vuole quindi dare il senso della vera comunicazione: «Non comunico effettivamente con me stesso se non nella misura in cui comunico con l’altro» (n° 87). Cioè, in altre parole, «siamo fatti per l’amore» (n° 88). Amore che ci spinge ad allargare la cerchia dei nostri affetti, che ci vuole aperti all’intera società, che «ci fa tendere verso la comunione universale» (n° 95), che apre «l’amicizia sociale» (n° 99). E ciò contrasta contro la contraria tendenza a concepire «la persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade” sempre più insensibile» (n° 111). Mentre l’interconnessione anche mediatica obbliga ad alzare lo sguardo e a capire che è necessario anche «un ordinamento mondiale giuridico politico ed economico… per lo sviluppo solidale di tutti i popoli» (n° 138).
Un’altra funzione che il papa attribuisce ai media, anche se parlando indirettamente di globalizzazione, è quella di favorire il mantenimento delle diversità culturali: «L’universale non dev’essere il dominio omogeneo, uniforme e standardizzato di un’unica forma culturale imperante» (n° 144). Ancora leggiamo nell’enciclica Fratelli tutti: «Nessun popolo, nessuna cultura o persona può ottenere tutto da sé» (n° 150). Da cui l’importanza della politica a cui il papa dedica un intero capitolo, mettendola in guardia dal cercare di dominare tutto mettendosi sotto gli imperativi economico-finanziari, anche attraverso gli strumenti digitali della comunicazione: «Il mercato da solo non risolve tutto» (n° 168), serve una visione solidaristica anche se economicamente sostenibile, ma «la politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia» (n° 177). Serve quell’«amore sociale» che porta verso «la civiltà dell’amore» (n° 183). «Vista in questo modo, la politica è più nobile dell’apparire, del marketing, di varie forme di maquillage mediatico» (n° 197).
E dopo la politica, non poteva che arrivare il dialogo, “metodo” per eccellenza della stessa politica e della comunicazione: «La risonante diffusione di fatti e richiami nei media, in realtà chiude spesso la possibilità del dialogo» (n° 201), con linguaggi che tendono «a screditare rapidamente l’avversario» (n° 201). Mentre «l’autentico dialogo sociale», anche favorito dai media, «presuppone la capacità di rispettare il punto di vista dell’altro» (n° 203). Un dialogo che il papa estende anche al sapere e alla scienza, in un passaggio certamente importante: «Oltre agli sviluppi scientifici specializzati, occorre la comunicazione tra discipline, dal momento che la realtà è una, benché possa essere accostata da diverse prospettive e con differenti metodologie» (n° 204): un richiamo forte ai metodi giornalistici che spesso non tengono conto della complessità sociale e tendono a dar voce a delle semplificazioni riduttive.
Ecco quindi il fine dei media oggi: «In questo mondo globalizzato i media possono aiutare a farci sentire più prossimi gli uni agli altri; a farci percepire un rinnovato senso di unità della famiglia umana che spinge alla solidarietà e all’impegno serio per una vita più dignitosa» (n° 205). Ma per far ciò «occorre esercitarsi a smascherare e le varie modalità di manipolazione, deformazione e occultamento della verità negli ambiti pubblici e privati». Con una stilettata non da poco ai media: «Ciò che chiamiamo “verità” non è solo la comunicazione di fatti operata dal giornalismo» (n° 208). Papa Bergoglio propone quindi di associare sempre la parola “verità” a due altri termini: «La verità è una compagna inseparabile della giustizia e della misericordia» (n° 227): il che vuol dire, per i “mediatici”, non voler mai separare l’oggetto dell’informazione o della comunicazione dalla necessità di un’onestà radicale e da un atteggiamento di accoglienza. Anche favorendo la pace e il perdono, come spiega ancora il papa in una citazione ormai notissima della Evangelii gaudium: «L’unità è superiore al conflitto… Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto» (n° 245). L’invito è essenziale per una categoria, come quella degli informatori, che possono facilmente favorire la polarizzazione sterile dei contrasti.
Nella Preghiera al Creatore finale, papa Francesco rivolge un invito che vale anche per i comunicatori: «Infondi nei nostri cuori uno spirito di fratelli. Ispiraci il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace».