Federico Caffè. La lezione non è finita
I veri maestri, nella vita, lasciamo un’impronta indelebile senza creare dei cloni e dei replicanti, perché abituano a pensare e a dissentire, con l’unica invincibile esigenza di saper rendere ragione delle proprie scelte.
Così l’intera giornata dedicata a Federico Caffè, dall’università La Sapienza di Roma, a 25 anni dalla sua misteriosa scomparsa, ha visto una schiera di testimoni e allievi che si sentono tuttora interrogati dalle domande esigenti del loro professore che resta un maestro tanto più amato perché scomodo con i suoi punti fermi sull’esigenza dell’equità e la giustizia sociale. Altro che «scienza triste».
Lo striscione posto da alcuni studenti nel’entrata della facoltà di economia espone, senza equivoci, una citazione del grande economista:«Da tempo sono convinto che la sovrastruttura finanziario borsistica favorisca un gioco spregiudicato di tipo predatorio a danno della società». Analisi che risale al tempo dell’ubriacatura dei facili guadagni della finanza e di abbandono dell’economia reale. Scelte che hanno portato alla crisi attuale che sembra senza soluzione. Sembra la conferma di quanto Ermanno Rea, nella biografia del professore (“L’ultima lezione”), lascia intuire le ragioni della scomparsa volontaria di Caffè, trovando analogie con il mistero di Ettore Majorana e la scoperta dell’atomica.
Una sfida aperta sull’equità Attorno al pensatore pescarese sono nati gruppi di studio spontanei, con centinaia di iscritti: una rete diffusa di allievi vecchi e nuovi che ricoprono ruoli significativi negli ambiti più vari. Ci sono docenti della stessa facoltà di economia, tra i più coerenti con l’eredità di Caffè, come Maurizio Franzini e Nicola Acocella. Ma è a Mario Draghi, un allievo diventato presidente della Banca centrale europea, che viene affidata la lezione magistrale nel giorno che ricorda il suo maestro. Paradossalmente, Draghi è diventato una personificazione, di quel potere della cosiddetta Troika (Fondo monetario e Banca mondiale e Bce) che, per alcuni, rappresenterebbe il nuovo potere dittatoriale che ha sostituito i legittimi governi degli Stati.
La lezione è stata introdotta da un altro studente di Caffè, Ignazio Visco, ora governatore della Banca d’Italia. Le carriere dei due giovani sono decollate grazie al dottorato negli Usa, pagato con una borsa dell’ente Einaudi e di quella Banca d’Italia nella quale lo stesso Federico Caffè ha lavorato restandone sempre un interlocutore autorevole. Le carriere dei due sono note: li hanno condotti ad occupare poltrone decisionali in campo economico e finanziario non indifferenti. Davanti alla folla di personaggi noti, ai vecchi compagni di studio e ai giovanissimi studenti, Draghi ha dato ragione delle sue scelte istituzionali invitando le banche italiane, come già avviene in altri Paesi come la Francia, ad impiegare la liquidità ricevuta per finanziare le attività imprenditoriali, riconoscendo ormai maturo per l’Unione europea un “patto federale per la crescita”.
Quale patto per quale società? La lezione intervento di Draghi, nella complessità richiesta dalla materia, ha dato luogo ad un dibattito tra esperti delle diverse scuole, ma certo il riferimento ad un nuovo patto ( “deal” per dirlo in inglese) è stato letto come «un coraggioso salto di immaginazione politica» da coniugare con uno scritto di Caffè del 1974, dove l’economista invitava a riconoscere che ogni patto tra parti sociali deve partire da precisi «presupposti». Un esempio? «Una legislazione praticamente confiscatrice dei patrimoni superiori ad un certo ammontare» perché «il discorso del non vivere al di là dei propri mezzi ha un senso in un clima di generalizzata austerità» e perché vanno ricercate incessantemente «soluzioni che attenuino, ora e non in un imprecisato futuro, le diseguaglianze sociali anziché perpetuarle e consolidarle». Dimostrazione di una fiera libertà di pensiero che nasceva da uno studio rigoroso e da un clima familiare interessante, raccontato da Giovanna Leone, docente di scienze della comunicazione e nipote di Caffè, che parla dello zio come «persona capace di cura e di ascolto profondo del prossimo, che non valutava gli altri in base al metro del successo».
Il messaggio che resta Per chi conosce la storia originale di quella comunità accademica riunita attorno a Caffè, il pensiero non è potuto non andare, oltre che a Ezio Tarantelli, ucciso dalle Brigate Rosse, ad un altro studioso, Fausto Vicarelli, che coniugava appassionata ricerca e impegno continuo, da cristiano, a favore dei più poveri e diseredati. Un itinerario drammaticamente interrotto da un incidente stradale e che scosse Caffè, notevolmente, come se avesse perso «un fratello».
Draghi conclude la sua lezione con un serio incoraggiamento ai presenti: «Sono cambiate le condizioni, le analisi e le circostanze, siamo cambiati noi stessi, ciò che non è cambiato è il messaggio di Caffè che io e gli altri portiamo dentro. L’economia non è la scienza triste, è una scienza che vuole coniugare benessere ed equità, una scienza che, nonostante i molti errori, crede nel rigore del ragionamento e nell’osservazione spassionata della realtà, accompagnata da una vera comprensione dei fenomeni sociali che,spesso, richiede un impegno diretto che ognuno di noi cerca di dare secondo le proprie inclinazioni, ma che ci rammentava Caffè,con l’esempio, dobbiamo dare con una partecipazione diretta, con entusiasmo e coraggio, senza mai tirarci indietro».