Coronavirus, come sarà il nuovo mondo?
Da un paio di giorni anche i casi, oltre ai ricoveri, sembrano davvero aver intenzione di calare; ci si attende che i nuovi positivi siano meno di coloro che superano l’infezione (dato che purtroppo comprende anche chi non ce la fa).
Insomma si avvicina la fase 2, che potrà cominciare laddove e quando la circolazione virale sarà al di sotto di una soglia di sicurezza, ancora da definire con precisione.
Sarà un processo graduale, pieno di incognite, legato a parametri epidemiologici complessi e volubili: secondo molti osservatori è questa la fase più difficile della complessa sfida che il Coronavirus sembra aver lanciato al mondo.
Il tema di “cosa ci aspetta ora” è la domanda che tutti ci facciamo; e anche questa non è una novità. Non è certo la prima volta che l’umanità affronta una pandemia: nella storia i periodi di circolazione pandemica siano molti di più rispetto a quelli “sicuri”. Ma non era forse mai capitato che una minaccia sanitaria modificasse così a fondo e così tanto a lungo le abitudini e gli stili di vita di praticamente tutti i popoli del pianeta.
Viene fatto spesso un parallelo un po’ macabro con il periodo della “gran moria”, che iniziò nel 1347 e attraversò il mondo allora conosciuto con la violenza di una tempesta, travolgendo ogni riferimento sociale e lasciando un segno indelebile nella psicologia e nella cultura del tempo.
Gli esiti sanitari furono terrificanti, per nulla paragonabili a quelli di oggi: in assenza di cure e misure di sanità pubblica la yersinia pestis, agente eziologico della peste bubbonica e polmonare, si portò via dal 20 al 35% dell’intera popolazione dell’epoca (si parla mortalità della popolazione generale, non di percentuale di morti fra coloro che si ammalavano, che invece prende il nome di letalità). La società collassò veramente e quanto accadde ha lasciato tracce profonde nel nostro modo di vivere e di pensare.
A noi non è andata e non andrà così male, ma alcune cose di quel drammatico periodo ci possono essere utili ancora oggi. Anche gli uomini di allora, passata la catastrofe, dovettero lottare per mettere ordine in un mondo completamente diverso e confrontarsi con restrizioni dinamiche e misure precauzionali che prima non esistevano.
Anche da punto di vista dei valori culturali nulla fu davvero più come prima e si dovettero trovare significati nuovi a ciò che esiste di più importante. Il flagello aveva colpito senza alcuna logica, indifferente al modo di pensare del tempo, che vedeva la malattia come una diretta conseguenza dei propri peccati e della collera divina. Invece santi e peccatori, cristiani e infedeli, miseri e potenti, saggi e analfabeti erano ugualmente inermi dinanzi all’infuriare del morbo.
Fu questo che sconvolse la società dell’epoca, lasciando in piedi soltanto frammenti casuali e sconnessi di ciò che prima componeva l’ordine dell’universo. Anche oggi scopriamo che i valori delle nostre società, basate su parametri di ricchezza, efficienza e potere economico, sono molto più effimere di quanto pensavamo. La sicurezza economica e la tutela salute appaiono tutto ad un tratto inconciliabili: riaprire e rischiare la catastrofe microbiologica, o rimanere in lockdown, con gravissime conseguenze finanziarie e lavorative?
Il contrasto sembra ancora più stridente nei Paesi più ricchi e potenti del mondo, dove non a caso la società appare a maggior rischio di essere lacerata da proteste, conflitti e disordini.
Anche riguardo all’organizzazione sociale il cambiamento all’orizzonte è epocale: i parametri e gli strumenti che useremo per decidere cosa sarà concesso fare, dove e a chi, definiranno la cornice del mondo nel quale ci muoveremo per mesi, forse per anni.
Molti dei valori che siamo abituati a considerare privati e inviolabili serviranno per definire uno scacchiere dinamico di permessi, limitazioni, sistemi di certificazione e controllo; sarà necessario accordarci sui termini e limiti di attività come la tracciatura dei casi e dei contatti interpersonali, la gestione delle informazioni riguardanti le notizie sanitarie, gli spostamenti, le abitudini sociali, le reti di relazioni fra singoli e fra gruppi.
Si possono prevedere alcuni scenari; in allegato trovate un semplice modello “a scacchiera dinamica”, basato sulla diffusione della malattia nelle diverse zone: è uno di quelli che ha la maggiore possibilità di essere messo in atto nel prossimo futuro e verso il quale sembrano orientarsi le indiscrezioni sulle misure che i governi sono orientati a predisporre, almeno nell’Unione Europea).
Osservandolo ci si rende conto facilmente di quante difficoltà comporterà un sistema del genere: ad esempio l’idea di permettere alcune attività in una provincia e vietarle in quelle vicine provocherà le legittime rivendicazioni di chi, per i capricci della circolazione virale, si troverà in difficoltà che possono essere drammatiche.
Cosa accadrà al nostro modo di vivere non lo sappiamo: ma possiamo ancora trovare lezioni incoraggianti nel passato. Anche all’epoca della “fine del medioevo”, quando un terzo del mondo fu spazzato via, lo smarrimento sarà stato immenso. Eppure sappiamo dalle fonti storiche che molti reagirono con positività e ambizione: nuove idee trovarono spazio libero, come il commercio e la mentalità pratica dei mercanti, che furono il motore di uno sviluppo vorticoso.
Nacquero in quel periodo l’umanesimo e le radici del rinascimento, che gradualmente trasformarono la società e i confini del pensiero, in un contesto sorprendentemente moderno e interconnesso.
Ovunque le comunità tornano a prendere in mano il loro destino: partendo da ciò che era rimasto in piedi si dovette allestire uno spazio sociale nuovo, utilizzando solo in parte i frammenti di ciò che è stato.
Anche la nostra società dovrà senz’altro scegliere cosa lasciarsi alle spalle e su quali basi rifondare le proprie relazioni. Se c’è una cosa buona in tutto quello che sta accadendo, è che non possiamo più aspettare per farla, questa scelta necessaria da tempo.
Una cosa nell’incertezza è comunque sicura: se adesso facciamo delle buone scelte avremo un futuro migliore.