Elezioni. Che sia davvero una legge condivisa
Il tempo si fa breve. La nuova legge elettorale di stampo italo tedesco (frutto di un accordo di massima tra Pd, Fi e M5) arriverà in aula martedi 6 giugno e tutti sapremo i contorni della proposta blindata vista l’inedita alleanza che supera il patto, poi venuto meno in passato, tra Renzi e Berlusconi.
L’intenzione manifesta è quella di arrivare all’approvazione definitiva in Senato entro luglio così da poter anche indire le elezioni tra settembre e ottobre, prima cioè che si metta mano ad una manovra finanziaria che si preannuncia molto seria e tale che nessuno sembra volersi intestare prima di andare a chiedere il voto agli italiani.
I pentastellati, di solito allergici agli accordi, hanno giustificato la loro mossa come una scelta necessaria per non arrivare alle elezioni con una legge contraria alle indicazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato in parte il sistema dell’Italicum fortemente voluto dall’allora premier Matteo Renzi.
Quando il Movimento Politico per l’Unità ha proposto il 22 febbraio 2017 un laboratorio di ascolto e partecipazione tra le forze politiche e cittadini ha messo intorno al tavolo il professore Roberto D’Alimonte della Luiss di Confindustria, grande sostenitore dell’Italicum, e l’avvocato Pietro Adami, portavoce del Comitato per il No al referendum costituzionale del 4 dicembre.
Due posizioni molto distanti espresse davanti al quadro della battaglia navale di Lepanto che campeggia, chissà perché, nell’aula del gruppo Pd della Camera che ospitava il confronto aperto da una relazione di Iole Mucciconi. Dall’intervento dei parlamentari dei diversi partiti presenti all’incontro, emergeva una guerra di posizione, diversa dallo scontro aperto di Lepanto del 7 ottobre 1571, ma tale da non prevedere accordi tra le parti destinate, così a misurarsi con una legge per la Camera non omogenea a quella del Senato e riformata dalla Consulta in modo tale assegnare un premio di maggioranza al partito capace di raggiungere il 40% dei consensi. Quindi, verosimilmente nessuno.
Adesso che le acque si sono mosse e si va celermente verso una legge condivisa, bisogna prestare grande attenzione ai dettagli.
A febbraio era evidente il potere determinante che restava alle direzioni di partito con il sistema dei capilista bloccati e il timore di molti parlamentari ad esporsi per non perdere la ricandidatura. Dalla logica di funzionamento di una legge elettorale dipendono la formazione dei partiti. Quelli più piccoli si possono federare o vivere una vita sommersa fino a riemergere una volta eletti dentro raggruppamenti più grandi. Bisogna capire se si tratta di semplici aggregazioni di potere o di culture politiche che vanno rappresentate in un sistema democratico.
La questione della effettiva possibilità di governare una volta eletti senza tuttavia negare rappresentanza a tutti gli elettori resta aperta.
Il modello proposto dal patto tripartito non è quello tedesco originale.Per questo motivo dal 5 giugno sarà necessario un vero dibattito pubblico esigente e aperto. In tal senso l’appello lanciato a maggio 2017 dal Movimento politico per l’unità costituisce una bussola per cercare di andare alle radici di un disagio della democrazia italiana che vede il crescere dell’astensionismo e la scollatura tra partiti e cittadini.
Il documento, che afferma “non chiediamo la luna”, è tutto fuorché un generico incoraggiamento a trovare un punto di accordo. Il Mppu descrive, infatti, come “fallimentare” l’esperienza delle liste bloccate e invita pertanto ad evitare di «tornare a forme più o meno surrettizie di Camere nominate dai segretari di partito».
Per questo motivo invita a «perseguire decisamente la strada del collegio uninominale o la preferenza» arrivando tuttavia a precisare che è «meglio optare per la preferenza piuttosto che per le candidature bloccate perché la preferenza rende l’elettore corresponsabile nell’elezione dei singoli parlamentari: sia che la usi o no, sia che la si usi con libertà di opinione o per scelta clientelare».
È, invece, «compito di tutti, partiti in testa, classe politica, associazioni, docenti e cittadini attivi, lavorare per promuovere tra gli elettori la crescita della domanda di buona politica, minimizzando le cordate utilitaristico-clientelari che umiliano tanto i politici che le promuovono, che i partiti che le sfruttano, che i cittadini che vi si assoggettano (benché non di rado assoggettati in verità a bisogni), ma che umiliano da ultimo il sistema democratico».
Un dialogo quindi che invita ad entrare nel merito senza posizioni precostruite ma con la capacità di rendere ragione delle proprie scelte: «Chiediamo che siano abbandonate per sempre le tattiche strumentali votate a distruggere anziché a costruire».
Città Nuova cercherà di dare spazio a questo confronto pubblico fondamentale per la democrazia del Paese che non ha bisogno di soluzioni pasticciate e di inciuci o di leggi pensate per mettere in difficoltà la controparte.
Qui per leggere l’appello integrale del Mppu