Eutanasia al dunque

Attiva, passiva, con biotestamento. La discussione entra nel vivo anche in Italia. Due pareri diversi. Dalla rivista Città Nuova n. 3-2017

Anche in Italia, come in altri Paesi del mondo, la discussione sull’eutanasia (la cosiddetta buona morte) entra nel vivo. Al di là delle discussioni di principio, in Parlamento si tratterà di votare sì o no sull’introduzione nel nostro ordinamento di due diverse fattispecie: eutanasia passiva e dichiarazioni di fine vita. Per ora sembra esclusa l’eutanasia attiva. Abbiamo chiesto una valutazione a Pietro Greco, uno dei più quotati giornalisti scientifici italiani, laico doc, e a don Paolo Gentili, direttore dell’ufficio nazionale per la Pastorale familiare della Cei.

EUTANASIA PASSIVA
La sospensione dei trattamenti di sostegno vitale (come alimentazione artificiale o ventilazione meccanica), senza intraprendere azioni dirette per interrompere la vita, è accettabile?

Pietro Greco – Quelli di sostegno vitale sono a tutti gli effetti “trattamenti medici”, che richiedono l’autorizzazione esplicita del paziente, col preventivo consenso informato. Consenso che può essere revocato in ogni momento per volontà del paziente. In questo caso non parlerei neppure di eutanasia, sia pure passiva. Se avesse senso il termine “naturale”, parlerei piuttosto di decisione di morire di “morte naturale”. Poiché i termini naturale e artificiale sono alquanto indefiniti (l’uomo è parte in tutto e per tutto della natura e tutte le sue azioni o prodotti delle sue azioni sono, pertanto, naturali), parlerei semplicemente di libertà di decidere di morire con dignità. Ogni persona ha una concezione soggettiva di dignità e di dignità della morte. Per questo è a ciascuno demandata la decisione di accettare o rifiutare i trattamenti di sostegno vitale.

Don Paolo Gentili – Le questioni in gioco sono delicate. Oltre a evidenti connotazioni di carattere etico, ci sono prerogative di carattere esistenziale, che toccano gli affetti familiari, la qualità della vita in rapporto con la sofferenza, la carne viva dell’esistenza umana. Certamente, nel caso di interruzione del sostegno vitale, occorre aver chiarito che si tratta di “staccare la spina”. Va allora considerato se oramai si è davvero giunti alla dogana dell’accanimento terapeutico e realmente non c’è più nulla da fare. Altrimenti, anche in questo caso occorre rispettare la sacralità della vita umana, di una vita che in realtà non ci appartiene, di cui siamo “usufruttuari”, ma non proprietari. Certo, non sarà sufficiente dire dei «no» all’eutanasia, ma occorrerà una comunità cristiana capace di accompagnamento, di offrire al malato e ai familiari iniezioni di speranza, vicinanza, affetto. A volte il problema vero da affrontare non è morire ma vivere; o meglio, essere aiutati a vivere in certe condizioni, avere accanto qualcuno saldo «nella speranza contro ogni speranza» (Rom 4, 18).

BIOTESTAMENTO
La dichiarazione anticipata di fine vita, sulle terapie che il paziente intende accettare in caso di malattia invalidante, andrebbe inserita nel nostro ordinamento giuridico?

Pietro Greco – È giusto che una persona, che non intende subire “trattamenti medici” che si risolvono in un “accanimento terapeutico” che lede il suo “diritto a una morte dignitosa”, possa anticipare questa sua decisione col “biotestamento”. È giusto che, ove questa persona si trovasse in condizioni irreversibili di mancanza di coscienza – per esempio in uno stato vegetativo simile a quello in cui si è trovata per ben 17 anni Eluana Englaro –, veda rispettato il suo diritto a una morte dignitosa. Ed è giusto non solo che, con grande amore, le persone che le sono care esaudiscano la sua volontà, ma anche che la legge riconosca esplicitamente questa possibilità.

Don Paolo Gentili – Sono contrario. Non possiamo sapere in anticipo ciò che avverrà nel nostro cuore, in caso di malattia. Ho visto tante persone che con l’avvicinarsi alla morte sono cambiate profondamente e spesso in meglio. Oltretutto, nella bozza di legge si parla della possibilità che questa decisione, in caso di disabili, sia presa dai loro tutori e ciò evidentemente apre a terribili rischi arbitrari sulla vita altrui. In un mondo materialista si rischia di calcolare la qualità della vita con la capacità di produrre beni materiali, mentre invece i disabili sono i nuovi tesori dell’umanità moderna: più volte ho ricevuto da alcuni di loro delle cure, attraverso «la terapia del sorriso. Allora la fragilità stessa può diventare conforto e sostegno alla nostra solitudine» (papa Francesco, Giubileo dei disabili, 12 giugno 2016). Il sogno è quello di una comunità cristiana capace di illuminare la vicinanza di Gesù nella sofferenza.

EUTANASIA ATTIVA
L’interruzione deliberata della vita, provocata con mezzi e strumenti specifici o “suicidio medicalmente assistito”, è accettabile?

Pietro Greco – Agire deliberatamente, per esempio con un’iniezione letale, per porre fine alla propria vita può essere fatto in solitudine oppure, il più delle volte, interviene qualcuno che assiste. In Italia l’eutanasia attiva non è oggetto di discussione in Parlamento. Dunque la discussione potrebbe sembrare accademica, se non fosse che in alcuni Paesi – per esempio nella vicina Svizzera – l’eutanasia, assistita da persone competenti e pietose, è consentita. Cosicché qualcuno, anche dall’Italia, intraprende tristi viaggi per accedere a questa possibilità. Io penso che questa pratica, con molta prudenza, possa essere consentita. La prudenza consiste nel limitare la pratica a persone adulte e consenzienti che sono in fin di vita conclamata (malati terminali) e in condizione di sofferenza. Il principio è sempre quello del “diritto a una morte dignitosa”. La prassi deve comunque prevedere il parere favorevole dei medici che accertino le condizioni terminali e irreversibili del paziente oltre che la sua esplicita volontà. E che, inoltre, assicurino che l’interruzione della vita avvenga in condizioni dignitose. Anzi, in condizioni che trasudano amore. Un discorso diverso riguarda i minori o le persone adulte prive di coscienza. In questi casi l’eutanasia attiva dovrebbe essere evitata e si dovrebbe piuttosto assicurare la dignità delle condizioni di vita con cure palliative del dolore.

Don Paolo Gentili – Porre fine alla propria o all’altrui esistenza è un’azione deprecabile. Pur comprendendo l’atroce sofferenza nel vedere sé stessi, o comunque una persona che si ama, in stato terminale, è necessario dire con chiarezza che non possiamo cedere alla tentazione di eliminare volontariamente una vita. Occorrerà però anche in questo caso una comunità di fratelli che sappia condividere da vicino quel dolore. Ho avuto il dono molti anni fa, mentre ero studente al liceo, di stare accanto a un amico tossicodipendente straziato dall’Aids nei suoi ultimi giorni. All’inizio è stato davvero difficile: era molto forte la tentazione di scappare. Poi però, ogni giorno uscivo da scuola sapendo di incontrare quegli occhi ed erano loro a darmi forza. «Per parlare di speranza a chi è disperato, bisogna condividere la sua disperazione; per asciugare una lacrima dal volto di chi soffre, bisogna unire al suo il nostro pianto. Solo così le nostre parole possono essere realmente capaci di dare un po’ di speranza. E se non posso dire parole così, con il pianto, con il dolore, meglio il silenzio; la carezza, il gesto e niente parole» (papa Francesco, 4 gennaio 2017).

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