Il coronavirus non vola per aria

Oggi abbiamo un dato positivo: è sceso il numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva, 3994 (-74, -1.8%) . Ma i soggetti positivi dei quali si ha certezza sono 88.274 (il conto sale a 124.632 totali dall'inizio dell'epidemia). Quindi continuiamo a concentrarci sulle norme da seguire per evitare il contagio, comportandoci come fossimo asintomatici. In più, sfatiamo il mito per cui virus e batteri siano in grado di librarsi nell'aria e percorrere distanze; anzi, siccome il loro movimento è dato solo da fonazione, tosse o starnuti, resta sempre più una necessità mantenere la giusta distanza, evitare il contatto con gli altri e utilizzare le mascherine

Pioverà a Pasquetta?

Fino a tutto il XIX secolo, la meteorologia come scienza non esisteva. Il nome stesso che usiamo, che deriva da meteora, è quello che Aristotele aveva dato a quello spazio sublunare, che separa l’uomo dall’immensità intorno a lui. L’atmosfera, insomma, come molto più tardi la chiameremo, è uno spazio di mistero.

Su di lei l’uomo si è sempre interrogato, alzando il capo all’insù. Le migliori domande dell’umanità sono nate osservando questo immenso tappeto di nuvole e luce di giorno; e di notte sognando sull’eterea coperta scura, punteggiata di stelle, dove scivola silenziosa la luna.

Eppure per molti secoli nessuna civiltà è stata mai in grado di prevedere con esattezza l’avvicinarsi di una tempesta, l’improvviso sopraggiungere di un temporale, la durata di una siccità o di un inverno troppo piovoso. Oggi abbiamo fatto qualche progresso, ma si potrebbe obbiettare che nessuno è mai riuscito a capire esattamente perché piove sempre a Pasquetta (e perché quest’anno non lo farà).

L’aria e poi lo spazio rimangono il nostro orizzonte più indecifrabile; fascino e timore accompagnano ogni pensiero che li riguarda.

Oltre che oggetto di analisi, il gas che respiriamo e che ci circonda è anche la prima cosa da cui dipendiamo per rimanere in vita. Ed è anche un mezzo di trasporto: le sue vie, solcate da nubi, uccelli e presagi, sono state per millenni precluse all’uomo (che sogna di volare, non a caso) e appannaggio degli dei: loro si avvalgono infatti di un molto più efficace messaggero alato. Streghe e diavoli, santi e angeli, prodigi e animali popolano i cieli e i loro viali leggeri.

In tutto questo affascinante universo sospeso, poteva forse mancare la possibilità di trasmettere il contagio di un terribile morbo? Certamente no.

L’idea che le malattie infettive si possano veicolare con l’aria a distanze lontanissime è antica quanto il mondo e ci tormenta ancora oggi. Abbiamo ereditato il timore verso il “fluido che uccide”, perché raccoglie miasmi e umori pestiferi portandoli ovunque. Fino all’era moderna è diffusissima la convinzione che basti molto poco per essere condannati: un semplice sguardo a chi muore di peste trasmette il morbo; l’unica via di scampo è la fuga.

Oggi sappiamo che le malattie sono prodotte da organismi viventi, invisibili ad occhio nudo, che passano da un ospite all’altro tramite contatto diretto o con il supporto di mezzi di trasmissione inanimati (veicoli) o animali (vettori). Ma non è facile farsi un’idea della “distanza di sicurezza” necessaria per evitarlo! Anche adesso molti si domandano se, come la piuma di Forrest Gump, il coronavirus sia in grado di librarsi in aria e attraversare la città, per posarsi dolcemente sulle narici e sulle mucose di un soggetto suscettibile dall’altra parte del quartiere.

Insomma, dobbiamo pensare che l’aria che respiriamo ovunque è ormai così satura di particelle virali da rendere impossibile sfuggire al morbo, e quindi diventa inutile tutto questo sacrificio di chiuderci in casa e bloccare le attività produttive e i divertimenti (anche a Pasqua)? La risposta ovviamente è un NO, secco e rotondo. Vediamo però come ci si arriva a questo “no”.

Per prima cosa, virus e batteri non sono in grado di spostarsi nell’aria, non hanno mezzi di locomozione utili al volo o al volteggio, e si comportano esattamente come le altre microparticelle: galleggiano sospinte dai moti convettivi con una spiccata tendenza a ricadere a terra. Naturalmente tanto più un organismo è pesante e offre resistenza all’aria, tanto più vicino ricade: la stessa differenza che c’è fra una biglia e un aeroplanino di carta. Il coronavirus, per chi se lo chiedesse, non è una palla di cannone (a cui però somiglia) e non è nemmeno un aliante.

Virus e batteri non “decollano” in autonomia dal corpo umano, ma sono sospinte dal respiro e dall’emissione di gocce di saliva durante la fonazione, la tosse o gli starnuti. Anche in questo caso, volteggiano per un certo tratto (si indica genericamente la distanza di 1,5 m e per questa ragione si fornisce tale parametro come distanza sociale) e poi ricadono. Dopodiché i nostri amici microbi hanno diversi destini:

1- se c’è qualcuno molto vicino, possono contagiarlo direttamente, in assenza di protezioni.

2- possono cadere in una superficie porosa, umida e poco esposta alla ventilazione: in questo modo, rimangono vitali piuttosto a lungo.

Questo dipende molto dal microrganismo. Alcuni batteri sono formidabili per la capacità di resistere nell’ambiente. Per i virus è piuttosto diverso: sono piccolissimi, in genere piuttosto delicati (con alcune eccezioni) e non hanno metabolismo e riserve energetiche. Alcuni resistono in condizioni ottimali per giorni, ma non è detto che dopo questo tempo, anche se si può individuare il loro codice genetico, siano capaci di essere infettanti.

3 – in condizioni particolari in genere legate alle manovre sanitarie più invasive come l’intubazione o la ventilazione meccanica ad alto flusso, si producono particelle di aereosol infettanti, provenienti da malattie altamente infettive e quindi cariche di virus.

La novità è che gli studi di questi ultimi giorni stanno dimostrando che anche in condizioni “normali” come un forte starnuto la distanza percorsa e la persistenza di queste goccioline possano essere maggiori del previsto, rilanciando il ruolo delle misure sociali e dell’utilizzo delle mascherine. Ed è chiaro che questo rischio può aumentare molto anche se si concentrano pazienti infettivi in ambienti piccoli e poco arieggiati, come i mezzi di trasporto affollati.

Quindi, come proteggerci?

Per quasi tutti noi e come misura utile per “sopravvivere là fuori” serve mantenere la distanza sociale, evitare i contatti stretti o indossare la mascherina chirurgica (che blocca le goccioline di saliva) se non si può fare o siamo sintomatici. Per eliminare il rischio dalle superfici di vita e lavoro, è importante l’igiene delle mani, delle superfici e l’areazione degli ambienti.

Invece l’aerosol è il pericolo a cui sono sottoposti i sanitari, che richiede una protezione ad altissima efficienza. Per gli altri scenari di vita quotidiana, ad oggi le evidenze scientifiche raccolte dall’Organizzazione mondiale della sanità ci dicono che attualmente questa modalità di trasmissione è una possibilità da verificare (anche se già ben nota nei contesti di alto rischio – ospedalieri – descritti sopra).

Conclusione:

Il virus lo conosciamo poco, le evidenze disponibili cominciano ad accumularsi ora, ed è possibile che qualche informazione nuova cambi un po’ gli scenari. Ma se questo è molto rilevante per chi lavora nei luoghi ad alto rischio, è chiaro che per i comuni cittadini gli scenari di cui interessarsi sono quelli della normale interazione sociale fra persone sane o asintomatiche.

È importante mantenere elevata l’attenzione alla distanza sociale, all’osservanza delle misure di isolamento; evitare di creare affollamenti e rispettare gli altri indossando la mascherina soprattutto se si è sintomatici; è utile pulire correttamente le superfici domestiche che vengono toccate frequentemente ed è indispensabile lavarsi le mani.

È invece da irresponsabili saltare tutta la lunga catena di questi ragionamenti, tornare a comportarsi come i nostri antichi sapiens e dire che è inutile stare in casa perché tanto il virus ormai gira ovunque nell’aria: abbiamo capito che non è così. Significherebbe comportarsi come quei disperati che, durante le epidemie del passato, abbandonata ogni fiducia e speranza, attendevano la fine abbandonandosi ai più selvaggi divertimenti. Sono esattamente questi gli atteggiamenti che ci danneggiano ancora oggi: la sfiducia e la stupidità. Quelle sì, che si trasmettono a distanza. Anche in assenza di aria.

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