Fermare la guerra, subito!
La guerra ha costi altissimi non solo di tipo umano ed economico. Sul piano culturale assistiamo ad una seminagione di odio, per cui persone che fino a ieri, probabilmente vivevano più o meno in buona armonia o in parziale buona armonia, a seconda delle zone di residenza in Ucraina, ad un certo punto si sono scoperti nemici.
Chi si ricorda della guerra nella ex Jugoslavia? Io ricordo benissimo un collega serbo, mio amico che ad un certo punto mi parlò dei suoi nemici croati.
«Ma come? – gli risposi – noi siamo stati insieme a congressi, abbiamo discusso, abbiamo parlato». Sì, mi disse lui. «Eravamo amici, siamo andati a tavola insieme con tanti colleghi croati. E tu chiamavi e li chiamavi, erano amici. Ma io non sapevo che erano i miei nemici».
Il primo effetto della guerra, è dipingere un altro, dipingere il diavolo, dipingere il nemico. Dopodiché viene di conseguenza che attaccare il diavolo, attaccare il nemico è ovvio. Anzi, è quasi doveroso. Non c’è dubbio che più il tempo passa e più questa ferita si approfondisce.
Il volto delle vittime scompare dal nostro sguardo. Avete sentito il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg? Io l’ho sentito dichiarare in televisione con un sorriso di compiacimento: «Noi stimiamo che ogni giorno muoiono 500 soldati russi», ma come si fa? Ma come si fa a compiacersi? Perlomeno non lo dire, a compiacersi che muoiono 500 giovani, 500 ragazzi.
Esiste poi un costo ulteriore del conflitto in corso in Ucraina e cioè il danno politico che va contro gli interessi dell’Europa.
Chi dice è giusto far la guerra per dare una lezione a Putin non capisce che probabilmente questo dare una lezione a Putin è un qualche cosa che andrà fatto con un’arma politica che renda possibile, anche all’interno della Federazione russa, una transizione che superi una tendenza a un regime autocratico con i cui modi di operare noi chiaramente non siamo d’accordo.
Ma la prosecuzione di uno stato di tensione certamente non facilita tutta quella opposizione che, forse non nelle periferie ma nelle grandi città, si va manifestando all’interno della Russia. E che viene soffocata, come viene soffocata da noi, ogni posizione che va contro il mainstream che dice “Noi siamo per una pace giusta”.
Se la cultura dominante è quella che vede la guerra come soluzione, di fatto siamo di fronte ad una cultura che nega la funzione della politica. Perché quando si usa la guerra vuol dire che la politica è morta. O comunque la mettiamo da parte.
Io non sono così pessimista sulla prevalenza di tale visione nella nostra società. Nel senso che credo che anche all’interno della nostra opinione pubblica occidentale sia possibile trovare uno spazio per una posizione che veda la convergenza di persone, anche di provenienza e di storie diverse.
E secondo me si tratta di dire: dimentichiamoci che la pensiamo diversamente o che arriviamo a una certa conclusione da strade diverse. Dimentichiamoci che magari tu eri per l’invio delle armi e io ero contrario a questo. Dimentichiamoci del fatto che tu mi hai subito detto che quando vedo due che si azzuffano e vedo uno molto grosso che picchia uno molto più molto piccolo, io devo aiutare quello più piccolo.
E va bene. Io posso anche concederti questo. Ma io ti dico che dopo, che magari anche momentaneamente, che hai aiutato quello che è piccolo la mia posizione è quella di separare i contendenti. Ripeto: «È quella di separare i contendenti».
Non vogliamo ammettere che esiste una mistificazione del termine pace quando la si usa per dire che la pace voglia dire sconfitta dell’avversario. Questa è una posizione drammaticamente utopica. Gli utopisti non sono coloro che dicono fermiamo la guerra. Gli utopisti drammaticamente sono quelli che pensano che con uno strumento ormai superato si possano risolvere dei problemi che sono totalmente nuovi. Perché i problemi ci sono. Di fronte alla situazione attuale l’unica cosa che risponde “all’attesa della povera gente”, per usare il termine di Giorgio La Pira, è quella di «fare cessare la violenza».
Pensiamo al viaggio che La Pira fece in Vietnam nel 1965. Pensate al fatto che in quel momento in Vietnam stazionavano quasi 500 mila soldati statunitensi. Che passo straordinario è stato fatto dal governo del Vietnam del Nord e anche dal fronte di liberazione nazionale del Sud, di dire: noi accettiamo. Cioè avere accettato il cessate il fuoco anche in presenza delle truppe americane, sul proprio suolo. Un esercito delle forze di occupazione, potremmo dire. Il ricordo lascia strabiliati.
Al presidente Ho Chi Minh, La Pira, citò un giurista romano, (“uti nunc possidetis, quominus ita possideatis, vim fieri veto”) cioè “cessi la violenza” dopodiché ci mettiamo a sedere e troviamo allora sì, una pace giusta. La pace giusta la possiamo conseguire se fondata sui principi della Conferenza di Helsinki, cioè l’intangibilità delle frontiere, la non liceità di aggredire uno Stato sovrano e così via. Ma la conseguiamo in una discussione intorno a un tavolo che è il tavolo delle trattative.
Quindi, indipendentemente da ciò che abbiamo pensato o tanti di noi possono aver pensato in modo diverso io credo che noi dovremmo cercare di trovare una convergenza sul discorso costi – benefici. Oggi la continuazione della guerra è un costo, il beneficio automatico è quello di far cessare questo costo e oggi provare una strada diversa. E quindi uno slogan “banale” potrebbe essere quello: «Ora basta. Ora basta». Indipendentemente, ripeto, dal fatto, dalle posizioni che ciascuno di noi ha preso in passato.
Da matematico sono abituato a dire che per asserire una cosa, bisogna cercare almeno di dimostrarla: non si possono prendere i 12 punti per una mediazione di pace proposta dalla Cina e dire «no, questa è propaganda, non li voglio neanche leggere». Io sono convinto che tanta gente che dice che quei punti sono da rigettare perché sono propagandistici, non li hanno neanche letti.
Alcuni dicono secondo i sondaggi che esiste una maggioranza dell’opinione pubblica contraria alla guerra. Altri ne dubitano. Credo perciò che sia necessario trovare un mezzo per fare in modo che – un tempo si sarebbe parlato di maggioranza silenziosa, forse non è maggioranza, certamente è silenziosa – oggi però possiamo fare in modo che questa maggioranza o minoranza silenziosa, che è contraria alla prosecuzione di una guerra per raggiungere una pace, riesca a fare pressione anche sulle espressioni politiche, parlamentari, in modo che si dica: va bene, indipendentemente da quello che noi, dal modo in cui giudichiamo, che si arrivi al cessate il fuoco.
C’è un punto che accomuna tutti. Tutti pensiamo che l’aggressione sia una cosa contraria alle fondamenta stesse del vivere internazionale, tutti quanti pensiamo che la soluzione giusta sarà una soluzione che in qualche modo richiama i principi di Helsinki. Ebbene, il mezzo a questo punto che vogliamo proporre è quello di proporre agli uni e agli altri – che vogliamo forse anche imporre, se necessario -, Vim fieri veto.
Credo che l’Europa soffra le conseguenze di questa guerra molto più di quanto ne soffrano gli Stati Uniti. Abbiamo la possibilità di cercare di fare tutti i nostri sforzi per imporre che questa possa essere la strada da scegliere. Quindi domandiamoci se abbiamo il modo di costruire un consenso su questo punto: Vim fieri veto – Ora basta!
Di fatto la pace non verrà subito e i negoziati saranno lunghi perché dovranno necessariamente portare all’evacuazione delle truppe russe. Quello che appare ad ogni modo essenziale e prioritario è “Fermare la guerra, subito!”.
(Il testo, rivisto dall’autore, mantiene lo stile colloquiale dell’intervento).
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