Chiara Lubich, la via dell’unità tra storia e profezia
Una vita segnata dal luogo di nascita, Trento, in un’epoca infiammata da capovolgimenti ed eventi tragici. Eppure Chiara Lubich ha riconosciuto in questi elementi la sua vocazione. Nel libro dal titolo Chiara Lubich. La via dell’unità tra storia e profezia, a cura di Maurizio Gentilini ed edito da Città Nuova in occasione del centenario della nascita, si ripercorrono tutte le fasi di una vita intensa, legata ai periodi storici attraversati e alle grandi tematiche approfondite dalla fondatrice del Movimento dei Focolari.
L’opera è stata presentata sabato 30 novembre a Roma, presso l’Auditorium dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ad intervenire, oltre all’autore, vi erano Salvatore Abbruzzese, ordinario di sociologia dei processi culturali del dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, Giuseppe Sangiorgi, giornalista parlamentare e storico, Rita Moussallem, co-responsabile per il Dialogo interreligioso del Movimento dei Focolari. A moderare gli interventi è stata Giulia Galeotti, giornalista de L’Osservatore Romano, che ha sottolineato come Chiara sia stata «una donna capace di vedere il futuro, insieme a un nuovo ruolo della donna nella Chiesa. Ha fatto tanto per la donna e quindi per la Chiesa tutta, lo ha fatto – ha evidenziato – ancorandosi al Vangelo».
Da sociologo, Abbruzzese si è soffermato sull’ambiente e sulla città di Trento in cui è nata la fondatrice dei Focolari: «Lì – ha ricordato – la tradizione francescana ha marcato la spiritualità e non è un caso che Chiara voglia essere terziaria francescana fin da giovane». Per il docente è evidente nella giovane Silvia, futura Chiara, la volontà di restare nel mondo e non in un convento: «In quegli anni però – ha commentato Abbruzzese – quel mondo è inaccettabile. Stava sorgendo un conflitto così forte che avrebbe generato conseguenze enormi. La sua scelta di rimanere nel mondo è stata molto impegnativa e pericolosa. Di fronte alla deflagrazione del male, Chiara porta la radicalità dell’amore agapico, con un dizionario diverso, quello della carità, e la centralità di una prossimità primaria perché nei focolari non ci sono sbarramenti».
Secondo Rita Moussallem, Chiara Lubich ha vissuto una «vita da donna di frontiera, con un certo intuito divino e la semplicità di chi vuole mettere in pratica il Vangelo. Ricche le pagine del libro dedicate all’ecumenismo: Chiara era una donna dell’Occidente che in Oriente è stata accolta da numerosi capi religiosi. Con Atenagora di Costantinopoli ebbe 25 udienze ad Istanbul. Dal patriarca dirà che ha imparato l’amore per tutti popoli». Commentando il sottotitolo alla biografia Moussallem ha aggiunto: «L’idea di unità sarà capace di trasformare i credenti suscitando la fraternità, senza sincretismi né proselitismi».
Il giornalista Giuseppe Sangiorgi ha affiancato la fondatrice dei Focolari a don Luigi Sturzo: «Entrambi sono stati campioni – ha detto –, e hanno rappresentato il versante laico della carità cristiana pur avendone sperimentato il versante religioso. Loro hanno saputo raggiungere l’impossibile attraverso la fede in Dio. Non era facile scrivere una biografia di Chiara Lubich. Il rischio era di cadere nell’agiografia ma Gentilini suggerisce di approcciare i fatti storici, al contesto. L’autore possiede poi un’arma in più: è trentino, proprio come Chiara, ed è potuto entrare nel vissuto religioso dei trentini visto che la Lubich onora la cultura di cui è figlia. Quando si arriva all’ultima pagina del libro si capisce quanto ancora debba essere studiata per comprenderla».
L’autore non ha nascosto che passando tanto tempo in compagnia dei documenti e dell’intera vita di Chiara Lubich i momenti siano stati intensi. «Non faccio parte dei Focolari – ha precisato –, mi sono avvicinato a Chiara come battezzato semplice. La spiritualità dell’unità è alla base di ogni sua intuizione. È una spiritualità legata alla dimensione agapica, in perfetta sintonia con il Concilio Vaticano II, che nasce sotto le bombe della Seconda guerra mondiale. Chiara da buona maestra e da trentina chiamava le cose con il suo nome, puntando all’essenzialità».