Costa Concordia, i ricordi di una sopravvissuta

Riproproniamo ai nostri lettori il ricordo di una testimone del naufragio della Costa Concordia, che ci racconta quei momenti che hanno stravolto e modificato la sua vita per sempre
La nave Costa Concordia dopo l'arrivo al porto di Genova per le operazioni di smaltimento.

«Eppure, forse, nulla accade per caso, ma per capire l’importanza di questa vita», ci dice Antonella di Palermo, ritornando con la mente al 13 gennaio del 2012, quando la nave da crociera Costa Concordia, su cui lei viaggiava col marito Sergio Leonardi e i loro piccoli gemelli, salpata dal porto di Civitavecchia per l’ultima tappa, alle ore 21.45, ha subito un gravissimo incidente.

Come fosse una barchetta, la Costa Concordia – una delle più grandi imbarcazioni da crociera presenti sui mari – si è infatti così avvicinata alla costa per l’assurda manovra dell’inchino, da lanciarsi contro uno scoglio dell’isola del Giglio che stava lì da millenni eppure ha clamorosamente sorpreso il comandante della nave, Francesco Schettino, che ha commentato: «Sulle carte nautiche non era indicato!».  A seguire, come ricordiamo bene dai tg, fu il caos totale, fra errori madornali. Perché la nave non solo subì una brusca interruzione della navigazione, ma finì, con l’apertura di una falla lunga circa 70 metri sul lato sinistro della carena, per inclinarsi così tanto da andare a fondo.

L’ordine di lasciare la nave fu dato però in ritardo e fra cabine senza luce e porte bloccate per problemi elettrici, a perdere la vita – anche per la dipartita veloce di chi avrebbe dovuto coordinare le operazioni di salvataggio, ossia lo stesso Schettino che è stato poi processato – sono state 32 persone, senza contare il disastro ecologico. La signora Leonardi ci ha ricordato tutto col magone, a più puntate. Sentiva forte però il bisogno di rielaborare un dramma che portava dentro come un rospo per trarne luce.

«Ringrazio Dio – ci dice subito la donna – se ci ha concesso di salvarci». Le chiediamo di spiegarci. E d’ora in avanti, il racconto sarà tutto suo: «Stavamo entrando in cabina quel 13 gennaio, quando il nostro piccolo Emanuele si mise a piangere. Decidemmo allora di farci un giro, per farlo tranquillizzare. Fu, allora, che sentimmo un boato. Ma grazie ad Emanuele, in quel momento ci trovavamo in corridoio. Compresi subito che la nave aveva preso uno scoglio, che qualcosa di duro la stava tranciando. Rientrammo, poco dopo, in cabina, e vedemmo che tutto era crollato: i lettini, la tv, le valigie. Dai microfoni continuavano a ripeterci di non preoccuparci, di restare nell’abitacolo, per via del blackout “dovuto al guasto di un generatore”. Ma intuendo la gravità della situazione, io mi affrettai a prendere lucidamente i giubbotti di tutti (era sera e faceva freddo!), più un piccolo borsone con le cose fondamentali e volammo via».

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Una foto ricordo di Antonella e il marito in viaggio di nozze.

«La nave si stava inclinando sempre più, si avvertiva − continua a dirci Antonella −. E noi, come cadaveri che camminavamo, ci guardavamo in faccia col terrore. Io però ero fredda. Se mi avessero tagliato le vene – dice con sarcasmo –, sarebbe uscita acqua, dovevo proteggere i miei bambini. Ci siamo così diretti in un punto della nave dove abbiamo indossato dei salvagenti. Frattanto dagli altoparlanti fummo invitati, dopo un’ora e un quarto, ad “andare ‘gentilmente’ nel ponte 4 dove da lì avrebbero calato le scialuppe”. C’era il delirio. Non dissero di far passare prima le donne e i bambini. Si pensava, guardandosi negli occhi: “O muori tu o muoio io”. Ci spingevamo, strattonavamo tutti. A guardare la scena, stava un uomo vestito di nero, in un angolo, con la testa china, ed io ricordo d’avergli detto: “La prego, mi deve fare salire, ho due bambini!”. Non era di Costa Crociera. Ma nel panico generale è riuscito a restare calmo e ad aiutarci. Credo fosse un angelo, o mi è parso tale! Perché solo grazie a lui, siamo riusciti a salire nella terza scialuppa, accomodandoci nella parte finale. Dopo di ciò è scomparso».

Continua il racconto: «Eravamo sì nella scialuppa ma non ancora salvi. Perché per il troppo numero di persone rischiavamo di affondare. Non ci rimaneva che pregare. All’epoca avevo 35 anni e mi è passata tutta la mia vita davanti, fino a quel momento… La scialuppa fu poi buttata letteralmente a mare, senza nessuna premura per coloro che vi stavano dentro. Io e mio marito ne abbiamo risentito infatti per i mesi a venire! I miei figli non hanno invece riportato nulla né capito nulla perché si sono addormentati in un “sonno divino”. Dopo alcuni minuti che sono parsi interminabili, la scialuppa è arrivata nel porticciolo della Toscana. Ci hanno soccorso, assistito, dato una sistemazione. E solo quando siamo giunti in una camera d’albergo, sono scoppiata in un pianto liberatorio che è durato ore».

Come vive oggi Antonella? «Non dimentico l’accaduto e vedo tutto ciò che mi circonda – ci ha detto sincera – diversamente. Ringrazio, innanzitutto, Dio, giornalmente, per il dono della vita, e per avere con me accanto mio marito e i miei due bambini che oggi hanno 10 anni, s’impegnano nello studio e amano giocare a tennis. Vivo ogni giorno come fosse l’ultimo, cercando di godermi le grazie che ricevo insieme alle giornate meno felici che accetto senza più rattristarmi o arrabbiarmi. Tante vicende possono infatti condurci a una facile depressione, come il lavoro quando manca. Ma credo che se ognuno di noi perdesse meno tempo a odiare tutto e tutti e a farsi accompagnare dall’invidia e dall’ipocrisia, se ognuno di noi, ripeto, vivesse dando il giusto peso alla bellezza di ogni singola giornata, tutto cambierebbe. Perché avremmo tutti una luce diversa negli occhi da cui far trasparire la nostra anima. Saremmo in grado anche di godere dell’immenso amore di Dio, che ha (per chi ha fede in lui), di certo, un piano, una missione. E io che ho visto con gli occhi “sorella morte”, mi sento di dire a chi leggerà questa testimonianza, di dare meno peso al dio denaro, d’avere anche speranza nella vita che verrà, senza però dimenticare che l’universalità, la completezza, della nostra esistenza parte dal qui ed ora, dal dono indiscutibile della nostra vita terrena».

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