Coronavirus, la blasfemia del castigo di Dio
La pandemia sta mettendo in ginocchio il mondo intero. È un castigo di Dio?
È l’eterna domanda sullo scandalo del male, a cui non si possono dare risposte superficiali. La risposta giusta potrebbe darcela soltanto il diretto interessato, tutto il resto sono congetture.
In effetti il diretto interessato è già stato interpellato più volte in merito. Come quando, imbattendosi in un uomo cieco dalla nascita, «i suoi discepoli lo interrogarono, dicendo: “Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. Gesù rispose: “Né lui ha peccato, né i suoi genitori; ma è così, affinché le opere di Dio siano manifestate in lui”» (Gv 9, 1-3).
A commento di questo testo evangelico papa Francesco definisce blasfema quel tipo di lettura della storia: «Gesù rifiuta radicalmente questo modo di pensare – che è un modo veramente blasfemo!» (9 marzo 2014).
Gesù stesso fu oggetto di giudizio: la crocifissione non era la più grande maledizione di Dio (cf. Gal 3, 13)? I sommi sacerdoti, i capi del popolo e i semplici passanti lo schernivano e lo insultavano: «Scendi dalla croce…». Non avevano cuore per capire che si stava adempiendo la profezia di Isaia, secondo la quale il “servo sofferente” è ritenuto «colpito, percosso da Dio e umiliato!» (53, 4).
Che idea ci siamo fatti di Dio? A volte lo ritraiamo “a nostra immagine e somiglianza”, come quando, più che giustizia, vorremmo vendetta e ci piacerebbe un Dio che punisce quanti fanno il male, soprattutto se sono gli altri. Forse il Dio di Gesù Cristo è diverso, somiglia più al padre della parabola che non manda fulmini dal cielo contro il figlio scapestrato che se n’è andato con il suo patrimonio, ma l’attende con trepidazione e lo accoglie a braccia aperte.
Il Dio di Gesù Cristo non taglia il fico che non produce frutti, ma lo coltiva con pazienza, “per un anno”. E quanto dura l’anno del Signore? Forse fino al suo ritorno. Soltanto allora dividerà il grano dalla zizzania. Prima è il tempo della sua scandalosa misericordia, non del castigo.
Il male c’è, viviamo in mezzo alle tragedie. Ma è Dio che le vuole? Tante volte ne siamo noi stessi la causa. Se invece che in armamenti investissimo in ricerca, se invece che navi da crociera costruissimo ospedali, se invece che chiuderci in inutili frontiere nazionali coltivassimo una politica di solidarietà, collaborazione e unità, forse avremmo un mondo migliore. Dio ha messo il mondo nelle nostre mani, a noi gestirlo.
In ogni caso non permette le tragedie per punire le colpe. «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?». E se Gesù è morto per noi chi ci separerà dal suo amore? Forse il coronavirus? «Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati». Nulla «potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8, 31-38). «Tutto viene dall’amore – gridava Caterina da Siena –, tutto è ordinato alla salvezza dell’uomo. Dio non fa niente se non a questo fine» (Dialoghi, 4, 138)
Davanti a fatti di cronaca del suo tempo – una repressione cruenta da parte dei soldati romani che avevano ucciso all’interno del tempio e il crollo della torre di Siloe che aveva causato diciotto vittime – Gesù non perde tempo in disquisizioni: è un castigo di Dio oppure no? Egli invita a ricavare da questi fatti un ammonimento che riguarda tutti, perché tutti abbiamo bisogno di conversione: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13, 5).
Il vero castigo sarà se, una volta terminata la pandemia, tutto tornerà come prima. Sarà stata vana la morte di tanti e le tragedie vissute. Se ci saremo “convertiti”, se avremo imparato a “convertire” i tipi di produzione e di ricerca, la distribuzione dei beni, i rapporti tra di noi… allora la pandemia sarà servita a qualcosa e potremo dire con l’apostolo Paolo: «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8, 28)