Diwali, la “Festa della luce”
Il 27 ottobre si celebra il Dipawali o Diwali, la festa della luce, che si svolge nel corso di vari giorni con significati precisi. Solo qualche decennio fa la parola Diwali era pressoché sconosciuta in Europa. Ormai, anche in Italia si celebra questa festa soprattutto da parte delle molte comunità provenienti dall’India sparse sul nostro territorio. A Torino, per esempio, si è già celebrata, domenica scorsa, presso il Borgo Medievale, un ambito tutt’altro che consono a una tradizione del subcontinente. A Roma le festività avranno luogo il 3 novembre al Parco della Musica. Ma gli eventi sono molti e, oltre al tradizionale cibo indiano, si offrono spettacoli dei vari tipi di danza indiana (katak, katakali, odissi e persino bollywood). Il processo dell’inserimento di culture “altre” è ormai avviato anche nella penisola italica, con aspetti sempre più interessanti e coinvolgenti anche per quelli di noi che sono nati nel nostro Paese e sono figli della tradizionale cultura che lo caratterizza da secoli. Altre parti del mondo, in particolare Inghilterra, Australia e Stati Uniti, sono senza dubbio più abituati a queste manifestazioni di numerose comunità di altre culture e religioni che celebrano le rispettive festività in ambiti culturalmente molto diversi. Questi “patrimoni dell’umanità” sono ormai oggetto di conoscenza reciproca e di incontri importanti per il futuro di una vera integrazione nello spirito del pluralismo e multiculturalismo.
Non si deve, poi, dimenticare che il Diwali è in assoluto una delle feste maggiormente festeggiate nel mondo. Non solo perché l’induismo è la terza religione del pianeta in quanto a numero seguaci (circa un miliardo), ma anche perché in essa si riconoscono un po’ tutte le religioni presenti nel bacino del sanatana dharma (gianismo, sikhismo e anche buddhismo sono le tradizioni nate in India che si definiscono “dell’ordine universale”). Ricordo una toccante cerimonia per il Diwali, tenutasi all’interno del Tempio d’Oro dei sikh ad Amritsar nel Nord India, nel cuore dello stato del Punjab. Decine di migliaia di persone di ogni religione, soprattutto sikh, seduti attorno alla piscina al cui centro sorge in tempio. Ciascuno fra le mani teneva una lampada accesa. Il silenzio profondo era rotto solo da una tipica musica sacra indiana che invitava alla meditazione e faceva quasi toccare con mano la presenza di Dio. Un ricordo difficile da cancellare dalla memoria per l’intensità religiosa e spirituale sperimentata.
Il senso di questa festività è spiegato molto chiaramente nel sito dell’Unione induista italiana (Sanathana Dharma Samgha). È una ricorrenza che coinvolge profondamente la comunità induista in tutto il mondo. Il suo nome, che significa “fila di lucerne”, allude alla luce come simbolo del bene e della sua vittoria sulle forze del male simboleggiate dalle tenebre. In un Paese multireligioso e multietnico come l’India, è una tra le molte festività e ha il potere di avvicinare e unire milioni di persone appartenenti a tradizioni religiose differenti, tra queste quella induista, sikh e jainista. Ci si scambiano regali, si avviano nuove attività commerciali, si festeggia l’amicizia, l’amore fraterno, la luce dissipatrice dell’ignoranza. Per celebrare il Dipavali, tradizionalmente si compongono delle decorazioni a terra, chiamate kolam o rangoli, attorno alle quali si pongono delle piccole lucerne (dipam) o dei lumini. Si preparano inoltre dolcetti tipici da condividere in uno spirito di festa che coinvolge tutta la comunità. Le strade si riempiono di luci e colori, e il cielo è inondato di fuochi d’artificio. Si onora il divino nella forma della madre divina Lakshmi, espressione della luce, della generosità e della prosperità. (https://www.dipavali.it/)
Anche quest’anno, come da decenni ormai, il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso ha voluto raggiungere i seguaci di questa religione in ogni parte del mondo con un messaggio augurale, che, nel contesto della complessa e caotica situazione mondiale attuale, si richiama alla Dichiarazione sulla fratellanza universale, firmata congiuntamente da papa Francesco e dall’imam al-Tayyeb ad Abu Dhabi nello scorso febbraio. Il messaggio, infatti, sottolinea la «necessità per ogni persona, in particolare cristiani e induisti, di essere costruttori di fraternità e coesistenza pacifica ovunque si trovino». Alla base di questo deve esserci un concetto di religione capace di ispirare a «vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare». Infatti, afferma il messaggio, i vari credo insegnano tutti, sia pure spesso anche in modo diverso, «a rispettare la dignità inviolabile e i diritti inalienabili degli altri senza alcun pregiudizio ingiustificato nei confronti del loro credo o cultura».
In particolare ci si augura che cristiani ed induisti possano «vivere in uno spirito di fratellanza e di amicizia attraverso un dialogo costante» come corollario delle loro rispettive tradizioni. A fronte, delle valanghe di notizie che sembrerebbero smentire tale impegno, i credenti sono chiamati a una convinta «determinazione a spargere semi di fraternità, poiché vi è un mare nascosto di bene che sta crescendo e ci porta a sperare nella possibilità di costruire, insieme ai seguaci di altre religioni, e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, un mondo di solidarietà e di pace».
Il card. Miguel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso ed autore del messaggio augurale, conclude notando la «felice coincidenza che l’inizio di questo mese sia stato segnato dal 150° anniversario della nascita del Mahatma Gandhi, «uno straordinario e coraggioso testimone di verità, amore e non violenza». Gandhi offre, sia a cristiani che a indù, una preziosa fonte di ispirazione nel vivere una convivenza pacifica e nell’impegno condiviso per il benessere della famiglia umana per costruire una società più fraterna e pacifica. È quello che si augura un miliardo di fedeli che punteggiano l’India e il mondo con le piccole lampade tipiche del Diwali, la dia.