Draghi, la Cina e la nuova fedeltà atlantica

Dal G7 al summit della Nato un nuovo ruolo per l’Italia. Con effetti immediati e di lungo termine sulle scelte strategiche del nostro Paese
Politica Mario Draghi e Jens Stoltenberg AP Photo/Francois Mori

Mario Draghi è stato un protagonista dell’incontro del G7 che si è tenuto sulle coste della Cornovaglia, in Gran Bretagna e del summit della Nato svoltosi a Bruxelles. Al presidente del consiglio italiano è stato chiesto di illustrare la situazione economica mondiale ai componenti del gruppo dei 7 Paesi più industrializzati. Un’analisi sostanzialmente positiva e in crescita dopo la fase più acuta della pandemia, anche se è emersa la nota fondamentale di quella che, ormai, è chiamata la nuova Guerra fredda che vede la contrapposizione tra i Paesi occidentali e sostanzialmente la Cina, definita “rivale sistemica”, oltre la Russia di Putin.

AP Photo/Patrick Semansky

Come ha precisato lo stesso Draghi nella conferenza stampa a chiusura del G7, «nessuno disputa il fatto che la Cina abbia diritto ad essere una grande economia come le altre. Quello che è stato messo in discussione sono i modi che utilizza. Quindi anche le detenzioni coercitive. In altre parole: è un’autocrazia che non aderisce alle regole multilaterali. Non condivide, e questa è stato un po’ l’argomento del G7 in quella sessione, la stessa visione del mondo che hanno le democrazie».

Lo scenario è quello noto ai politologi con il nome di “trappola di Tucidide” prendendo come esempio la competizione tra nazioni crescenti e calanti, Atene e Sparta, nell’antichità, destinata a sfociare, prima o poi, in una vera e propria guerra.

Significativamente prima ancora del G7, il presidente Usa Joe Biden e il premier britannico Boris Johnson hanno stipulato il 10 giugno una nuova Carta atlantica come quella siglata nel 1941 tra Roosevelt e Churchill davanti all’avanzare bellicoso della Germania nazista.

Nello stesso periodo la più grande portaerei del Regno unito nonchè dell’Europa, la Queen Elisabeth ha fatto sosta in Italia, nel porto siciliano di Augusta, prima di continuare il viaggio di missione nel Pacifico, mentre i caccia F35 statunitensi, israeliani, britannici e italiani sono impegnati nel nostro spazio aereo nella prima esercitazione diretta (Falcon Strike) dei velivoli di quinta generazione, invisibili ai radar e in grado di trasportare ordigni atomici.

Sulla portaerei britannica e su quella italiana (la Cavour) si sono incontrati i ministri della Difesa di Italia, Gran Bretagna e Turchia, per definire i dossier aperti sullo scenario mediterraneo. Ministri di tre Paesi importanti della Nato, alleanza militare che solo 2 anni addietro, in piena era Trump, il presidente francese Macron descriveva affetta da morte cerebrale e che, ora, invece, ha ricevuto parole di inusitato favore da parte del presidente del consiglio del nostro Paese che ha nominato la direttrice dell’Aspen Italia, Marta Dassù, tra gli esperti che hanno ridefinito il nuovo assetto strategico del prossimo decennio.

Come ha precisato Mario Draghi «la NATO è stata negli ultimi 72 anni la pietra angolare della nostra sicurezza e difesa comune» che è «un presupposto necessario per preservare e rafforzare le nostre democrazie e i nostri sistemi economici e sociali».

Ne discende che tra gli obiettivi principali della NATO si pone quello di «mantenere la nostra superiorità tecnologica collettiva ed essere pronti ad affrontare tutti coloro che non condividono i nostri stessi valori».

NATO (Kevin Lamarque/AP)

Riconoscendo la situazione geopolitica attuale denotata da una «vulnerabilità strutturale» , il presidente del consiglio italiano ha affermato che «la deterrenza e la posizione di difesa della NATO devono essere attuate attraverso un approccio di ampio spettro. Dovremmo guardare a tutte le direzioni strategiche, dalla regione indo-pacifica a un focus costante sull’instabilità della regione mediterranea».

Ne consegue perciò che «l’Italia si impegna a contribuire ancora alla deterrenza e alla strategia di difesa dell’Alleanza nonché alle operazioni e missioni della NATO; e a contribuire alle nostre spese per la difesa nazionale, come ha sempre fatto».

Una tale consonanza con la linea della nazione guida dell’Alleanza, gli Stati Uniti con a capo Biden, sembra prefigurare una successione italiana (Renzi, Letta o Mogherini) all’attuale segretario generale della Nato,  il laburista norvegese Jens Stoltenberg, anche se sembra avere maggiori consensi l’ex premier londinese Theresa May.

Con questi interventi il governo Draghi segna un netto distacco dagli esecutivi presieduti da Giuseppe Conte che ad esempio nel discorso alla Camere del gennaio 2021 affermava la possibilità per l’Italia di «offrire anche un importante contributo a un’utile azione di raccordo fra i principali attori internazionali, a partire naturalmente dagli Stati Uniti, che sono il nostro principale alleato, il nostro fondamentale partner strategico, ma anche dalla Cina, il cui innegabile rilievo sul piano globale ed economico va associato a rapporti coerenti, con un chiaro ancoraggio al nostro sistema di valori e di principi». Linea duramente contestata dal centrodestra ora entrato in parte nel governo di unità nazionale.

Certo anche Draghi afferma che, nei confronti della Cina, «bisogna cooperare (ad esempio nel campo climatico,ndr) ma essere franchi sulle cose che non condividiamo e non accettiamo. Il presidente americano ha detto a un certo punto che “il silenzio è complicità”». Si è riservato di non rispondere,inoltre, sulla prosecuzione o meno di quanto  previsto nel Memorandum sulla Via della Seta sottoscritto dall’Italia con la Cina.

Erdogan e Stoltenberg )

Questa intransigenza nei confronti delle autocrazie è, invece, alquanto attenuata nei confronti della Turchia che, come ha precisato Draghi in conferenza stampa, è un Paese che «ha un ruolo importantissimo e deve rimanere e vuole rimanere un partner affidabile nella Nato».

Sono affermazioni importanti e decisive destinate ad incidere sulle scelte strategiche del nostro Paese. Ad esempio Draghi ha affermato la necessità di «preservare la stabilità strategica e rinnovare anche i nostri sforzi per rafforzare il controllo degli armamenti, il disarmo e l’architettura internazionale della non proliferazione». Ma sarà decisivo capire la posizione del suo governo nei confronti, ad esempio, della permanenza e dei piani di ammodernamento degli ordigni atomici statunitensi presenti nel nostro Paese nelle basi militari di Aviano e Ghedi.

Un caso, tra gli altri, che meriterebbe un confronto parlamentare così come dovrebbe essere interesse dei deputati e senatori discutere delle notizie riportate dalla stampa specializzata sulla missione dei caccia bombardieri F35 italiani impegnati sui cieli baltici a ridosso della Russia. Argomento che sarà oggetto in generale dell’incontro diretto del 16 giugno tra Biden e Putin.

Come afferma il direttore di Limes Lucio Caracciolo, la Nato è formalmente un’alleanza paritetica ma di fatto basata sulla gerarchia che esiste, in una bicicletta, tra il perno e i raggi della ruota.

 

 

 

 

 

 

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