Ucraina, entra in scena la Cina

Qualcosa si muove in campo diplomatico, con la discesa in campo del premier israeliano, dopo gli interventi di Macron e Scholz. Ma soprattutto con una breve nota proveniente da Pechino.
(Alexei Druzhinin, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP, File)

La sola notizia che sembra aprire veri spiragli di pace in una guerra che, come sempre, assume i connotati dell’abiezione, della perversione e della menzogna globale, viene da Pechino: nel corso di una conferenza stampa, infatti, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha detto che la Cina è pronta a lavorare con la comunità internazionale per una «necessaria mediazione sull’Ucraina», pur ribadendo che l’alleanza con la Russia «è solida come una roccia».

Dopo i tentativi reiterati di Emmanuel Macron, Naftali Bennett e anche Olaf Scholz di dialogare con Putin per indurlo a più miti consigli, Pechino − che come si ricorderà si è astenuta nel voto all’Assemblea generale dell’Onu di condanna dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, non votando contro – entra in campo perché, probabilmente, nelle sue riflessioni i responsabili della politica cinese hanno capito che la situazione economica mondiale potrebbe precipitare come nel 2008, mentre l’aumento dei prezzi delle materie prime, in particolare energetiche, danneggiano anche il mercato cinese. E, soprattutto, una crisi nei mercati internazionali porterebbe a una diminuzione delle esportazioni cinesi, quando sono proprio queste a tirare la crescita incessante dell’economia cinese.

Ora, sicuramente la Cina ha già lucrato non poco dal conflitto attuale, forse addirittura ne era al corrente da due o tre mesi, il che spiegherebbe certe manovre di accaparramento di derrate alimentari e di risorse energetiche che sono venute in luce in questi ultimi giorni, acquisti che hanno contribuito a far aumentare i prezzi nei mercati delle materie prime. Ma la Cina teme la guerra in Europa. Oltretutto, potrebbe ponendosi come negoziatore acquisire, in caso di successo della mediazione, un’aura di pacificatrice che attualmente non ha, demonizzata com’è dal suo concorrente statunitense. Per i rapporti con Putin di antica data, per il fatto che la Russia per qualche decennio avrà bisogno dell’appoggio cinese dopo aver praticamente buttato per aria i naturali rapporti commerciali e politici con l’Unione europea e l’Occidente in genere, la mediazione cinese potrebbe essere molto più convincente di quelle finora messe in atto.

Certamente la Cina non scenderà in campo – da notare anche la tempistica, più di dieci giorni dopo l’inizio delle ostilità, quando si è capito che la guerra non può più conoscere una vittoria lampo dei russi – se non con interessi precisi, sia politici che economici. In fondo la questione territoriale per Pechino non avrà grande importanza − cioè se Donbass e chissà quale altra parte del territorio ucraino dovrà diventare russo −, mentre sarà fondamentale capire quali saranno i futuri assetti del potere in Ucraina, cioè chi diventerà presidente e chi gestirà il Paese, quali saranno i rapporti con la Nato e con l’Unione europea. E qui la strada è estremamente angusta, e piena di trabocchetti. Anche per Pechino non sarà una passeggiata arrivare a una qualche forma di trattato di non belligeranza, se non di pace.

Nel frattempo si continua ad assistere alla tragedia della popolazione, documentata come in nessun’altra guerra in precedenza, con fior fiore di operatori e fotografi che filmano tutto, spesso a rischio della propria vita (anche il papa li ha ricordati e ringraziati), col balletto delle notizie sui corridoi umanitari, sui pericoli legati alle centrali nucleari, sugli attacchi hacker contro le televisioni russe, sulle armi che arriverebbero a Kiev – 17 mila razzi anticarro, si dice tra l’altro −, sulla macchina della solidarietà che si è messa in moto in Europa, in particolare nei Paesi confinanti con l’Ucraina in particolare. La fantasia della solidarietà commuove: la guerra suscita i sentimenti peggiori, ma risveglia anche il bene nascosto.

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