Dialogando con Tiziana Merletti
Perché si diventa suora oggi?
La vita religiosa è in crisi, eppure credo che l’idealità alta resti tipica dei giovani. Quando incontri una comunità dove si cerca di vivere il Vangelo, dove c’è un carisma al servizio degli altri, dove puoi spendere la vita lasciando un segno e coltivando il rapporto con Dio, allora trovi il coraggio di rompere con una vita banale e decidere di “sprecarla” per abbracciare un Amore più grande. Il carisma consegnato alla nostra fondatrice, la beata Francesca Schervier di Aachen (1819-1876), è quello di sanare le piaghe di Cristo crocifisso nell’umanità povera e sofferente. Un carisma di guarigione, di corpo e anima, attraverso una presenza di tenerezza e compassione accanto a chi soffre. Lavoriamo nel campo della salute, della formazione, delle marginalità con ragazze vittima di tratta, immigrati, senza fissa dimora, carcerati. Siamo oggi 114, presenti in Italia, Usa, Senegal, Brasile e Filippine. Una volta eravamo molte di più.
Siete di meno, ma non diminuisce la forza della vostra vocazione…
È una purificazione, che ci aiuta ad uscire da una certa autoreferenzialità per tornare all’essenziale. Una volta si puntava sui grandi numeri, sulla “forza” e l’incidenza delle congregazioni, oggi conta ciò che riusciamo a trasmettere, in una generatività che parla ai cuori. Possiamo vivere questa diminuzione lamentandoci, oppure seguire lo spirito francescano che ci ricorda che il nostro posto è tra i piccoli, gli umili, i senza voce. Sono grata della mia vocazione. Avevo altri progetti… un fidanzato, gli studi di giurisprudenza, l’impegno in parrocchia. Nel 1977 ho ascoltato Chiara Lubich a Pescara: un incontro decisivo per la mia vita, che mi ha spalancato un modo di vivere il cristianesimo nell’orizzonte dell’unità. Poi nel 1981 ho conosciuto le Francescane dei Poveri e il loro carisma di guarigione ha fatto ciak col mio desiderio di spendermi per l’unità.
Un ciack che si prolunga nel tempo con momenti importanti, giusto qualche giorno fa…
Sì, il 14 aprile 2021 abbiamo festeggiato i 50 anni della benedizione impartita da Papa Paolo VI alle consacrate aderenti al carisma dell’unità del Movimento dei Focolari. Una partecipazione che da allora si è fatta dono reciproco, impegno a rivivere i nostri Fondatori, contemplazione della bellezza della comunione dei carismi e dei frutti che porta nella Chiesa.
Parliamo del periodo come Superiora Generale a New York dal 2004 al 2013…
Esperienza profonda, intensa, che mi ha “costretta” a crescere. All’inizio mi tenevo stretta la mia identità, ma l’impatto con un altro mondo culturale mi ha mandata in crisi. Accogliere questa sofferenza mi ha regalato una nuova comprensione della vita religiosa, come essere Chiesa, come testimoniare il Vangelo nel mondo. Ho cercato di mettermi nella disposizione di imparare, senza giudicare, e piano piano ho ricostruito un mio nuovo modo di essere. È stata per me una grande sorpresa scoprire quanto sono apprezzate le suore in nord America: durante un periodo di confronto col Vaticano sul modo di essere consacrate oggi, la stampa laica ha testimoniato il ruolo di primo piano svolto dalle religiose nella società. In quel caso pensavo che le suore avrebbero reagito facendo sentire la loro voce, invece hanno voluto rimanere aperte al dialogo a partire da una attitudine contemplativa. Una grande lezione per me.
Lei è l’unica canonista italiana che è stata anche Superiora Generale di congregazione…
Gli studi di Diritto Canonico al Laterano sono stati una naturale conseguenza della mia laurea in giurisprudenza. Mi sono serviti molto nel mio servizio come Ministra congregazionale a New York. Poi, rientrata in Italia, nel 2015 l’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG) mi ha chiesto di far parte del Consiglio delle canoniste, a disposizione della vita religiosa femminile nel mondo. Un’esperienza ricca, internazionale, in cui ci occupiamo di tanti aspetti, tra cui la protezione di minori e persone in condizione di vulnerabilità. Dallo scorso anno, stiamo assistendo gli istituti nell’affrontare i risvolti canonici della pandemia. Tutti i Capitoli generali sono stati rinviati per più di una volta e ora ci troviamo nella necessità di studiare la possibilità di celebrarli in via telematica. La mia recente esperienza con la Commissione elettorale dell’Assemblea Generale (telematica) dei Focolari mi ha dimostrato che è possibile. Certo con l’aiuto di persone esperte e una buona preparazione previa.
Donne nella Chiesa. Qualcosa sta cambiando?
Il cambiamento comincia a vedersi. Papa Francesco muove passi concreti, con la spinta a dare più responsabilità e far sedere le donne ai tavoli decisionali. La strada è lunga ma la domanda che mi preme è: noi siamo pronte? Fino a pochi anni fa, le suore venivano impiegate soprattutto nelle istituzioni proprie delle congregazioni. Oggi ci viene chiesto di investire nella formazione ed assumere nuove responsabilità a servizio delle realtà ecclesiali. È un sacrificio notevole perché siamo poche, non tutti gli istituti se lo possono permettere. In più ricordiamo che per essere valorizzata, nella società e nella Chiesa, alla donna spesso è richiesta una preparazione doppia rispetto a quella di un uomo. È come se il contributo della donna valesse di meno, avesse meno incidenza.
Ma il posto della donna nella Chiesa è un problema di potere?
Se consideriamo il potere come la sana possibilità di agire, direi di sì. Noi donne desideriamo fare la nostra parte, esprimerci in maniera diversa, portare avanti i processi con la nostra sensibilità. Capisco che è faticoso farci spazio, perché vediamo le cose in un modo che rischia di far saltare schemi consolidati. Naturalmente non mi illudo: le degenerazioni del potere sono uguali per uomini e donne. Mi capita di costatare che l’abuso di autorità può essere legato non solo alla persona in autorità, ma alla comunità stessa, che si ammala perché animata da una cultura rimasta indietro, che non ascolta i segni nuovi dei tempi. Paura, silenzio, omertà, isolamento diventano meccanismi di difesa e persone autoritarie trovano terreno fertile per prendere il controllo. Ma la sensibilità è cambiata e l’invito a costruire comunità in stile sinodale impone un cambiamento concreto.
Lei insegna leadership…
Serve un nuovo modello di leadership: contemplativa, partecipativa e generativa, che coinvolga tutti senza imporre decisioni dall’alto. La leadership legata ad un ruolo di governo è una condizione che ti riguarda solo per alcuni anni e ti offre un’opportunità di crescita, prima di tutto a livello personale. Potresti trovarti a dirigere un’orchestra, in cui tutti gli strumenti sanno cosa devono fare e creano armonia, oppure trovarti davanti una jazz band, dove ognuno suona in maniera indipendente e creativa. Solo un profondo percorso personale ti salva dalla sensazione di correre il pericolo di rovinare il carisma, oppure di essere sotto attacco come persona, e ti rende libera di metterti a suonare il tuo pezzo, con la voglia di esprimerti, con fiducia e “leggerezza”.
Quanto è importante mettere le persone giuste al posto giusto?
Molto. In questo senso bisogna preparare bene, per esempio, i capitoli generali, avviando per tempo il discernimento, senza appellarsi all’intervento dello Spirito Santo, quasi che fosse un tocco di magia. Un’opzione è quella di coinvolgere la base per dare indicazione sui nomi, in modo che non sia solo il gruppo ristretto delle capitolari ad esprimersi. Bisogna anche dare il tempo alle donne nominate di riflettere, pregare e fare discernimento, prima di accettare di essere nella lista delle candidate. Poi certo la parola passa alle capitolari, chiamate ad eleggere chi ritengono più adatta a servire il bene comune dell’istituto. È un processo delicato, tanto che lo stesso canone 646 del Diritto Canonico ha stabilito il divieto di fare lobbying durante le elezioni. Un’altra esigenza sempre più forte è il concetto di come “comporre” il Consiglio Generale: bisogna che si “abitui” a lavorare insieme, avere il tempo di conoscersi, dedicare delle sessioni proprio con questo obiettivo. Prima bastava la guida della Superiora Generale. Ora non è più così. Di cammino ne abbiamo fatto tanto.
15 anni fa per la prima volta una suora abusata da un religioso ha trovato il coraggio di denunciare pubblicamente. Era della sua congregazione e lei, come Superiora Generale, l’ha accompagnata in tribunale.
È stata una vicenda molto dolorosa. Dopo 10 anni di processo, abbiamo perso in Cassazione, mandando in frantumi il nostro forse “ingenuo” credere che la giustizia avrebbe prevalso. Eppure ci siamo sentite confermate nel desiderio di prendere posizione, per amore di verità e solidarietà verso le suore che non si sentono di denunciare per paura di ritorsioni o perché non sono sostenute dalla propria comunità. La cosa più triste è sentirsi dire da tanti, dentro e fuori la Chiesa: «La suora avrebbe fatto meglio a stare zitta… ha rovinato un sacerdote», oppure: «Di sicuro se l’è cercata». Occorre andare avanti e ascoltare gli appelli di papa Francesco a non voltare la faccia dall’altra parte, mettendo al centro le vittime piuttosto che pensare a salvare le istituzioni. Che io sappia, non c’è ancora mai stata la condanna in un tribunale civile di un religioso per abuso di una religiosa.
La Chiesa non ha ancora preso una posizione netta come per i sacerdoti autori di abusi sessuali?
Il Codice di Diritto Canonico parla di “delitti gravi” contro il sesto comandamento commessi dai soli chierici. Per i religiosi laici, dunque anche le suore, invece, si parla solo di “condotta” contro il sesto comandamento. C’è un vuoto ancora da studiare, perché tutta la parte laicale non è disciplinata. La condanna del magistero comunque è chiara e comprende abusi sessuali, di potere e di coscienza. Di fronte a questi delitti non si può più voltare la faccia dall’altra parte ma agire per amore di trasparenza, verità e giustizia. Occorre adeguare la normativa interna agli istituti e operare un cambiamento culturale, mettendo al centro la persona vittima da ascoltare e accompagnare e non l’istituzione da difendere dallo scandalo. Bisognerà anche approfondire la situazione di vulnerabilità della suora in certi contesti e all’interno di certi rapporti con figure di autorità, dove più facilmente si consuma l’abuso di potere e di coscienza.
Da parte laica si critica la Chiesa perché continua a considerarli delitti contro la morale invece che contro la persona…
La fonte del Diritto canonico è il diritto divino e il suo fine è la salvezza delle anime, per cui ci muoviamo su un livello diverso rispetto a quello civile. Sicuramente con il Codice di Diritto canonico del 1983 c’è stato un importante riconoscimento dei “diritti della persona”, e quindi un avvicinamento al concetto laico. D’altra parte, però, bisogna anche tenere presente che parlare di morale in ambito canonico non significa banalizzare il reato, quanto piuttosto porlo in relazione al “foro interno” e quindi considerarlo di notevole gravità perché relativo alla salvezza delle anime.
Tante iniziative nascono in questo campo…
La UISG sta facendo un enorme lavoro di formazione delle suore. Dalle due Unioni, maschile e femminile, è stata creata una Commissione per la tutela, impegnata ad organizzare convegni e webinar per formare Superiori e Superiore generali, oltre ai delegati designati da ogni istituto ad occuparsi di questa materia. Li accompagniamo nella stesura di protocolli per prevenire e agire in situazioni di questo tipo. Nessun istituto può escludere la possibilità di essere coinvolto in casi di abuso ed è responsabilità dei governi generali stabilire le linee guida mentre non si è sotto la pressione di un caso ormai scoppiato.
Lei ha fatto l’esperienza personale del tumore…
Un “fulmine a ciel sereno”. Ero in piena attività, poi l’improvvisa brusca frenata. Devi mettere tutto da parte e rivedere le tue priorità. Inizia un percorso interiore che ti fa arrivare all’essenziale, cambia il tuo modo di pregare, di stare in solitudine, devi affrontare la paura della morte. Capisci meglio che non è il fare che conta, né il servizio, né quanto sei utile. Dopo il cancro la prospettiva è diversa: niente è più scontato e tutto appare solo puro dono di Dio. Un cancro segna anche una tappa importante nel rapporto col proprio corpo. Le cellule tumorali sono quelle che rifiutano di morire, pur “sapendo” di non essere più in grado di funzionare come previsto. Si è come intavolato un dialogo con loro, è difficile da spiegare ma è stato importante per me affrontare “il nemico dentro” non in maniera violenta. Ho cercato di creare “collaborazione” tra la medicina della chemioterapia e le cellule malate che dovevano decidere di mollare la presa. Infine, la malattia fa verità nei rapporti con le persone intorno a te: chi fa di tutto per raggiungerti, chi a sorpresa si interessa di te, chi non ce la fa a farsi avanti, chi ti delude. E poi scopri il mondo dell’ospedale, dove non ti senti diversa e anche quelle due chiacchiere col malato accanto o con il personale fanno la differenza nella tua giornata. Ora sto bene ma non dimentico.
Con il Covid com’è la situazione?
Un disastro. Intere comunità di suore anziane positive. Tante sono morte. I capitoli generali sono stati rimandati. Questo provoca destabilizzazione per i necessari cambiamenti che non possono essere attuati… un prezzo alto, una sofferenza silenziosa. Al momento non è possibile ricorrere alla modalità telematica per celebrare i nostri Capitoli, che conoscono centinaia di anni di ritualità e processi consolidati. Tuttavia, la situazione è insostenibile e abbiamo bisogno di capire come andare avanti. Contemporaneamente, si è messa in moto la creatività su come incontrare le persone in modi alternativi, con l’uso dei media. È commovente vedere suore della terza età che accettano di mettersi in gioco con strumenti sconosciuti… e li apprezzano!
È ottimista per il futuro?
Sì, di natura. Vedo possibilità enormi di maggiore maturità e profondità nei rapporti, nel modo di raggiungere i fratelli e le sorelle che sono al cuore del Vangelo, come pure nel prendersi cura della Casa comune. Le occasioni ci sono, gli strumenti pure. La sinodalità è la chiave di volta, oggi non ci si concepisce più come istituzioni isolate. Il gusto di camminare insieme ci regalerà nuovo entusiasmo per continuare l’eredità lasciata dai nostri Fondatori.