Discepoli missionari in comunione

Il presente contributo si concentra in particolare sulle prospettive della missione emergenti nell’America Latina e nei Caraibi, con ricadute interessanti anche per altre aree geografiche e culturali. Esperta in scienze della comunicazione, l’autrice ha lavorato dal 2011 al 2017 alla sede del Consiglio Episcopale Latino Americano (CELAM), dapprima come direttrice dell’Ufficio Comunicazione e poi come fondatrice e direttrice della Scuola Sociale. Uruguaiana di nazionalità e consultrice alla V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano nel 2007 ad Aparecida, ha avuto modo di conoscere da vicino il pensiero e l’azione dell’allora card. Jorge Mario Bergoglio. È a partire da quest’esperienza che l’articolo evidenzia nella seconda parte chiavi di lettura e linee d’azione che ritroviamo ora nel magistero e nella prassi di Papa Francesco.  
La croce della gmg arriva in Brasile a Rio de Janeiro

Nuova concezione del termine
e della realtà della missione
nella Conferenza di Aparecida

Sono convinta che nella V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano in Aparecida (Brasile) sia avvenuto un vero e proprio salto di qualità nel modo di concepire il termine “missione”, il quale ha avuto poi ripercussioni a livello della Chiesa universale, in particolare attraverso l’Evangelii gaudium di Papa Francesco.

Ho maturato questa convinzione in base al testo del documento conclusivo ma specialmente anche per l’esperienza fatta come consultrice alla Conferenza di Aparecida. In quell’occasione si è vissuta, infatti, un’esperienza di comunione nella diversità e il testo porta l’impronta di questa esperienza, tanto che molti l’hanno chiamato “un testo in contesto”. È importante sottolineare il ruolo fondamentale del card. Bergoglio nella redazione di questo documento, quale leader in seno a un gruppo di vescovi rinomati. È stata un’esperienza di profondo impegno nella costruzione ecclesiale.

Ma in che senso è avvenuto un salto nel modo di concepire la missione? Senza la pretesa di essere esauriente, vorrei segnalare quattro aspetti.

1) La dimensione dell’incontro con Dio, in Gesù vivo. Dando a questa presenza il posto centrale nella vita di ogni persona, tutto il resto viene di conseguenza: lo si riconosce nel prossimo, si colgono i segni della sua presenza tra le persone, lo si vede all’opera anche nella storia dei popoli.

2) La reciprocità inscindibile dei due termini “discepoli missionari”, accostati l’uno all’altro senza la congiunzione “e”, a sottolineare che non c’è l’uno senza l’altro; un discepolo è naturalmente missionario colla sua vita e un missionario non può essere tale se non è discepolo. Si tratta di essere seguaci di Gesù, innamorati di Dio. L’azione missionaria deriva come logica conseguenza da questa scelta.

3) La comunità dei discepoli come fonte di vita ed espressione di vita trinitaria. È significativo che proprio al centro del documento, come quinto di dieci capitoli, si trovi il capitolo: La comunione dei discepoli missionari nella Chiesa. Il sesto capitolo comincia poi parlando della necessità di “una spiritualità trinitaria”, e la prima frase dice: «Un’autentica proposta d’incontro con Gesù Cristo deve fondarsi sul solido fondamento della Trinità-Amore» (n. 240). Pochi numeri più avanti, il testo dedicato alle parrocchie esordisce con queste parole: «La dimensione comunitaria è intrinseca al mistero e alla realtà della Chiesa, che deve rispecchiare la Santissima Trinità. […] La Chiesa è comunione» (n. 304). Non è da dimenticare, in questo contesto, la scelta preferenziale dei poveri e degli esclusi ribadita già in precedenti Conferenze generali dell’episcopato latinoamericano: «Il fatto che il Continente che ha il maggior numero di cattolici sia anche quello che sperimenta la maggiore iniquità sociale, costituisce una contradizione dolorosa» (n. 527).

4) La missione e le risorse della spiritualità popolare. La missione, così com’è stata esplicitata in Aparecida e come la troviamo nella Evangelii gaudium, ha una caratteristica di spiritualità popolare, una spiritualità per tutti; prospettiva che – come ha osservato Juan Carlos Scannone, gesuita e teologo di fiducia del Papa – si caratterizza quale «mistica popolare non come individui ma come comunità, pur essendo molto personale». Dove in un primo passo si spiega come dalla considerazione della religiosità, passando per la pietà popolare, si è arrivati a parlare di spiritualità e mistica popolari. E quindi si studia la concezione del soggetto comunitario, nella luce della teologia trinitaria.

In occasione del suo soggiorno a Rio de Janeiro per la GMG, Papa Francesco il 28 luglio 2013, parlando al Comitato di coordinamento del CELAM, ha indicato un ulteriore elemento utile per una nuova comprensione della missione: la distinzione fra dimensione programmatica e dimensione paradigmatica. La missione programmatica, come suggerisce il termine, è costituita da atti specifici di natura missionaria. La missione paradigmatica, invece, implica concepire in chiave missionaria l’attività consueta.

Elementi fondamentali
della missione
in America Latina
e secondo Papa Francesco

Dopo questo rapido sguardo agli elementi di speciale novità, vorrei ora mettere a fuoco una serie di realtà fondamentali che sorreggono la vita della Chiesa e il suo impegno missionario nel Continente.

1) La Chiesa in America Latina e nei Caraibi dà molta importanza alla centralità della Parola, sia nella vita dei vescovi, sia in quella delle comunità. Spinte in questo senso sono state senza dubbio il Concilio Vaticano II, la “Parola di vita” che viene proposta dai Focolari e ha attraversato molte soglie, le Comunità ecclesiali di base che centrano la loro quotidianità nella vita della Parola nonché le Scuole popolari della Bibbia diffuse in tutto il Continente. Lo stesso CELAM comincia i suoi incontri con i vescovi con la lectio divina e la comunione di esperienze sulla Parola. E ciò è considerato un elemento centrale nella programmazione. Fondamentale è avvicinarsi alla Sacra Scrittura non solo in maniera intellettuale, ma con  il cuore, in modo che il contatto con la Bibbia porti all’incontro con Gesù Maestro, alla comunione con lui, Figlio di Dio, e alla testimonianza di Gesù come Signore della Vita (cf. Documento di Aparecida n. 248), diventando via di crescita nel discepolato, nella comunione e nell’impegno in seno alla società (cf. n. 249).

2) È in atto una ricerca dei grandi testimoni della fede, sul tipo dei Padri della Chiesa, che, nei diversi momenti della storia dell’America Latina e dei Caraibi, hanno inaugurato vie per l’evangelizzazione, l’inculturazione e l’interculturalità, i cosiddetti “nuovi ispanici” come Bartolomé de las Casas, Vasco Quiroga, Montesinos…, ma anche vescovi e laici dei tempi più recenti, figure significative di un’evangelizzazione integrale avviate verso il riconoscimento della loro santità “incarnata”, come dom Helder Camera in Brasile, Leonidas Proaño in Ecuador, Samuel Ruiz in Messico, Dorothy Stang, religiosa americana naturalizzata in Brasile, Eduardo Pironio in Argentina, Arnulfo Romero in El Salvador, le religiose Alice Domon e Léonie Duquet, la laica Mónica Mignone e tanti altri.

3) Una caratteristica dell’America Latina è l’aver espresso un magistero che non fosse solo locale o soltanto universale, ma continentale. E questo in un dialogo costante e maturo col magistero universale, e soprattutto con il Concilio Vaticano II, specialmente attraverso le cinque Conferenze dell’episcopato latinoamericano a Rio de Janeiro, Medellín, Puebla, Santo Domingo e Aparecida.

4) Un ultimo elemento è il rilievo dato alla vita e il suo valore indiscusso, con l’accento posto sull’esperienza, le pratiche sociali, le testimonianze. Si tratta di una dimensione già presente nelle culture originarie, in sintonia anche con le scienze sociali odierne che sottolineano che il pensiero e la vita non possono essere guardati separatamente.

Alcune chiavi
della riforma missionaria
di Papa Francesco

In che modo tutto ciò incide su quanto ora propone Papa Francesco e come si concretizza ulteriormente nel suo magistero e nella sua azione? Parlando di riforma missionaria, si intravedono alcune chiavi che cambiano il “da dove” realizzare la missione, o meglio il “da dove” essere missione. Francesco, infatti, concepisce la riforma della Chiesa e della sua missione “dal di dentro” e non dalle strutture: la riforma nasce dalla vita, dall’essenza del mistero cristiano, le strutture sono una conseguenza. Posta questa base, non ha paura di rivisitare le strutture e di verificarne la validità o caducità.

Cerchiamo di evidenziare alcune caratteristiche linee d’azione.

1) Che cosa serve all’altro? 

Un punto focale della missione come la propone Francesco è il “servizio”. La presentazione del Vangelo parte dalla domanda: di che cosa ha bisogno l’altro, che cosa gli serve, cosa fa fiorire la sua dignità? E non soltanto quella dei poveri ma di tutti. Papa Francesco vive così nei rapporti, con i poveri, con i malati, e anche con i capi delle nazioni. Si chiede cioè: come posso servire questa persona, questo popolo, facendo sì che si sviluppi per il meglio? Questo orientamento al servizio, si indirizza, a seconda della realtà dell’interlocutore, alla persona, a un’istituzione o a una nazione, libera da ogni tentazione autoreferenziale. Occorre non limitare il nostro sguardo a noi stessi o alla nostra Chiesa, ma rivolgerlo verso il grido di dolore delle persone e dei popoli.

2) Non “per” gli altri ma “con” loro, in mezzo a loro 

Bergoglio propone una metodologia dell’incontro che parte dalla proposta di san Paolo di farsi “tutto a tutti”; metodologia che supera ogni proposta di lavoro per gli altri. Siamo di fronte a un importante passo in avanti nella comprensione dell’approccio cristiano: occorre “essere dove sono gli altri”, “essere con loro”. Si va pertanto oltre la concezione del lavoro come servizio per gli altri. Gli altri, come dice Aparecida, non sono destinatari, bensì interlocutori. Per cui, si opera con gli altri, nella dimensione del “tra”, “in mezzo” agli altri, generando così una realtà che supera le parti e fa emergere qualcosa di nuovo. C’è qui una dimensione profetica che si realizza quando ci mettiamo nell’atteggiamento di lasciare che emerga un terzo elemento – nel caso specifico del cristianesimo: Gesù che viene in mezzo a noi – che porta, appunto, una realtà che supera le parti. Questo processo di crescita nel modo di rapportarsi e anche nei metodi è confermato e sostenuto dalla riflessione accademica, che oggi orienta la sua ricerca in questa direzione.

3) Costante processo di discernimento

Per Bergoglio la missione è un processo di discernimento che avanza costantemente, un processo che si fa “dal di dentro”, captando di momento in momento lo sviluppo che avviene, e poi si può constatare che ciò che emerge è “l’imprevisto” che viene dall’esperienza del Risorto in mezzo alla comunità e dal suo Spirito.

4) Non scartare difficoltà e conflitti

Nel percorrere la via della missione si tratta di non scartare le difficoltà, le differenze, i tipici conflitti nel generare processi e l’incarnazione stessa: una strada dove i paradossi e le incertezze sono all’ordine del giorno. Oggi la fisica quantistica riconosce il valore dell’incertezza, come un momento di nuove possibilità.

Già nel 2013, all’Assemblea del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali dove ero presente, Papa Francesco diceva: «È necessario scendere anche nella notte più buia senza essere dominati dal buio e perdersi; è necessario ascoltare le speranze di molti, senza essere sedotti; è necessario accogliere le delusioni, senza cadere nell’amarezza; toccare con mano la disintegrazione altrui, senza essere disciolti o perdere la propria identità. Questa è la strada. Questa è la sfida». Conflitti e situazioni di dolore vanno quindi identificati e chiamati per nome, confidando nel fatto che il conflitto può offrire sempre nuove possibilità.

5) Associarsi con gli altri, anche se diversi

Bergoglio concepisce la missione con un metodo che punta sull’essere con gli altri, sull’andare avanti insieme, articolarsi, associarsi con gli altri, anche se diversi. Si tratta di mostrare che è possibile lavorare per il bene comune, di testimoniare che l’unità nella differenza lo rende possibile. Tutto questo anche in rapporto alle altre religioni.

6) Missione in chiave sistemica

La missione viene vista quindi in chiave sistemica, secondo la prospettiva che si trova in modo emblematico nella Laudato si’, dove tutto è in rapporto con tutto, dove tutto trova risposta se è in relazione con l’insieme. Perché è la relazione quella che unisce le realtà. Non a caso a questa prima enciclica della storia dedicata all’ecologia hanno lavorato col Papa più di 200 esperti e istituzioni, e così questo documento dischiude davanti a noi quel ventaglio ampio di realtà che va dall’economia, alla governance, all’ecologia e via discorrendo.

Viene da qui un forte richiamo a sviluppare il pensiero e la vita, senza mai isolare i diversi aspetti della realtà l’uno dall’altro. Essi vanno pensati perciò nella loro dimensione universale, religiosa, sociale e culturale, nella loro relazione e interazione, in una profonda e reciproca compenetrazione, tale da dischiudere quello scenario sistemico, organico, complessivo, cui accennavamo, e allo stesso tempo superiore alle teorie sistemiche come tali. Può essere di luce qui il modo in cui Chiara Lubich ha interpretato le varie dimensioni dell’esistenza e della convivenza umana come aspetti molteplici della carità che si dispiega come ad arcobaleno, quale prezioso scenario dove la vita tutta, dalla persona alle comunità sociali, si può organizzare, crescere ed essere in relazione.

7) La dimensione sociale: parte integrante dell’evangelizzazione

Con Francesco l’opzione preferenziale per i poveri non viene più posta in alternativa alle altre dimensioni e viene sintonizzata con la teologia del popolo. Si supera cioè la contrapposizione, ma non si abbandona la realtà alla quale mirava l’opzione per i poveri; non si tratta di andare contro i ricchi, bensì di operare a favore dei poveri e di tutti in una società giusta, solidale e fraterna.

Francesco rinnova la profonda convinzione missionaria che non c’è nessuna evangelizzazione che non includa la dimensione di una trasformazione sociale. Altrimenti si cade in un “intimismo comunitario” del quale molte volte si accusano i movimenti ecclesiali. Non si tratta di un’azione sociale o di mille né di un accompagnamento di opere sociali, bensì di concepire la dimensione sociale come parte integrante dell’evangelizzazione, intrinseca, essenziale per qualsiasi proposta evangelizzatrice che voglia dirsi autentica.

Proprio perché Dio si è incarnato, tutto ha a che fare con i processi d’incarnazione. Di conseguenza, Papa Francesco vive e propone la missione secondo cinque cerchi concentrici: dalla conversione personale, a quella di gruppo, comunitaria, sociale e strutturale. E ne è lui stesso un esempio: accoglie il bimbo che ha davanti, i gruppi che lo visitano, le comunità molteplici di ogni tipo, la società, e non si ferma finché non arriva alla politica e alla cultura.

8) Riconoscere il dono di Dio negli altri.

Una chiave della missione è essere capaci di riconoscere gli altri, secondo il dono che caratterizza ognuno, liberi da ogni atteggiamento competitivo. Vedere in ogni istituzione, aggregazione, carisma la vita di Dio e un modo con cui egli si manifesta, per potere unire al fiume che insieme va al mare. Riconoscere Dio che vive nella società, nei movimenti civili, nei movimenti sociali, nelle mille espressioni che genera oggi la società. Dio passa e continua a passare; che non ci trovi a guardarci fra noi o a guardare altrove, com’è successo ai contemporanei di Gesù in Palestina: lui passava per le strade, stava con loro, ma loro continuavano ad aspettarlo; pensavano che egli arrivasse in altro modo, da un’altra parte!

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