Crisi da Covid-19, Draghi e la trattativa con l’Ue
Il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, si è presentato nell’aula del Senato alle 10 di stamattina, poche ore prima dell’appuntamento, in video conferenza, delle 16, con i capi di Stato e di governo dell’Unione europea che dovrebbero adottare una linea di risposta comune alla pandemia da coronavirus.
Occorrono immediatamente soldi da immettere in circolo per affrontare l’emergenza in campo sanitario ed economico. La discussione in Senato è stata segnata, nei vari interventi, dalle immagini dei camion militari usati per trasportare verso la cremazione fuori dalla Lombardia un gran numero di bare provenienti dalla bergamasca.
Altro perno del confronto parlamentare il testo dell’intervento di Mario Draghi sulle colonne del Financial Times. Il ricorso all’autorevolezza del ragionamento dell’ex presidente della Banca centrale europea sembra l’ultima carta rimasta per trovare una soluzione condivisa all’interno dell’Unione europea.
Draghi ha messo in chiaro che «di fronte a circostanze impreviste è necessario un cambiamento di mentalità come lo sarebbe in tempo di guerra». La recessione è profonda e inevitabile. Occorre perciò «un sostegno immediato di liquidità» per «proteggere l’occupazione e la capacità produttiva in un momento di drammatica perdita di reddito».
Non sono ammessi tentennamenti in questa fase estrema: «la risposta deve comportare un significativo aumento del debito pubblico. La perdita di reddito subita dal settore privato – e l’eventuale debito contratto per colmare il divario – deve essere infine assorbita, in tutto o in parte, dai bilanci pubblici». Draghi evoca il concetto di colpa che una cultura prevalente ha finora associato al debito precisando che «la perdita di reddito non è colpa di nessuno di coloro che ne soffrono. Il costo dell’esitazione può essere irreversibile. Il ricordo delle sofferenze degli europei negli anni Venti è un racconto ammonitore».
Dall’altra sponda dell’Atlantico, con una decisione bipartisan, gli Stati Uniti hanno varato un piano straordinario di 2 mila miliardi dollari (superiore, per avere un’idea, ai 1.800 miliardi di spese militari mondiali).
Come sottolinea, ad esempio, l’economista Riccardo Realfonzo, l’adozione di misure del genere comporta che la Bce deve funzionare come una vera e propria banca centrale «finanziando direttamente il piano anti-virus europeo, senza che ciò determini alcuna crescita del debito dei Paesi dell’Unione».
Non è questa l’idea dei Paesi del Nord, a partire dalla Germania (nonostante il parere diverso del forte partito verde ecologista) e si pensa che solo la competenza di Draghi, invocato da alcuni come possibile presidente del consiglio di un governo di unità nazionale, potrebbe produrre una scossa necessaria a cambiare direzione.
Resta il fatto che l’Ue è divisa sulle cifre e gli strumenti da adottare. E allora al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, si sono rivolti formalmente, con una lettera molto esplicita, Conte e i suoi colleghi di Francia, Spagna, Belgio, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo e Slovenia. Il testo richiede principalmente l’emissione dei “coronabond” cioè una «uno strumento di debito comune emesso da una Istituzione dell’UE per raccogliere risorse sul mercato sulle stesse basi e a beneficio di tutti gli Stati Membri, garantendo in questo modo il finanziamento stabile e a lungo termine delle politiche utili a contrastare i danni causati da questa pandemia».
Nella lettera si chiede maggior coordinamento tra i Paesi per «garantire la produzione e la distribuzione di beni e servizi essenziali, e la libera circolazione di dispositivi medici vitali all’interno dell’UE». Viene così allo scoperto il problema della carenza e dell’accaparramento di dispositivi di sicurezza, come le mascherine, e la necessità che «nessuna produzione strategica sia preda di acquisizioni ostili in questa fase di difficoltà economica».
Proposte che, come prevedibile, non hanno trovato accoglienza nell’incontro pomeridiano. Ma Italia e Spagna non hanno accettato la bozza di documento proposta da Michel e hanno dato 10 giorni per trovare una soluzione equa. Una reazione dovuta dai due Paesi che stanno pagando, al momento, l’attacco più duro dalla pandemia. Una situazione di stallo, comunque, che non può durare troppo a lungo.
Nel discorso al Senato, il presidente del Consiglio ha riferito di questa trattativa estenuante in corso all’interno dell’Ue, oltre a ripercorrere l’itinerario seguito dal governo, con l’ausilio del comitato tecnico scientifico, nei vari provvedimenti adottati man mano che il contagio si è andato diffondendo oltre le cosiddette “zone rosse” in Lombardia e Veneto, precisando che la dichiarazione dello stato di emergenza fino al 31 luglio, scadenza che ha suscitato recenti allarmi, è stata promulgata fino dallo scorso 31 gennaio.
L’ultimo decreto legge firmato il 25 marzo, contenente tra l’altro maggiori sanzioni per chi aggira le misure di contrasto al Covid -19, dovrebbe passare l’esame delle camere entro il 4 aprile. Ma è già annunciato un nuovo decreto a metà dello stesso mese per integrare e ampliare le misure di intervento per rispondere alla gravissima crisi sanitaria ed economica che vive il Paese.
Le opposizioni di centrodestra hanno lamentato la mancanza di dialogo e interlocuzione con il governo. Dall’intervento di Isabella Rauti , per Fratelli d’Italia, e di Matteo Salvini, per la Lega, sono arrivate le critiche più dure ( “i parametri di Bruxelles sono criminali”) verso le istituzioni europee in questo momento di fragilità dell’Italia, mettendo in guardia di non cadere nella trappola del Mes, il meccanismo europeo di stabilità, anche nelle sue forme più rinnovate, perché si tratta di uno strumento con fondi limitati e tali da imporre condizioni penalizzanti al nostro stato sociale che adesso tutti riconoscono aggredito da inaccettabili tagli alla sanità.
Salvini ha invitato ad adottare modalità dirette di erogazione dei sussidi, con premi cospicui per il personale sanitario, in tempi di crisi, perché le scadenze immediate sono quelle della spesa giornaliera e ha sottolineato la necessità di approfondire la responsabilità della Cina per la diffusione incontrollata del virus, senza cedere alla retorica degli aiuti umanitari, comunque benvenuti.
Matteo Renzi per il suo partito Italia Viva, componente più critica interna alla maggioranza, ha sottolineato la esigenza, appena possibile, di promuovere una commissione di inchiesta sulla pandemia e di attrezzarsi a convivere con il coronavirus, dato che dovremmo farne i conti per almeno 2 anni, anche in caso di scoperta e sperimentazione del vaccino, con la sua presenza in un tessuto sociale che non può stare fermo per un periodo così lungo.
Gianluca Perini, per i 5 stelle, ha difeso l’operato del governo, denunciando l’incoerenza della destra, ricordando le gravi accuse della Meloni (Fdi) a Conte, per un atteggiamento ondivago tra richieste contraddittorie di chiusura e apertura delle attività produttive. L’aula ha vissuto momenti di forte tensione con l’invito della presidente del Senato a non urlare e indossare le mascherine. Ma l’accusa più significativa del senatore pentastellato è stata quella rivolta al centrodestra e implicitamente al centrosinistra di aver approvato, nel 2012, l’inserimento del pareggio di bilancio nell’articolo 81 della Costituzione, con ben 4 votazioni quasi unanimi. Una scelta, definita a suo tempo come l’abolizione di ogni politica keynesiana di intervento statale in economia, che ora costituisce una camicia di forza per un Paese che come gli altri è costretto a indebitarsi per non implodere.
Andrea Marcucci del Pd ha invitato ognuno a riconoscere che nessuno può dire di essere adeguato davanti ad uno scenario che, comunque se ne parli, viene paragonato, come fa Draghi, ad una condizione di guerra. «La questione chiave non è se, ma come lo Stato debba fare buon uso del suo bilancio» ha precisato l’ex presidente della Bce.
Per approfondire il dibattito urgente sul rapporto con la Ue nel pieno della crisi da coronavirus, si veda l’intervista all’economista Massimo D’Antoni