Discepoli missionari, in comunione
GEN’S: Nella nuova Ratio fundamentalis per la formazione sacerdotale si sottolinea tanto la dimensione del discepolato. Perché? Quali le conseguenze di questo profilo dei presbiteri come “discepoli missionari”?
Questa visione di fondo, particolarmente cara a Papa Francesco, situa la figura del presbitero in una posizione evangelica, liberandolo dalla tentazione di essere o diventare un funzionario, un burocrate o un semplice leader a immagine dei capi di questo mondo. Al contrario, il sacerdote è lui per primo un discepolo che cammina sulle orme del Maestro, che si mette in ascolto della Parola del Signore per poi comunicarla ai fratelli, che vive il ministero in relazione all’incontro personale con Cristo e, solo così, può anche essere pastore del popolo di Dio. Ne consegue una figura di prete “mai arrivata” e “mai compiuta”, che – come ha ricordato di recente il Santo Padre – si lascia lui per primo forgiare dal vasaio divino e vive poi “in uscita” verso il mondo, evangelizzando, accompagnando e guidando il popolo di Dio.
GEN’S: Altra dimensione messa in primo piano dalla Ratio è la comunione. Quale il significato di questo accento sulla fraternità sacerdotale?
Questo aspetto è di vitale importanza e, soprattutto oggi, va riscoperto con grande attenzione e va perseguito con una certa creatività. La Ratio, cogliendo la natura e l’essenza teologica, spirituale e pastorale del sacramento dell’Ordine, sottolinea che la fraternità sacerdotale non è qualcosa di aggiuntivo, una semplice modalità esterna o una specie di cortesia formale. Al contrario, appartiene alla natura stessa dell’essere preti ed è una inevitabile chiamata che scaturisce dal sacramento stesso. Siamo parte di un popolo, che è quello dei battezzati e, chiamati alla vita presbiterale, siamo ordinati da un vescovo per entrare nella grande famiglia del presbiterio a servizio della vita diocesana. Non può esistere nessun tipo di autoreferenzialità e nessun modo di interpretare “a modo mio” il ministero sacerdotale: esso è parte di un grande mosaico nel quale, attraverso la comunione, il dialogo e la collaborazione, devo integrarmi con la vita e il ministero pastorale dei confratelli.
GEN’S: Lei da giovane sacerdote è stato chiamato a lavorare in seminario. Mentre ad altri presbiteri rincresce dover lasciare il ministero parrocchiale, lei ha sentito questa chiamata come una grazia e come un’occasione per scoprire le ricchezze dell’Esortazione postsinodale Pastores dabo vobis sulla formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali (25 marzo 1992), che era uscita da poco. Quali le sue scoperte come giovane formatore?
Fa parte di una formazione integrale e autentica, vissuta al servizio della Chiesa, anche imparare a leggere dentro gli eventi della propria storia e nelle chiamate del proprio ministero, una missione speciale a cui il Signore ci chiama. Personalmente, ho avuto l’occasione di accogliere e integrare nella mia vita la Pastores dabo vobis, quando ero già prete e mi trovavo a lavorare in seminario come formatore. Allo stesso modo, i sacerdoti di oggi e in special modo i formatori attuali sono chiamati ad accogliere lo spirito della nuova Ratio fundamentalis. Il ministero che svolgono è una chiave d’accesso preziosa per la comprensione di questo importante documento sulla formazione dei preti.
GEN’S: In varie occasioni, lei ha affermato che il periodo in seminario è la tappa più breve di tutta la formazione sacerdotale. In che senso?
Nella Ratio abbiamo affermato con chiarezza – e cerchiamo di ribadirlo sempre ai vescovi e ai formatori – che la formazione sacerdotale ha tra le sue note caratteristiche non solo quella di essere integrale, cioè di comprendere le diverse dimensioni già enumerate da Pastores dabo vobis, ma anche quella di essere “unica”. Si tratta, cioè, di un unico cammino discepolare che dura per tutta la vita. Se per comodità pedagogica e per rendere ragione delle diverse stagioni della vita, essa può essere distinta in tappe e comunemente parliamo di formazione iniziale e formazione permanente, è altrettanto vero che si tratta di una realtà totalizzante e onnicomprensiva, che abbraccia l’intera esistenza. Come dire, il destinatario della formazione sacerdotale è il seminarista di oggi che sarà anche il prete di domani. Perciò, considerando che quella del seminario comprende pochi anni rispetto al resto della vita sacerdotale, si tratta della tappa più breve. Ciò, ovviamente, implica una maggiore presa di consapevolezza, da parte dei vescovi, dei formatori e della Chiesa intera, di quanto sia importante, urgente e fondamentale che, una volta usciti dal seminario, non si ritenga conclusa la formazione, ma, al contrario, ci si impegni con tutte le energie necessarie nel campo dell’accompagnamento dei sacerdoti.
GEN’S: Una domanda a sfondo più personale: che cosa significa per lei vivere da discepolo missionario?
Per me significa avere costantemente la certezza interiore di essere semplicemente un “chiamato”. I tempi, le modalità, le forme del mio ministero, prima sacerdotale e poi episcopale, sono cambiate e cambieranno ancora nel tempo, ma ciò che conta per me è accoglierle come una chiamata che il Signore mi rivolge per sua grazia e per la quale, incamminandomi fiducioso sulla sua Parola, mi impegno a dedicare le mie energie e offrire la mia vita. Ci sono poi due verbi che, come sintesi, potrei citare per dire cosa significa per me essere un discepolo missionario: imparare e condividere. Imparare ogni giorno, nei luoghi e nelle situazioni in cui il Signore mi pone, dalle persone che incontro, dalla realtà, dalle cose della vita, dagli impulsi con cui lo Spirito Santo non manca di assisterci; e poi condividere, nella missione apostolica, il messaggio del Vangelo con coloro che incontro e, in special modo, con i seminaristi, i sacerdoti e i formatori dei seminari. Da una parte imparo restando discepolo e dall’altra cerco di offrire nella condivisione una buona testimonianza. Così, quando la sera mi fermo per guardare me stesso e ringraziare il Signore per la giornata trascorsa, elevo sempre a lui la preghiera perché gli incontri, i dialoghi, le situazioni vissute durante il giorno possano davvero portare frutto ed essere un piccolo seme del regno di Dio.
a cura della redazione